Si è detto: Chovanščina opera
incompiuta. Dato che però in teatro, fin dal 1866, essa viene rappresentata in
tutto il mondo, sarà opportuno scoprire in quale modo si è arrivati ad averne
una versione (anzi, oggi più di una versione) completa e rappresentabile.
Innanzitutto: cosa ci ha lasciato
Musorgski? Una montagna di manoscritti, oggi custoditi nelle biblioteche russe
o presso privati, tutti corredati dalla data di completamento, che riportano la
concezione dell’opera, le fonti storiche consultate e - soprattutto - lo
spartito canto-pianoforte delle
singole componenti (qualcosa di vagamente assimilabile a numeri nella tradizionale strutturazione del melodramma) la cui
sequenza di produzione fu tutt’altro che rettilinea, richiedendo non meno di 8
anni. Preziosa per l’interpretazione delle volontà del compositore è la gran
messe di informazioni - relative alla composizione dell’opera - contenuta in
numerose lettere scritte da Musorgski allo sponsor
Stasov e ad altri amici e conoscenti.
Il materiale originale è incompleto,
mancando (rispetto alle dichiarate intenzioni dell’Autore) di due finali (Atto II e Atto V) e dell’orchestrazione,
della quale Musorgski ha lasciato solo due brani dell’Atto III: la canzone di
Marfa e il Coro degli Strelcy. Quindi stiamo messi ben peggio rispetto ai due Boris, che Musorgski aveva passabilmente
completato (soprattutto il secondo). Qui, oltre a completare i due finali
d’atto citati, per rendere l’opera rappresentabile era necessario inventarne
quasi per intero la strumentazione!
E a questo pensò, ancora una volta, Nikolai Rimski-Korsakov, che si accollò
l’immane compito, facendo pubblicare nel 1883 la sua ricostruzione e riuscendo
a far rappresentare l’opera già nel febbraio del 1886. É la versione che
successivamente ha girato i principali teatri del pianeta, decretando il
successo dell’opera, ed è stata oggetto di diverse registrazioni.
Ma inevitabilmente l’intervento di
Rimski si portò dietro (proprio come - e più che - per il Boris e per la Notte sul
Monte Calvo) le sue impronte inconfondibili, consistenti nel tagliare senza
pietà interi passaggi ritenuti carenti e nel rivestire la musica di Musorgski
di una (per noi assai accattivante, ammettiamolo) patina di romantica occidentalità; interventi così
marcati da quasi stravolgere i tratti somatici - da lui evidentemente ritenuti rozzi e primitivi - dell’originale. Più avanti
seguiremo sommariamente una registrazione di questa versione, alla quale va
riconosciuto comunque il grande merito di aver fatto conoscere al mondo l’opera
fin dalla sua nascita.
Nel 1913 Diaghilev la mise in scena a Parigi e per l’occasione - ritenendo
la versione di Rimski nientemeno che un attentato alle volontà di Musorgski,
del quale aveva dato un’occhiata ai manoscritti - chiese a Stravinski (che poi fece coinvolgere nell’impresa anche Ravel) di strumentarla ex-novo. Cosa che
non accadde se non in minima parte; in particolare Ravel riorchestrò (Atto I)
la scena dei moscoviti che bistrattano lo scrivano; poi (Atto III) la canzone
di Kuzka e degli Strelcy. Quanto al compositore russo, riorchestrò (Atto III)
l’aria di Šaklovityj
(affibbiata per l’occasione a... Dosifej, in modo da farla cantare al grande Šaliapin) e (atto V) riscrisse, ampliandone le
dimensioni, il coro finale:
Quest’ultima parte è stata impiegata
nella produzione di Claudio Abbado a
Vienna nel 1989, di cui parleremo.
Per fortuna ci fu chi (Pavel Lamm, nel 1931) si prese l’incarico di
raccogliere, sistemare e pubblicare tutto il materiale originale (disponibile a
quel tempo) di Musorgski, mettendo quindi anche altri compositori nelle
condizioni di completare ed orchestrare il lavoro.
Per la verità anche l’edizione di Lamm
lascia aperti alcuni dubbi, relativi a correzioni e/o tagli apportati sui
manoscritti originali da mani che sembrerebbero a volte quelle del compositore,
ma a volte del tutto estranee. In questi casi, Lamm ha pubblicato tutto,
corredandolo di note a piè pagina.
Il primo a cimentarsi nella
strumentazione, e a stretto giro, fu il noto musicista-musicologo Boris Vladimirovich Asafiev, collaboratore
di Lamm, il cui lavoro - pesantemente criticato ai suoi tempi da una specie di
giuria di musicisti coinvolta dallo stesso Lamm - è fatalmente caduto nel
dimenticatoio (leggasi: l’Archivio russo
di Stato della Letteratura e delle Arti, RGALI) e da lì nessuno finora si è
premurato di riportarlo alla luce e tanto meno alle scene.
A complicare
ulteriormente le cose, molti anni dopo l’edizione di Lamm (precisamente nel 1946)
fu rinvenuto fra le carte di un poeta amico di Musorgski (Arseny Arkadyevich
Goleníshchev-Kutúzov)
un manoscritto del compositore (denominato quaderno blu e pubblicato nel 1972)
contenente una specie di bella copia del libretto, preparata
dall’autore verosimilmente dopo la
composizione. In tale manoscritto mancano alcune parti presenti nello spartito
(pubblicato da Lamm). La conclusione che i musicologi (e anche alcuni
direttori) traggono è che Musorgski medesimo avesse deciso questi tagli, senza
però aver avuto modo o tempo o voglia di retro-applicarli anche allo spartito:
di conseguenza andrebbero scrupolosamente rispettati. Conclusione peraltro
contestabile, chè se per assurdo si dovesse seguire come vangelo il quaderno blu, allora l’opera si dovrebbe
interrompere dopo le prime invocazioni di Dosifej e raskolniki, e prima dell’entrata in scena di Marfa: in pratica, verrebbe
a mancare l’intero finale e non solo la sua chiusa!
Chi invece portò a termine l’impresa di
strumentazione (e completamento) fino alla pubblicazione della partitura, fu Dimitri Shostakovich. Il quale nel 1940
si era cimentato nella ri-orchestrazione del Boris per adattarlo agli enormi spazi del Bolshoj, ma con esito francamente deludente (un lavoro caduto
totalmente nel dimenticatoio) e invece nel 1958 approntò la sua versione
dell’opera (con un finale di sua ideazione) che è unanimemente ritenuta quella
che più si avvicina alle (o che meno si discosta dalle, se si preferisce) presunte
intenzioni di Musorgski, tanto che da allora ha cominciato a circolare nei
teatri ed è stata più volte incisa su disco e video.
Shostakovich adottò in-toto il materiale
pubblicato da Lamm che, come detto, contiene anche le parti cancellate sui
manoscritti originali e quelle non riportate da Musorgski nel quaderno blu. Tutto ciò ha come
inevitabile conseguenza quella di
ingenerare approcci diversi all’esecuzione: c’è chi segue comunque l’edizione
completa di Lamm(-Shostakovich) e chi invece (Abbado fu tra i primi) applica alcuni
di quei tagli ritenendo che rispecchino le ultime volontà dell’Autore.
Già nel 1959 fu girato un
film basato sulla versione-Shostakovich, film peraltro caratterizzato
da generose sforbiciate, con la
musica diretta da Evgenij Svetlanov. In
teatro, la prima rappresentazione di
questa versione ebbe luogo venerdi 25 novembre 1960 al Kirov di Leningrado sotto la bacchetta di Sergey Yeltsin. Essa fu poi impiegata a Sofia nel 1986 (ne
parleremo); nel 1989, come detto, Claudio Abbado presentò a Vienna questa
versione con il finale di Stravinski. Dal 1990 è stato Valery Gergiev a
impiegare regolarmente (anche se con qualche... ritocco) la
versione-Shostakovich, che fu oggetto anche delle rappresentazioni
da lui dirette nel 1998 alla Scala. Ed altri teatri hanno seguito
l’esempio, con produzioni più o meno fedeli a questa versione.
Riassumendo: oggi esistono sul mercato
(cioè pubblicate ed utilizzabili da chiunque) due versioni principali
dell’opera: quella di Rimski del 1883 e quella di Shostakovich del 1958 (la
terza versione orchestrata, quella di Asafiev, come detto è rimasta lettera
morta.) In più è disponibile il materiale di Stravinski impiegato da Abbado nel
1989 per il finale dell’opera.
___
E del finale dell’opera ci occupiamo tra
poco, descrivendone le quattro diverse forme. Prima però diamo una scorsa alle
tre versioni dell’altro finale, quello dell’atto secondo, pure rimasto
incompiuto. Quell’atto si chiude, nel manoscritto originale, con la notizia
data da Šaklovityj
dell’indagine che lo zar Pietro ha ordinato sui Chovanskij, a fronte della
denuncia anonima (ma in realtà di mano dello stesso Šaklovityj) arrivata contro
di loro: addirittura vi manca l’ultima battuta di musica, aggiunta da Lamm.
Evidentemente Musorgski, che sappiamo come nell’iter di composizione saltasse
di palo in frasca, deve aver lasciato in sospeso quel finale (per il quale era
incerto fra una semplice ma sinistra cadenza orchestrale e un... quintetto!)
proponendosi di completarlo successivamente, cosa che evidentemente non è
avvenuta.
Rimski invece - come Stasov convinto assertore della
grandezza storica di Pietro il Grande -
ha pensato bene di chiudere l’atto aggiungendo di sua iniziativa il motivo
dell’alba sulla Moscova (dal
Preludio) probabilmente come riferimento ideale e allegorico all’avvento al
potere dello zar innovatore.
Shostakovich è stato ancora più
esplicito, aggiungendo da parte sua una fanfara che si ritroverà anche più
avanti (atto IV e V) e che caratterizza musicalmente le truppe di Pietro.
Abbado ha scelto invece un’altra
soluzione ancora, forse più vicina alle... incertezze di Musorgski, copiando
qui (trasposte da MIb a RE minore) 5 battute di musica mesta e lugubre che si
ritroveranno verso la fine dell’Atto III, al momento dell’invito di Chovanskij
a Strelcy e consorti a tornarsene a casa.
___
E ora, il finale dell’opera, che merita
un discorso assai articolato, data la sua importanza non soltanto musicale. Di
esso esistono (ad oggi) quattro versioni pubblicate:
originale di Musorsgki (1880, incompleto e non strumentato, pubblicato da Lamm
nel 1931); Rimski (1883); Stravinski (1913) e Shostakovich (1958).
Cominciamo ovviamente da Musorgski (e da
Lamm che si è limitato a metterlo in
bella copia). Dopo l’incontro fra Marfa e Andrej, la scena finale si apre
con gli squilli di tromba (i soldati di Pietro) e l’appello di Dosifej: sono le
trombe dell’Eterno che ci chiamano al sacrificio nel fuoco, proclama il
santone.
Qui si inserisce una seconda parte del
dialogo fra Marfa e Andrej (lei invita l’amato a seguirla al sacrificio) che
Lamm non ha trovato tra i manoscritti di Musorsgki (quindi non è presente nella
sua edizione). Tuttavia l’Autore ne parla in una delle sue lettere (come detto,
durante gli anni della composizione, 1872-1880, egli intrattenne una fitta
corrispondenza con il suo mentore Stasov
e con altri amici) e pare certo che l’aria fosse stata cantata da Daria Leonova, un’artista che Musorsgki
era solito accompagnare nei suoi recital: Rimski deve averne avuto a
disposizione il manoscritto, tanto che ha inserito il brano nella sua edizione.
Esso viene di norma ritenuto originale (oltre che mirabile...) e quindi anche
Shostakovich lo ha incluso nella sua versione.
Ora si riodono le trombe di Pietro e i raskolniki cantano lodi al Signore.
Dosifej invita ancora i suoi fedeli ad incamminarsi verso il sacrificio: la
luce della verità vincerà contro le tenebre infernali.
Fin qui tutte le versioni - nella
sostanza - concordano. Mentre divergono anche profondamente in ciò che segue.
Musorgski progettò un coro finale dei raskolniki, che invocano il Signore, loro scudo e pastore. Per
comporlo trasse lo spunto da un corale preso dalla tradizione russa, e il cui
testo/melodia venne segnalato al compositore da un’amica, che lo aveva a sua
volta udito da una cantante. Questo riferimento figura nell’autografo di
Musorgski (riportato anche da Lamm) con l’indicazione: Cantato da Praskovia Zaritsa e fornito da Liubov Karmalina.
Da questo frammento (due strofe di 10 e
17 battute, recanti la sola melodia) Musorgski ricavò l’abbozzo del coro finale (LAb minore) impiegando le prime 10 battute della seconda strofa (cantate a cappella, come
da lui ipotizzato proprio in una lettera alla Karmalina) e ripetendole
(tagliando una battuta) con l’accompagnamento orchestrale. Ne modificò parzialmente
il testo, nella sua prima parte, in entrambe le esposizioni del tema. Con tutta
evidenza non può essere questa la chiusa di un’opera (come minimo ci si aspetterebbe
una cadenza conclusiva). Musorgski aveva anche qui lasciato scritte le sue idee
(il contrasto fra il coro dei raskolniki
e le trombe di Pietro) su come chiudere l’opera, oltre a manifestare forti dubbi
sull’opportunità di mostrare il rogo in scena, oppure di lasciarlo solo
immaginare allo spettatore.
Ecco quindi che, a partire da Rimski,
chiunque si sia cimentato con l’opera ha dovuto necessariamente completare
questo torso lasciato da Musorgski(-Lamm) con qualcosa di proprio: non certo
nuova musica (a parte piccoli dettagli) ma utilizzo di musiche dell’Autore,
riprese da altre parti del lavoro.
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Il primo a cimentarsi con l’impresa fu
quindi Rimski (per le
rappresentazioni del 1886). Aggiunse in testa al coro 6 battute di un tema del fuoco (musica che richiama
curiosamente il wagneriano Loge!) e
poi impiegò testo e melodia come riportati da Lamm, sempre in LAb minore, ma con agogica
diversa e orchestrazione che ribadisce gli interventi delle trombe di Pietro.
Alla chiusa del coro aggiunse di suo le ultimissime esternazioni di Marfa,
Andrej e Dosifej (5 battute) e poi riprese il tema trionfale di Pietro per
chiudere l’opera in modo enfatico e spettacolare, un autentico panegirico per
lo zar innovatore.
Sulla fedeltà della chiusa alle
intenzioni di Musorgski si possono ovviamente avanzare dei dubbi, giustificati
dall’atteggiamento politico di
Rimski, palesemente ideologico e pregiudizialmente favorevole a Pietro.
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Nel 1913 fu la volta di Stravinski che, su incarico di Diaghilev,
approntò un nuovo finale, abolendo tutto ciò che aveva fatto Rimski (incluse
quindi le 6 battute del fuoco, le ultimissime esternazioni di Marfa, Andrej e
Dosifej e la trionfale fanfara conclusiva) per concentrarsi completamente sul
coro, per il quale impiegò il testo del corale recapitato all’Autore dalla
Karmalina, mentre la melodia principale è ancora quella della seconda strofa (stessa
scelta di Musorgski) ma ne viene impiegata anche parte della prima (cosa ne
avrebbe pensato l’Autore?) Al coro dedicò particolare cura (vi interviene anche
la voce solista di Dosifej, oltre a quelle di Marfa e Andrej mescolate con il
coro) e ad esso applicò anche alcuni suoi, diciamo così, ritrovati musicali già
sperimentati in precedenti lavori.
A parte le modulazioni di tonalità e
qualche sapiente enarmonia (DO#=REb,
RE#=MIb, SOL#=LAb) Stravinski impiega come riempitivo (poi anche Shostakovich
lo seguirà su questa strada) le figurazioni che compaiono all’inizio del quinto
atto (la foresta). Fa capolino in contrappunto anche una reiterata citazione
del coro dei Monaci dell’inizio dell’Atto III. La chiusa si presenta - agli
antipodi di quella di Rimski - con una progressione tonale desunta dal Preludio
e con un lento dissolversi del suono, accompagnato da lugubri rintocchi di
campane.
C’è chi ipotizza (Claudio Abbado per primo, deciso assertore della validità di questa
soluzione, da lui adottata a Vienna nel 1989) che essa sia quella che
corrisponde più fedelmente alle intenzioni di Musorgski, come espresse in altre
parti della sua corrispondenza: in sostanza, niente trionfalismi pro-Pietro, ma
una conclusione piuttosto disincantata e quasi pessimistica. Si legga in
proposito come il grande Direttore spiegò al compianto Sergio Sablich le motivazioni
della scelta di questo finale stravinskiano.
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Infine Shostakovich, che produsse la sua versione nel 1958. Tenendo buono
(salvo interventi minori sull’orchestrazione e aggiungendo alle voci del coro
quelle di Marfa - prima parte - e Dosifej - seconda) tutto ciò che aveva
proposto Rimski (le 6 battute del fuoco, le esternazioni finali e le
strombettate dei soldati di Pietro, escluse le 4 battute conclusive, sostituite
da due di transizione) ma aggiungendo poi di sua iniziativa tre spezzoni di
musica e coro, precisamente:
- ripresa dall’inizio dell’atto quinto
del motivo della foresta (qui a note di lunghezza doppia, negli archi bassi e
viole) che poi accompagna il successivo coro (qualcosa di simile a quanto fatto
da Stravinski);
- coro dei moscoviti, ripreso dal primo
atto;
- ripresa (dal Preludio) del motivo
dell’alba sulla Moscova.
Anche qui, taluni critici (vedremo come
le scelte dello stesso Valery Gergiev
si schierino su questo fronte) tendono a censurare quest’ultimo intervento, che
metterebbe troppa carne al fuoco, andando ben al di là delle intenzioni di
Musorgski. Poi però le critiche divergono (succede anche per il finale del
wagneriano Ring, oggetto di interpretazioni
consolanti o pessimistiche): c’è chi - anche in forza della scelta di
Shostakovich riguardo la chiusura dell’atto secondo - interpreta il ritorno
finale del motivo dell’alba come una presa di posizione pro-Pietro, quindi
positiva ed ottimistica; e chi invece interpreta il ritorno del coro dei
moscoviti desolati e quello dell’alba come una cinica (e forse autobiografica,
per Shostakovich) sfiducia nel progresso dell’umanità (e della Russia in
particolare) poichè questi ritorni ciclici sarebbero lì a testimoniare che alla
fine tutto torna come prima... E chi può sapere con certezza quale fosse in
proposito il pensiero di Musorgski? O è proprio l’incertezza dello stesso
Autore sul significato da dare alla conclusione dell’opera che gli impedì di
completarla (un po’ come succederà a Puccini per Turandot?)
___
Prossimamente proveremo a seguire da
vicino, nei dettagli o per differenze, alcune esecuzioni dell’opera nelle diverse
versioni/esecuzioni, per meglio comprenderne i rispettivi contenuti. In particolare:
- Versione-Shostakovich:
esecuzione integrale diretta da Emil Tchakarov a Sofia, del 1986;
commenti
all’esecuzione di Valery Gergiev al Teatro
Marinskii, del 2012;
commenti
all’esecuzione di Claudio Abbado
all’Opera di Vienna, del 1989;
- Versione-Rimski
diretta da Boris Khaikin al Bolshoj
nel 1946.
Come ausilio all’ascolto, ho predisposto
questo
testo del libretto, che contiene quanto pubblicato da Pavel Lamm, con l’evidenziazione dei
principali interventi (soprattutto tagli) praticati in origine da Rimski ma in
parte seguiti anche da Abbado; delle aggiunte di Rimski e (per il finale) di
Shostakovich e Stravinski. Lo scopo è di rendere possibile seguire le diverse
versioni/interpretazioni dell’opera leggendo lo stesso testo; avendo
contemporaneamente la possibilità immediata (attraverso le colorazioni) di
apprezzare (o disprezzare...) le scelte di autori e interpreti.
___
(2.
continua...)
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