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21 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.2


Per il secondo appuntamento in Auditorium ecco musica di Spagna composta da un russo, due francesi e uno spagnolo… francesizzato! Tutta musica orecchiabile e fischiettabile, che potrebbe definirsi (rubo il titolo di una vecchia collezione di vinili anni-60) Musica classico-leggeraE francamente più adatta ad una qualche kermesse estiva, magari all’aperto, che ad un serio concerto della stagione principale.

Ancora a riprendersi dal parto casalingo la titolare Xian, sul podio è sempre il suo Assistente Jader Bignamini, che ha così modo di estendere ben oltre il programmato la sua presenza alla guida dell’Orchestra, in cui entrò anni fa come specialista di clarinetto piccolo (ma sono più d’uno i Direttori divenuti famosi grazie a fortuite circostanze; uno per tutti: Toscanini, che fa pure rima, smile!) E nel programma di questa settimana ci sono due brani che figuravano in quelli di due concerti della stagione 10-11 (il 25 e il 32) quando Bignamini sedeva nella seconda fila dei fiati (rispettivamente per lo Zarathustra e proprio per il Bolero).

Apertura con Capriccio spagnolo di Rimsky, che già avevamo ascoltato all’inizio di quest’anno alla Scala con Gergiev (qui alcune mie note introduttive).

L’unico rilievo che mi sentirei di fare all’esecuzione riguarda i tempi piuttosto slentati, che credo non rendano giustizia a questo brano spumeggiante e pieno di verve, suonato ieri con eccessiva prosopopea.   

Ora abbiamo una sinfonia con violino principale, genere piuttosto inconsueto (a meno di non rifarsi a Mozart e alle sue sinfonie concertanti). Qualcuno può anche intenderla come un ipertrofico concerto per violino e orchestra, in 5 movimenti invece dei 3 canonici… Si tratta della Symphonie espagnole di Edouard Lalo, che qui ci viene proposta da Karen Gomyo, una simpatica ragazza nippo-canadese che suona uno Stradivari del 1703, pare appartenuto ad Henri Vieuxtemps e oggi catalogato come ex-Foulis dal nome di una violinista scozzese (Lilian Foulis) che lo suonava all’inizio del ‘900, dopo averlo acquistato a Londra per 1000 Ghinee (una fortuna, ai tempi) da Hill&Sons. 
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L’iniziale Allegro non troppo (RE minore, 4/4 alla breve) è un movimento in forma-sonata delle più canoniche. Subito l’orchestra espone il motivo introduttivo, ripreso immediatamente dal violino, poi ancora dall’orchestra, che comincia a presentare il classico ritmo spagnoleggiante, dove la battuta in 4/4 è divisa in una terzina più due semiminime (3+2, poi più avanti anche 2+3):


Più avanti il violino solista presenta quello che possiamo identificare propriamente come primo tema:

Il quale si arricchisce di virtuosistiche figurazioni, che l’orchestra accompagna fino alla preparazione dell’ingresso del secondo tema: il violino lo introduce modulando a SIb (sottodominante della relativa maggiore – FA - del RE minore d’impianto) ma sono strumenti gravi (violoncelli, contrabbassi e fagotti) a presentarlo per primi, lasciando poi spazio al solista che lo espone (dolce, espressivo) in tutta la sua estensione:

Dopo averlo riproposto, il violino ripiega, con tutta l’orchestra, sul RE minore, dove abbiamo uno sviluppo piuttosto breve, nel quale il solista ha modo di esprimere le sue capacità virtuosistiche.

Si arriva quindi alla ricapitolazione, con il primo tema che torna ovviamente in RE minore ed il secondo che – forma-sonata imponendo – si adegua ed appare quindi in RE maggiore. Ancora passaggi virtuosistici e si ritorna al RE minore, dove spezzoni del primo tema portano rapidamente alla cadenza conclusiva.

Ora ecco l’Allegro molto (Scherzando è il titolo del movimento, 3/8 in SOL maggiore). Sono gli archi in pizzicato a dettare il ritmo ternario (caratteristico della seguidilla) sul quale il violino innesta il suo lunghissimo tema, che principia così:

E che poi prosegue infittendo il tessuto musicale, con continue terzine di semicrome, fino ad arrivare ad un culmine in cui assistiamo ad una modulazione a MIb, e da qui ad un rallentamento del ritmo: entriamo infatti in quello che nei classici Scherzi è il Trio.  

Dapprima il solista espone incisi melodici sul MIb e sul SIb, poi sul SOL minore, nella quale tonalità (ancora Poco più lento) ecco comparire nel violino un motivo dolente, che però porta, riaccelerando i tempi, al SOL maggiore, per la ripresa dello Scherzo, che giunge alla fine vagando ancora sul SOL minore, per chiudere sul SOL vuoto e grave di archi e timpani.

Segue l’Intermezzo (Allegretto non troppo, 2/4 in LA minore) che - chissà perché - fu (ed è ancora, come dimostrato proprio ieri sera) ingiustamente cassato da tanti esecutori… Torna la configurazione 3+2, scandita da tutta l’orchestra nell’introduzione, prima che il solista esponga una dolente melodia:

A ben vedere (anzi… ascoltare!) la seconda sezione della quale – se trasposta in RE – potrebbe benissimo seguire il primo tema del movimento iniziale:

Il movimento è… movimentato da una sezione in 6/8, dove il solista ha ancora modo di mettersi in mostra, prima che si torni alla tonalità base, con la riesposizione del tema principale, che porta alla chiusa, suggellata da un accordo di LA minore di tutta l’orchestra.

Il quarto movimento è un Andante (3/4, RE minore) aperto da una specie di corale dei fiati e degli archi bassi. Curiosamente ricorda un po’ l’analogo tempo della renana di Schumann (sinfonia che si caratterizza, come questa di Lalo, per i 5 movimenti, di cui il quarto ricorda una musica da cattedrale). Il violino espone la mesta melodia del tema principale:

Osserviamo bene le prime quattro battute, poiché quella configurazione di note tornerà – in diverso tempo e atmosfera – nel tema cantabile del Rondo finale. Dopo un intervento orchestrale, ancora il solista entra con un secondo tema in RE minore:


che però, quasi magicamente, muta presto in maggiore, acquistando quindi una carica di ottimismo:

subito ripresa dai primi violini, poi ancora dal solista, fino ad arrivare ad uno schianto dell’orchestra, che riporta al tema principale. Ma la chiusa è ancora nel segno del RE maggiore.

Il finale è un Rondo (Allegro, 6/8 in RE maggiore) il cui ritmo di base viene scandito quasi subito dal primo fagotto (cui si aggiungeranno poi altri strumenti) con un inciso ripetuto per ben 13 volte (che si tratti di scaramanzia? smile!) prima dell’ingresso del violino solista:

Il quale presenta il tema principale del Rondo:

Un Rondo piuttosto… asimmetrico, chè il tema principale ne è il quasi assoluto protagonista, in quanto lo sentiamo ripetuto – più o meno variato e infiorettato - per tre volte in RE, poi una quarta in FA#, quindi ancora modulato a SIb e infine di nuovo a RE maggiore. Solo ora il solista trascina l’orchestra ad una modulazione alla dominante LA, dove finalmente compare qualcosa di nuovo: un motivo marziale, scandito a piena orchestra, poi ripreso dal violino, che finalmente passa a proporci un tema di derivazione popolare (le cui prime note avevamo udito nell’Andante); non a caso esso verrà ripreso e sfruttato commercialmente molti anni più tardi (1938) dalla musicista messicana, allieva di Debussy, Maria Grever che (insieme ad un altro inciso preso da España di Chabrier) ci costruì la canzoncina Ti-pi-tin, che fu poi portata in Italia prima dal Trio Lescano e poi ripresa anche da Gigliola Cinquetti (le parole italiane che Galdieri appiccicò al tema recitano: La luna vide dal cielo Rosita baciar Manuelo…)

A questo punto si riaccelera per tornare al tema principale, esposto due volte, come in precedenza, in FA# e poi in SIb: sono circa 70 battute che a volte vengono tagliate, come qui - a 28'40" - da Isaac Stern (ma non è escluso che il motivo fosse semplicemente… la limitata capienza di una facciata del 33-giri, smile!); il buon Vadim Repin invece non si fa sconti ed esegue anche questa sezione (tra 28’10” e 29’25”).

L’intera orchestra riprende in RE maggiore il tema principale, che poi il solista porta con  nuovi virtuosismi verso la trionfale conclusione.
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Karen Gomyo ne deve avere – per me – una visione piuttosto bizzarra. A parte l’imperdonabile taglio dell’Intermezzo (malignità: forse troppo difficile?) lei sembra perennemente alla ricerca del facile effetto, infarcendo il brano di continue gigionerie, con abuso di rubati e tempi anche qui eccessivamente lenti (forse per recuperare il movimento mancante, smile!) Cerca allora di farsi perdonare con bis del suo amato Piazzolla. Il successo non manca, ma francamente la sua interpretazione non mi ha convinto, amen.  

Dopo l’intervallo finalmente un compositore spagnolo, anche se di fatto cooptato a Parigi – dove visse accanto a Debussy e Ravel, tanto per dire - all’inizio del secolo scorso: Manuel De Falla, di cui ascoltiamo la Seconda Suite da El sombrero de tres picos, un balletto commissionato dall’onnipresente Diaghilev e rappresentato per la prima volta a Londra nel 1919.  

Tratto da una novella di Pedro Antonio de Alarcòn, è una specie di farsa a lieto fine, piena di equivoci, travestimenti e bagni fuori stagione, dove il Corregidor (una specie di Podestà del paesotto) insidia la bella moglie di un mugnaio e fa la fine… che si merita, smerluzzato da tutto il popolo nella notte di San Giovanni. Qui sotto la storiella completa, per chi volesse sorriderci sopra:

Dal balletto (qui una pregevole esecuzione di Ansermet con la Berganza) De Falla estrasse due Suites, che racchiudono buona parte (circa i 2/3, come tempo di esecuzione) della musica originale. In particolare sono stati esclusi gli interventi del mezzosoprano.
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La Suite n°2 comprende tre numeri, tutti provenienti dalla seconda parte del balletto. Il primo è una seguidilla, La danza dei vicini:
Il secondo numero è una farruca, tratto da La danza del mugnaio:

Chiude la vorticosa Jota  che, in DO maggiore, presenta più volte il tema principale e più famoso del balletto:

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Qui direi che le cose sono andate meglio: un’esecuzione apprezzabile sotto tutti gli aspetti. Se posso permettermi un consiglio, farei sempre eseguire le due Suite insieme, quei 10 minuti in più per la N°1 sarebbero ben spesi. 

Chiusura in bellezza con Ravel e il suo inflazionatissimo Bolero (ascoltato proprio qui in Auditorium poco più di un anno fa).

La figura che segue non rappresenta un quadro astratto, né ha a che fare con il gioco del tetris, ma dà l’idea dell’impiego degli strumenti nel corso dell’esecuzione: si parte in pratica con il solo tamburino, per di più in pianissimo, e si arriva, dopo un quarto d’ora o giù di lì, ad un vero e proprio uragano sonoro dell’intera orchestra:


È ancora Ivan Fossati a trascinare l’orchestra con il suo tamburino, dislocato proprio davanti a Bignamini. Il quale mostra ancora una volta la sua grande sicurezza ed una meticolosa attenzione ai dettagli, mettendo nel dovuto risalto anche le piccole forchette che Ravel annota in partitura, per creare dei chiaroscuri nella dinamica, che attenuano gli effetti legati alla ripetitività dei motivi. Trionfo assicurato (ma l’entrata del saxofono era in fuorigioco, o sbaglio?)

L’appuntamento n°3 – nonostante la perdurante assenza di mamma-Zhang - si prospetta assai interessante, con un programma tutto... sovietico.
  

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