Protagonista assoluto del concerto di questa settimana è un personaggio
che da anni circola in Italia e non solo nei grandi teatri e sale da concerto,
ma anche e soprattutto in... provincia, dove ha modo di gettare i semi della
sua arte e della sua sapienza interpretativa. Qui fa le cose davvero in grande,
presentandoci un celeberrimo concerto e una grande
sinfonia, di due autori fra loro legati da stretti vincoli artistici.
Intanto una nota di una certa importanza: altri pianisti-direttori
dispongono il pianoforte perpendicolare al fondo-scena, per poter dirigere
meglio; ma così facendo restano di spalle al pubblico, cosa di per sè sgradevole
per l’ascoltatore, ma soprattutto devono far togliere dallo strumento il
coperchio, perdendo quindi la sua fondamentale funzione di riverbero del suono.
Ecco, Lonquich invece dispone il pianoforte nella posizione canonica: certo,
così dà le spalle alla... spalla (ieri
Dellingshausen) ma evidentemente
l’affiatamento con il primo violino è così alto da non creare problemi. Poi
Lonquich dispone l’orchestra alla tedesca, ma con i contrabbassi in linea sul
fondo e tiene proprio di fianco a sè gli strumentini, cosa utilissima nel
concerto di Schumann, dove soprattutto l’oboe (di Luca Stocco, per l’occasione) dialoga di continuo col solista.
Ecco quindi il Klavierkonzert di Robert
Schumann, pilastro della scrittura pianistica romantica, che Lonquich
interpreta con straordinaria sensibilità, tocco sempre delicato, impiego
sapientissimo ma non invadente del rubato
e soprattutto una perfetta osmosi con l’orchestra, che sappiamo essere proprio
la caratteristica peculiare e programmatica di questo concerto.
Per lui ovazioni che ricambia ancora con Schumann, suscitando emozioni come
accadeva per questo suo illustre
predecessore!
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Poi la Sinfonia in DO di Franz
Schubert, quella che proprio Schumann portò alla luce dal chiuso di
cassetti polverosi ed esaltò per le sue celestiali
lungaggini, un’opera che chiude in modo davvero grandioso tutta
un’esistenza musicale che Schubert aveva vissuto prevalentemente nel piccolo,
nel raccolto, nell’intimistico, nelle sue mille canzoni e nelle sue opere
cameristiche.
Qui invece costruisce un monumento, una cattedrale di possanza bruckneriana
e di ideali beethoveniani. E Lonquich (che ha diretto a memoria) non si e ci risparmia
una sola battuta di questo capolavoro, eseguendo scrupolosissimamente tutti i ritornelli, proprio come
Schumann esigeva si facesse. Più di un’ora di durata, ma si starebbe lì per un‘altra
ancora ad ascoltare questa mirabile musica. Soprattutto se suonata con la bravura
e la partecipazione dei ragazzi de laVerdi!
Auditorium non affollatissimo, ma gli assenti di ieri possono ancora
rimediare oggi o dopodomani...
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