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01 febbraio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°15


Protagonista assoluto del concerto di questa settimana è un personaggio che da anni circola in Italia e non solo nei grandi teatri e sale da concerto, ma anche e soprattutto in... provincia, dove ha modo di gettare i semi della sua arte e della sua sapienza interpretativa. Qui fa le cose davvero in grande, presentandoci un celeberrimo concerto e una grande sinfonia, di due autori fra loro legati da stretti vincoli artistici.

Intanto una nota di una certa importanza: altri pianisti-direttori dispongono il pianoforte perpendicolare al fondo-scena, per poter dirigere meglio; ma così facendo restano di spalle al pubblico, cosa di per sè sgradevole per l’ascoltatore, ma soprattutto devono far togliere dallo strumento il coperchio, perdendo quindi la sua fondamentale funzione di riverbero del suono. Ecco, Lonquich invece dispone il pianoforte nella posizione canonica: certo, così dà le spalle alla... spalla (ieri Dellingshausen) ma evidentemente l’affiatamento con il primo violino è così alto da non creare problemi. Poi Lonquich dispone l’orchestra alla tedesca, ma con i contrabbassi in linea sul fondo e tiene proprio di fianco a sè gli strumentini, cosa utilissima nel concerto di Schumann, dove soprattutto l’oboe (di Luca Stocco, per l’occasione) dialoga di continuo col solista.

Ecco quindi il Klavierkonzert di Robert Schumann, pilastro della scrittura pianistica romantica, che Lonquich interpreta con straordinaria sensibilità, tocco sempre delicato, impiego sapientissimo ma non invadente del rubato e soprattutto una perfetta osmosi con l’orchestra, che sappiamo essere proprio la caratteristica peculiare e programmatica di questo concerto.

Per lui ovazioni che ricambia ancora con Schumann, suscitando emozioni come accadeva per questo suo illustre predecessore!
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Poi la Sinfonia in DO di Franz Schubert, quella che proprio Schumann portò alla luce dal chiuso di cassetti polverosi ed esaltò per le sue celestiali lungaggini, un’opera che chiude in modo davvero grandioso tutta un’esistenza musicale che Schubert aveva vissuto prevalentemente nel piccolo, nel raccolto, nell’intimistico, nelle sue mille canzoni e nelle sue opere cameristiche.

Qui invece costruisce un monumento, una cattedrale di possanza bruckneriana e di ideali beethoveniani. E Lonquich (che ha diretto a memoria) non si e ci risparmia una sola battuta di questo capolavoro, eseguendo scrupolosissimamente tutti i ritornelli, proprio come Schumann esigeva si facesse. Più di un’ora di durata, ma si starebbe lì per un‘altra ancora ad ascoltare questa mirabile musica. Soprattutto se suonata con la bravura e la partecipazione dei ragazzi de laVerdi!

Auditorium non affollatissimo, ma gli assenti di ieri possono ancora rimediare oggi o dopodomani...

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