Dato che la vedrò presto dal vivo, ieri
pomeriggio ho preferito ascoltare la Madama su Radio3 invece che (anche)
vederla su RAI1, in modo da poter seguire la musica anche con gli occhi oltre che con le orecchie. Occhi puntati
sulla partitura Ricordi
(in pratica, la versione di Parigi del 1906, quella universalmente impiegata e
rappresentata) e il libretto (dal sito del teatro)
che riporta il testo della ricostruzione della versione originale, fatta da Julian Smith, che evidenzia le parti
presenti nella versione della disastrosa prima
del 1904, successivamente tagliate (o in parte modificate) da Puccini.
Il
fatto stesso che si parli di ricostruzione
lascia capire come della versione 1904 non esista un riferimento authoritative (come si dice in gergo) e
quindi come si debba andar piano a sostenere che ciò che si è udito ieri sia
precisamente ciò che venne sonoramente disapprovato in quella lontana prima alla Scala. Personalmente lascerei
queste primizie (quando sono –
manifestamente – di qualità inferiore a ciò che si è in seguito consolidato) ad
occasioni diverse da un SantAmbrogio: questa del 2016 mi ricorda la ri-apertura
(con la famigerata Europa riconosciuta)
del 2004, ecco.
Chi ha visto l’opera in teatro o alla TV
senza conoscerne più che bene la versione tradizionale probabilmente avrà
potuto cogliere solo poche macro-differenze: come l’aggiunta della scenetta da
avanspettacolo dell’ubriacone Yakusidé e la scomparsa del fiorito asil. In realtà le differenze sono numerose e attengono
principalmente (nel primo atto) a battute piuttosto volgari ed offensive, al
limite del razzismo, nei confronti della civiltà del Sollevante, battute dove
oltretutto la musica tende ad allinearsi alla volgarità del testo. Forse per
compensare questi tratti di anti-giapponesità
c’è anche una battuta anti-yankee,
laddove Butterfly, nel duetto di fine atto I, confessa a Pinkerton di averlo
considerato (prima di conoscerlo) un barbaro, una vespa
in quanto americano.
E proprio quel passaggio (dalle parole di lei - Pensavo, se
qualcuno volesse - a quelle di
Pinkerton - Racconta)
mi pare uno dei peggiori, sia dal punto di vista musicale che drammatico: quella
rievocazione che Butterfly fa delle circostanze di natura commerciale che portarono al loro incontro provoca (nella prosaicità
del testo e nell’insignificanza dell’accompagnamento musicale) una tremenda
caduta di tensione all’interno di quel mirabile duetto che è una delle vette
più alte dell’opera. E anche la scena dell’arrivo di Sharpless e dei coniugi
Pinkerton nel finale è decisamente più debole (e non solo per il mancato Addio, fiorito
asil) nella versione originale: la parte di Kate è assai più
sviluppata (è lei che direttamente tratta
con Butterfly la cessione del bambino)
ma a scapito del realismo e della tensione drammatica, che invece troviamo nella
versione divenuta poi tradizionale (dove è Sharpless a convincere la
poveretta). Anche il passaggio del tentato pagamento
dei danni (Sharpless che cerca senza successo di consegnare a Butterfly i
denari di Pinkerton) è francamente insopportabile in quell’atmosfera carica di
tensione che segue le parole di lei (Fra mezz’ora salite la collina) che nel
libretto originale oltretutto devono essere ripetute poco dopo.
E mi fermo qui, ma si potrebbe
continuare nell’elencazione delle debolezze di questa (sedicente) versione
originale. Insomma, siamo proprio sicuri che il fiasco di quel mercoledi 17
febbraio 1904 fosse dovuto esclusivamente
alle trame di Sonzogno?
Dirò la mia sull’esecuzione e sull’allestimento
dopo l’esame in-corpore-vili; per ora
mi fido delle impressioni di Amfortas,
che come al solito si è eroicamente esposto a botta calda.
1 commento:
Grazie della citazione, sei gentilissimo come sempre. Ciao, attenderò la tua recensione dal vivo.
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