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08 dicembre, 2016

La Butterfly di SantAmbrogio

 

Dato che la vedrò presto dal vivo, ieri pomeriggio ho preferito ascoltare la Madama su Radio3 invece che (anche) vederla su RAI1, in modo da poter seguire la musica anche con gli occhi oltre che con le orecchie. Occhi puntati sulla partitura Ricordi (in pratica, la versione di Parigi del 1906, quella universalmente impiegata e rappresentata) e il libretto (dal sito del teatro) che riporta il testo della ricostruzione della versione originale, fatta da Julian Smith, che evidenzia le parti presenti nella versione della disastrosa prima del 1904, successivamente tagliate (o in parte modificate) da Puccini.

Il fatto stesso che si parli di ricostruzione lascia capire come della versione 1904 non esista un riferimento authoritative (come si dice in gergo) e quindi come si debba andar piano a sostenere che ciò che si è udito ieri sia precisamente ciò che venne sonoramente disapprovato in quella lontana prima alla Scala. Personalmente lascerei queste primizie (quando sono – manifestamente – di qualità inferiore a ciò che si è in seguito consolidato) ad occasioni diverse da un SantAmbrogio: questa del 2016 mi ricorda la ri-apertura (con la famigerata Europa riconosciuta) del 2004, ecco.  

Chi ha visto l’opera in teatro o alla TV senza conoscerne più che bene la versione tradizionale probabilmente avrà potuto cogliere solo poche macro-differenze: come l’aggiunta della scenetta da avanspettacolo dell’ubriacone Yakusidé e la scomparsa del fiorito asil. In realtà le differenze sono numerose e attengono principalmente (nel primo atto) a battute piuttosto volgari ed offensive, al limite del razzismo, nei confronti della civiltà del Sollevante, battute dove oltretutto la musica tende ad allinearsi alla volgarità del testo. Forse per compensare questi tratti di anti-giapponesità c’è anche una battuta anti-yankee, laddove Butterfly, nel duetto di fine atto I, confessa a Pinkerton di averlo considerato (prima di conoscerlo) un barbaro, una vespa in quanto americano. 

E proprio quel passaggio (dalle parole di lei - Pensavo, se qualcuno volesse - a quelle di Pinkerton - Racconta) mi pare uno dei peggiori, sia dal punto di vista musicale che drammatico: quella rievocazione che Butterfly fa delle circostanze di natura commerciale che portarono al loro incontro provoca (nella prosaicità del testo e nell’insignificanza dell’accompagnamento musicale) una tremenda caduta di tensione all’interno di quel mirabile duetto che è una delle vette più alte dell’opera. E anche la scena dell’arrivo di Sharpless e dei coniugi Pinkerton nel finale è decisamente più debole (e non solo per il mancato Addio, fiorito asil) nella versione originale: la parte di Kate è assai più sviluppata (è lei che direttamente tratta con Butterfly la cessione del bambino) ma a scapito del realismo e della tensione drammatica, che invece troviamo nella versione divenuta poi tradizionale (dove è Sharpless a convincere la poveretta). Anche il passaggio del tentato pagamento dei danni (Sharpless che cerca senza successo di consegnare a Butterfly i denari di Pinkerton) è francamente insopportabile in quell’atmosfera carica di tensione che segue le parole di lei (Fra mezz’ora salite la collina) che nel libretto originale oltretutto devono essere ripetute poco dopo. 

E mi fermo qui, ma si potrebbe continuare nell’elencazione delle debolezze di questa (sedicente) versione originale. Insomma, siamo proprio sicuri che il fiasco di quel mercoledi 17 febbraio 1904 fosse dovuto esclusivamente alle trame di Sonzogno?      

Dirò la mia sull’esecuzione e sull’allestimento dopo l’esame in-corpore-vili; per ora mi fido delle impressioni di Amfortas, che come al solito si è eroicamente esposto a botta calda.

1 commento:

Amfortas ha detto...

Grazie della citazione, sei gentilissimo come sempre. Ciao, attenderò la tua recensione dal vivo.