Per rimpiazzare la
reiteratamente differita Fin de partie
(chissà se Kurtag ce la farà mai a
completarla...) agli abbonati alla stagione operistica è stata gentilmente
offerta la possibilità di assistere a Porgy and Bess, tornata alla Scala dopo 20 anni
suonati.
Il rispetto delle disposizioni
(piuttosto ottuse e/o ipocrite) degli eredi di Gershwin (o cantano solo persone di colore, o l’opera non si può fare in forma
scenica) ha indotto Philipp
Harnoncourt (figlio del compianto Nikolaus,
il quale diresse l’opera nel 2009 a Graz)
ad optare per una rappresentazione cosiddetta semi-scenica.
Il che ha comportato in
sostanza la rinuncia a tradizionali scenografie (sostituite da foto o filmati –
di Charleston? - proiettati sullo sfondo) e ad un impiego quasi-statico ed oratoriale del coro della Scala (che non
è di colore...) sistemato
prevalentemente su una tribunetta. Altre trovate sceniche più o meno
intelligenti prevedono l’impiego del palco di barcaccia di destra come
abitazione di Porgy, una scaletta che collega palco e buca per farvi transitare
qualche personaggio che entra ed esce da CatfishRow e le passeggiate in platea (second’atto)
dei due venditori ambulanti, a mo’ di maschere che vendevano nei cinema
caramelle e gomme americane. Ecco, qualcosa quindi più vicino (ma solo
scenograficamente!) ad un musical.
Quanto al contenuto
musicale, Harnoncourt-jr e il
Direttore Alan Gilbert hanno seguito
evidentemente le scelte di Harnoncourt-sr,
che optò per una versione dell’opera basata sulla revisione fatta dall’autore
dopo la prima di Boston del 1935. Per
limitare ad uno solo gli intervalli, si è spezzato in due – dopo la prima scena
- il second’atto (che da solo durerebbe ben più di un’ora) in modo da
equilibrare lo spettacolo in due parti di 80 e 90 minuti rispettivamente.
In fin dei conti il
risultato complessivo mi è parso di tutto livello. E proprio il coro di Casoni (compresi i piccoli di Marco De Gaspari nella loro fugace
apparizione) merita un incondizionato elogio, per la brillantezza e la
straordinaria verve che ha messo nel
creare le atmosfere, vuoi allegre, vuoi tragiche, della comunità dei negri
della South-Carolina. Rimarchevole anche la prestazione dell’orchestra - che Gilbert ha diretto con piglio ma anche
con sobrietà di gesto – sempre efficace nelle esuberanti macchie di colore come
nei passaggi più intimistici e strappalacrime della partitura. Davide Laura si è distinto nelle diverse
apparizioni con il banjo.
Del cast vocale non potrei
dire altro che bene: tutti autentici specialisti, tra i quali spiccano Morris Robinson, uno splendido Porgy e Chauncey Packer, brillante Sportin’Life.
Bess era l’unica faccia... conosciuta qui da noi (Kristin Lewis) e se l’è cavata discretamente, salvo qualche bercio
eccessivo. Ma tutti, proprio tutti hanno dato il massimo contributo alla piena
riuscita dello spettacolo, che il pubblico (non foltissimo, ad essere onesti)
ha accolto con crescente calore e applausi finali per tutti.
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