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08 marzo, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°20


Il versatile Fazil Say fa il suo ritorno dopo due anni in Auditorium nella triplice veste di compositore, solista e direttore per proporci ben due concerti per pianoforte che incastonano una sua composizione. Per la verità lui deve fidarsi così ciecamente della bravura dei ragazzi de laVerdi che lascia in pratica il ruolo di direttore alla spalla Santaniello, limitandosi a indicargli quando è ponto per attaccare... e a pochi e sobri gesti.  

Di Mozart viene inizialmente eseguito il Concerto n°1 K37, che ricade nella categoria dei cosiddetti concerti-pasticcio, poichè non sono tutta farina del sacco del Teofilo, ma riprese e rimaneggiamenti di musiche di altri compositori (si tratta sempre di tempi di sonate per tastiera). Così i tre movimenti del concerto in FA maggiore hanno tre diversi padri: Hermann Friedrich Raupach (Allegro); sconosciuto (Andante) e Leontzi Honauer (Rondò). Per di più i ricercatori hanno stabilito che anche papà Leopold ci deve aver messo le mani, per correggere e migliorare il lavoro del figlioletto undicenne. Insomma, un lavoro di... gruppo! Che peraltro mostra già le spiccate qualità del ragazzino, che Say mette in luce con grande delicatezza, dando ogni tanto una sbirciatina allo spartito... (proprio come fa qui il sommo Richter!)
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Poi Fazil ci offre una sua creazione, Yürüyen Köşk (Il palazzo semovente) un omaggio al grande Kemal Atatürk, fondatore della moderna Turchia, che purtroppo oggi un tale Erdogan sta cercando in tutti i modi di smodernizzare (ma fra i due proprio di recente c’è stato un riavvicinamento...)

Il brano, ispirato da un aneddoto riguardante un... platano che Atatürk risparmiò al taglio facendo spostare su rotaie un edificio attiguo, si suddivide in quattro parti che si succedono senza soluzione di continuità:

1- Enlightenment (Illuminismo)
2- Struggle against Darkness (Lotta contro l’Oscurantismo)
3- Believing in Life (Credere nella Vita)
4- Plane Tree (Il Platano)

Vi si alternano momenti di grande lirismo e atmosfere cariche di concitazione, richiami orientaleggianti e ritmi sincopati e di jazz; sembra far capolino - nella terza parte - anche Rachmaninov; l’ultima parte riassume la vicenda del platano, con momenti di serenità rotti da altri ancora agitati o cupi e pesanti (chissà, forse lo sforzo di uomini e mezzi per spostare l’edificio...) fino alla conclusione con le note acutissime del pianoforte che evocano il cinguettare degli uccellini sul platano salvato.  

Accoglienza calorosa dal pubblico che affollava piacevolmente l’Auditorium.
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Chiusura in grande stile con il Concerto in DO minore di Beethoven. Anche qui Fazil mostra la sua vena di compositore, presentando una sua stupefacente (e per la verità anche un po’ dissacrante) cadenza del primo tempo. Ma tutta la sua lettura è personalissima e trascinante e qualche piccola sbavatura nulla toglie all’eccellenza dell’esecuzione, ben supportata dall’Orchestra, specie dalla sezione dei legni. Trionfo assicurato e ricambiato ancora con un personale bis.

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