Il versatile Fazil
Say fa il suo ritorno dopo due anni in Auditorium nella triplice veste
di compositore, solista e direttore per proporci ben due concerti per
pianoforte che incastonano una sua composizione. Per la verità lui deve fidarsi
così ciecamente della bravura dei ragazzi de laVerdi che lascia in pratica il ruolo di direttore alla spalla Santaniello, limitandosi a indicargli
quando è ponto per attaccare... e a pochi e sobri gesti.
Di Mozart viene inizialmente eseguito
il Concerto
n°1 K37, che ricade nella categoria dei cosiddetti concerti-pasticcio, poichè non sono tutta farina del sacco del
Teofilo, ma riprese e rimaneggiamenti di musiche di altri compositori (si
tratta sempre di tempi di sonate per tastiera). Così i tre movimenti del
concerto in FA maggiore hanno tre diversi padri: Hermann Friedrich Raupach (Allegro); sconosciuto (Andante) e Leontzi
Honauer (Rondò). Per di più i ricercatori hanno stabilito che anche papà Leopold ci deve aver messo le mani, per
correggere e migliorare il lavoro del figlioletto undicenne. Insomma, un lavoro
di... gruppo! Che peraltro mostra già le spiccate qualità del ragazzino, che
Say mette in luce con grande delicatezza, dando ogni tanto una sbirciatina allo
spartito... (proprio come fa qui il sommo Richter!)
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Poi Fazil ci offre una sua creazione, Yürüyen Köşk (Il
palazzo semovente) un omaggio al grande Kemal Atatürk, fondatore della moderna Turchia, che
purtroppo oggi un tale Erdogan sta
cercando in tutti i modi di smodernizzare (ma fra i due proprio di recente c’è
stato un riavvicinamento...)
Il brano, ispirato da un aneddoto riguardante un... platano che
Atatürk risparmiò al taglio facendo spostare su rotaie un
edificio attiguo, si suddivide in quattro parti che si succedono senza soluzione di
continuità:
1- Enlightenment
(Illuminismo)
2- Struggle
against Darkness (Lotta contro l’Oscurantismo)
3- Believing
in Life (Credere nella Vita)
4- Plane
Tree (Il Platano)
Vi si alternano
momenti di grande lirismo e atmosfere cariche di concitazione, richiami
orientaleggianti e ritmi sincopati e di jazz;
sembra far capolino - nella terza parte - anche Rachmaninov; l’ultima parte
riassume la vicenda del platano, con momenti di serenità rotti da altri ancora agitati
o cupi e pesanti (chissà, forse lo sforzo di uomini e mezzi per spostare l’edificio...)
fino alla conclusione con le note acutissime del pianoforte che evocano il
cinguettare degli uccellini sul platano salvato.
Accoglienza calorosa
dal pubblico che affollava piacevolmente l’Auditorium.
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Chiusura in grande stile con il Concerto in DO minore di Beethoven. Anche qui Fazil mostra la sua
vena di compositore, presentando una sua stupefacente (e per la verità anche un
po’ dissacrante) cadenza
del primo tempo. Ma tutta la sua lettura è personalissima e trascinante e
qualche piccola sbavatura nulla toglie all’eccellenza dell’esecuzione, ben
supportata dall’Orchestra, specie dalla sezione dei legni. Trionfo assicurato e
ricambiato ancora con un personale bis.
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