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28 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.3


Gaetano D'Espinosa sale sul podio de laVerdi (il podio basso, non quello doppio riservato alla piccola Xian, in maternità…) per il terzo concerto della stagione principale, in un Auditorium purtroppo assai poco… popolato

Serata che inizia con Alexander Arutjunjan – compositore armeno scomparso solo sei mesi fa, a 92 anni - e il suo Concerto per tromba (1950) interpretato da un altro Alessandro, il bravissimo Caruana, che in Auditorium è di casa, occupando da anni la seggiola di prima parte dell'Orchestra.
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Il Concerto in realtà ha una struttura assai aperta, che poco ha a che fare con quella classica; macroscopicamente vi si possono distinguere: un'introduzione lenta seguita dal tema principale, assai vivace, e poi da un secondo tema più lento; quindi da una specie di sviluppo dei due temi; poi subentra un nuovo tema lento, cui segue la ripresa del tema principale; una cadenza porta infine alla conclusione. In partitura non esistono quindi indicazioni specifiche di movimenti, ma solo alcune notazioni agogiche, e precisamente:

a) Largo, solenne (23 battute in 4/4): costituisce in pratica l'Introduzione del brano, in LAb, dove la tromba (l'Autore prescrive l'impiego di quella in SIb, che secondo lui sarebbe la più comoda per eseguire il brano, che prevalentemente si muove sulla tonalità di LAb) suona un motivo dal sapore tipicamente gitano (l'Armenia fu attraversata ed abitata da Rom nei secoli passati):
b) Veloce ed energico (55 battute): vi troviamo le due sezioni dello spigliato tema principale (4/4) in LAb maggiore, anche questo richiamante atmosfere zingaresche, presentato dalla tromba dopo essere stato introdotto, su un tempo di 5/4 e poi di 3/4, in modo per l'appunto… energico, dall'orchestra:
La prima sezione viene esposta due volte, seguita poi dalla seconda; quindi l'orchestra ripete due volte la prima e la tromba segue con la seconda, che si sviluppa fino al successivo…

c) Adagio (48 battute in 4/4): dapprima il clarinetto espone il secondo tema, in LA, caratterizzato da una salita cromatica seguita da un ripiegamento (assomiglia vagamente a quello che entra all'improvviso nell'Intermezzo interrotto del Concerto per orchestra di Bartok, di pochi anni anteriore); poi è la tromba a riprenderlo e a svilupparlo:
d) Tempo I (107 battute in 4/4): qui abbiamo una specie di sviluppo, dove i due temi esposti in precedenza si incontrano; è il clarinetto ad entrare sul primo, in LA maggiore, ma poi diversi strumenti intervengono in primo piano a riproporre entrambi i temi; il tutto sfocia in una perorazione del secondo tema in tonalità diverse (DO e MIb), poi su un intervento del clarinetto il tutto si acqueta su un DO#, che prepara il successivo…

e) Più Adagio (47 battute in 4/4 e 6/4): la tromba, innestata la sordina, riprende enarmonicamente in REb il DO# precedente ed espone una lunga e struggente melopea:

chiusa da sette gorgheggi del clarinetto, su una impertinente cantilena;

f) Tempo I (87 battute): per ben 38 battute - invece di 9 come era accaduto in b) – l'orchestra, alternando continuamente tempi di 4/4, 3/4 e 2/4, re-introduce il primo tema, ancora esposto dalla tromba e sempre in LAb; prima sezione ripetuta, seconda sezione, poi la prima ripresa due volte dall'orchestra e infine la seconda nella tromba, che adesso la sviluppa per condurla verso la…

g) Cadenza (di Timofei Dokschitzer, 27 battute in 4/4): è piuttosto breve, ma riprende i motivi principali, in chiave virtuosistica, per poi cedere il passo al conclusivo…

h) Allegro con brio, 28 battute, di cui le prime 20 ancora suonate dalla sola tromba (sono probabilmente la cadenza originale dell'Autore) con tempo continuamente ondeggiante fra 4/4, 3/4 e 2/4; poi la chiusa, con una perentoria terzina seguita da una croma, sempre in LAb.
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A parte una piccolissima sbavatura proprio nella prima battuta del brano (dovuta forse all’emozione di trovarsi al proscenio, invece che nella terza fila dei fiati) Alessandro Caruana ha interpretato questa difficile partitura in modo assolutamente impeccabile: sia nelle numerose volate virtuosistiche, che nei passaggi più intimistici e sognanti. Meritatissimi gli applausi del suo pubblico e dei suoi colleghi. 

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La Decima di Shostakovich (anno di grazia 1953) è una di quelle opere sulle quali gravarono i più svariati condizionamenti extra-musicali. A partire da quelli cabalistici: il fatidico numero 9 - di sinfonie completate - che nessuno dopo Beethoven aveva saputo, o potuto, o voluto superare. Per continuare con quelli politici: un simpatico baffone georgiano aveva finalmente tolto il disturbo (e che disturbo, accipicchia!) e con esso la prospettiva - sempre incombente, e non solo sugli artisti – di gulag, siberie e plotoni di esecuzione; adesso si poteva, forse, tornare a comporre senza la fastidiosa pressione del mitra di Zdanov sulla nuca. Per finire poi con quelli di natura squisitamente biografica ed esistenziale: l'ossessione del musicista di firmare musicalmente le sue opere con la sua sigla (DSCH) e l'infatuazione per un'allieva dell'Azerbaijan – Elmira Nasirova, evidentemente tanto interessante, per lui, quanto… brutta (!) – alla quale dedicò per qualche tempo attenzioni intensissime, anche se probabilmente platoniche e più che altro epistolari, oltre che corrisposte assai tiepidamente. Per dire, una volta le scrisse una lettera firmandosi con… alcune note musicali:
È l'incipit della famosa aria di Lenski dall'Onegin, che su quelle note canta (a Olga) le parole Ya lyublyu vas, ya lublyu vas, Ti amo, ti amo

Nell'Allegretto il compositore ci porge due temi, il primo dei quali rappresenta se stesso in modo scoperto: è il famoso DSCH, che (similmente a BACH) attraverso la decodifica dei simboli musicali anglosassoni (D, C, H) e dello spelling del tedesco Es forma il motto RE-MIb-DO-SI, suonato inizialmente dai tre strumentini:

E che è pure scolpito sulla lapide del compositore al cimitero di Novodevici:


L'altro tema, che vagamente richiama l'incipit del mahleriano Lied von der Erde, è quello della musa Elmira, la cui decifrazione è per la verità assai stiracchiata: la E iniziale sarebbe sempre il simbolo anglosassone per il nostro MI, la elle è l'iniziale di LA, mi è… il MI, la erre è l'iniziale di RE e la a finale è ancora l'anglosassone A; il tutto a produrre MI-LA-MI-RE-LA. È il corno a proporre per ben 12 volte il motivo (sul quale peraltro quel nome sarebbe proprio incantabile, diciamolo francamente!):

Stando così le cose, viene spontanea la domanda: ma questa musica si può apprezzare in quanto musica assoluta, oppure ci dice qualcosa solo se prima veniamo a conoscenza di tutti i retroscena di natura pubblica e privata che accompagnarono la sua composizione? Ma vale anche il viceversa: non è che per caso la conoscenza di quei retroscena finisca per svilire alle nostre orecchie il valore squisitamente musicale dell'opera? In fondo sono le stesse domande che ci si potrebbe porre per il Tristan (rispetto a Mathilde) o per la Sesta di Mahler (in rapporto alle presunte capacità divinatorie del compositore); o anche per la Sinfonia Domestica di Strauss, ispirata da un prosaico ménage familiare.

Di certo è una musica che evoca momenti di drammatica depressione: nel Moderato iniziale potremmo vedere, come lo stesso Autore rivelò – ma molti anni dopo la composizione, il che rende sospetta la cosa – la vita grama che si faceva in URSS sotto lo stalinismo (addirittura, dopo il primo dei due grandiosi climax del movimento, compare nei primi violini la sigla del compositore, ma praticamente agitata come in un frullatore: DCHS!); e nella conclusione del movimento potremmo immaginare persino lo stesso Shostakovich finito sull'orlo del suicidio. Ma quella stessa musica potrebbe evocare mille altre situazioni di depressione, materiale e spirituale: per dire, anche l'Adagio cantabile della Prima di Ciajkovski è espressamente titolato Terra di desolazione, eppure lo stalinismo era ancora di là da venire… Invece ciò che rende questa musica grande è la sua coerenza tematica e la sua robustezza strutturale: sì perché, signori, anche se dalla sua nascita erano passati 2 secoli durante i quali era stata sottoposta ai più svariati trattamenti, qui abbiamo una vera sinfonia, con tutte le carte in regola!

Nel brevissimo Allegro l'Autore disse esplicitamente di aver voluto evocare proprio lui, baffone Stalin! E di sicuro è musica che può benissimo rappresentare l'isteria di un tiranno tanto insopportabile quanto efficiente nelle attività… purgative. Ma musica simile Shostakovich l'aveva già scritta prima che Stalin andasse al potere, e se chiedessimo a qualcuno che ignora quel retroscena che cosa gli evocano queste note, potrebbe rispondere in mille modi diversi: dallo sferragliare di una locomotiva in corsa sfrenata, alla piena di un torrente di montagna, al mare sconvolto da un uragano tropicale, al fracasso di magli in una fabbrica o di spolette in un reparto di tessitura… ma mai e poi mai risponderebbe: perdinci! ma questo è Stalin, come no! si riconosce fin dalla prima nota… (e poi, parliamoci chiaro, questa è musica talmente bella che Stalin non se la meriterebbe proprio!)

Nell'Allegretto sappiamo che l'Autore ha voluto impersonare musicalmente se stesso e la sua musa,
 presentandoci i due temi dapprima disgiunti, poi sempre più vicini ed avvinti inestricabilmente… ma il valore estetico di questa musica sta nel magistrale trattamento di quei temi, non certo nell'evocazione di una stramba relazione sentimentale, che pure può averli ispirati.

E il conclusivo Andante, con tutti quei DSCH sparati a piena voce, pare mostrarci il compositore che finalmente può uscire allo scoperto e gridare: Io, Dimitri Dmitrievič Shostakovich, sono ancora qui, più vivo che mai, e con me sta la vera arte, libera e nobile, che nessun potere protervo potrà mai soffocare. (Bravo! ma c'era bisogno di spargere megalomania a piene mani, per chiarire il concetto?)

Insomma, un'opera che è e resta grande anche a dispetto di tutta la fuffa pubblicitaria di cui fu ricoperta già dal suo Autore e poi dagli ambienti del business musicale.
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laVerdi vanta l'invidiabile record di aver inciso, da 12 anni a questa parte con Oleg Caetani-Markevitch, l'intero corpo delle sinfonie di Shostakovich. E ieri ha confermato la sua affinità elettiva con questa musica proponendoci un'esecuzione trascinante e coinvolgente di questo autentico monumento sonoro. 

Merito anche di Gaetano D’Espinosa, giovane direttore palermitano - che, complice la maternità di Xian, sarà ancora sul podio per i prossimi due concerti – dimostratosi assolutamente padrone della partitura: convincente nei tempi tenuti e sempre preciso e perentorio negli attacchi. Il suo modo di muoversi sul podio ricorda vagamente Georg Solti, e questo mi pare già un buon segno!  

Prossimamente tutta Francia, con un po’ di sangue russo. 

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