Per il
secondo appuntamento in Auditorium ecco musica di Spagna
composta da un russo, due francesi e uno spagnolo… francesizzato! Tutta musica
orecchiabile e fischiettabile, che potrebbe definirsi (rubo il titolo di una
vecchia collezione di vinili anni-60) Musica
classico-leggera. E francamente più adatta ad una qualche kermesse estiva, magari all’aperto, che ad
un serio concerto della stagione principale.
Ancora a
riprendersi dal parto casalingo la titolare Xian,
sul podio è sempre il suo Assistente Jader
Bignamini, che ha così modo di estendere ben oltre il programmato la
sua presenza alla guida dell’Orchestra, in cui entrò anni fa come specialista
di clarinetto piccolo (ma sono più d’uno i Direttori divenuti famosi grazie a
fortuite circostanze; uno per tutti: Toscanini,
che fa pure rima, smile!) E nel
programma di questa settimana ci sono due brani che figuravano in quelli di due
concerti della stagione 10-11 (il 25 e il 32) quando Bignamini sedeva nella
seconda fila dei fiati (rispettivamente per lo Zarathustra e proprio per il
Bolero).
Apertura con Capriccio spagnolo di Rimsky, che già avevamo ascoltato
all’inizio di quest’anno alla Scala con Gergiev
(qui alcune mie
note introduttive).
L’unico
rilievo che mi sentirei di fare all’esecuzione riguarda i tempi piuttosto slentati,
che credo non rendano giustizia a questo brano spumeggiante e pieno di verve, suonato
ieri con eccessiva prosopopea.
Ora abbiamo
una sinfonia con violino principale, genere piuttosto inconsueto (a meno di non
rifarsi a Mozart e alle sue sinfonie
concertanti). Qualcuno può anche intenderla come un ipertrofico concerto
per violino e orchestra, in 5 movimenti invece dei 3 canonici… Si tratta della Symphonie
espagnole di Edouard Lalo,
che qui ci viene proposta da Karen Gomyo,
una simpatica ragazza nippo-canadese che suona uno Stradivari del 1703, pare appartenuto ad Henri Vieuxtemps e oggi catalogato come ex-Foulis dal nome di una violinista scozzese (Lilian Foulis) che lo suonava all’inizio del ‘900, dopo averlo
acquistato a Londra per 1000 Ghinee (una fortuna, ai tempi) da Hill&Sons.
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L’iniziale
Allegro non troppo (RE minore, 4/4 alla breve) è un movimento in
forma-sonata delle più canoniche. Subito l’orchestra espone il motivo
introduttivo, ripreso immediatamente dal violino, poi ancora dall’orchestra,
che comincia a presentare il classico ritmo spagnoleggiante, dove la battuta in
4/4 è divisa in una terzina più due semiminime (3+2, poi più avanti anche 2+3):
Più
avanti il violino solista presenta quello che possiamo identificare
propriamente come primo tema:
Il
quale si arricchisce di virtuosistiche figurazioni, che l’orchestra accompagna
fino alla preparazione dell’ingresso del secondo tema: il violino lo introduce
modulando a SIb (sottodominante della relativa maggiore – FA - del RE minore
d’impianto) ma sono strumenti gravi (violoncelli, contrabbassi e fagotti) a
presentarlo per primi, lasciando poi spazio al solista che lo espone (dolce, espressivo) in tutta la sua
estensione:
Dopo
averlo riproposto, il violino ripiega, con tutta l’orchestra, sul RE minore,
dove abbiamo uno sviluppo piuttosto
breve, nel quale il solista ha modo di esprimere le sue capacità
virtuosistiche.
Si
arriva quindi alla ricapitolazione,
con il primo tema che torna ovviamente in RE minore ed il secondo che – forma-sonata imponendo – si adegua ed
appare quindi in RE maggiore. Ancora passaggi virtuosistici e si ritorna al RE
minore, dove spezzoni del primo tema portano rapidamente alla cadenza
conclusiva.
Ora
ecco l’Allegro molto (Scherzando è il titolo del movimento,
3/8 in SOL maggiore). Sono gli archi in pizzicato
a dettare il ritmo ternario (caratteristico della seguidilla) sul quale il violino innesta il suo lunghissimo tema,
che principia così:
Dapprima
il solista espone incisi melodici sul MIb e sul SIb, poi sul SOL minore, nella
quale tonalità (ancora Poco più lento)
ecco comparire nel violino un motivo dolente, che però porta, riaccelerando i
tempi, al SOL maggiore, per la ripresa dello Scherzo, che giunge alla fine vagando ancora sul SOL minore, per
chiudere sul SOL vuoto e grave di archi e timpani.
Segue
l’Intermezzo (Allegretto non troppo, 2/4 in LA minore) che - chissà perché - fu (ed è
ancora, come dimostrato proprio ieri sera) ingiustamente cassato da tanti esecutori… Torna la
configurazione 3+2, scandita da tutta l’orchestra nell’introduzione, prima che
il solista esponga una dolente melodia:
Il
quarto movimento è un Andante (3/4,
RE minore) aperto da una specie di corale
dei fiati e degli archi bassi. Curiosamente ricorda un po’ l’analogo tempo
della renana di Schumann (sinfonia che si caratterizza, come questa di Lalo, per i
5 movimenti, di cui il quarto ricorda una musica da cattedrale). Il violino
espone la mesta melodia del tema principale:
che però, quasi magicamente, muta presto in maggiore, acquistando quindi una carica di ottimismo:
subito
ripresa dai primi violini, poi ancora dal solista, fino ad arrivare ad uno
schianto dell’orchestra, che riporta al tema principale. Ma la chiusa è ancora
nel segno del RE maggiore.
Il
finale è un Rondo (Allegro, 6/8 in RE maggiore) il cui ritmo di base viene
scandito quasi subito dal primo fagotto (cui si aggiungeranno poi altri
strumenti) con un inciso ripetuto per ben 13 volte (che si tratti di scaramanzia?
smile!) prima dell’ingresso del
violino solista:
Il quale presenta il tema principale del Rondo:
Un
Rondo piuttosto… asimmetrico, chè il tema principale ne è il quasi assoluto
protagonista, in quanto lo sentiamo ripetuto – più o meno variato e
infiorettato - per tre volte in RE, poi una quarta in FA#, quindi ancora
modulato a SIb e infine di nuovo a RE maggiore. Solo ora il solista trascina
l’orchestra ad una modulazione alla dominante LA, dove finalmente compare
qualcosa di nuovo: un motivo marziale, scandito a piena orchestra, poi ripreso
dal violino, che finalmente passa a proporci un tema di derivazione popolare (le
cui prime note avevamo udito nell’Andante);
non a caso esso verrà ripreso e sfruttato commercialmente molti anni più tardi
(1938) dalla musicista messicana, allieva di Debussy, Maria Grever che (insieme ad un altro inciso preso da España
di Chabrier) ci costruì la canzoncina Ti-pi-tin,
che fu poi portata in Italia prima dal Trio Lescano e poi ripresa anche da Gigliola Cinquetti (le parole italiane che Galdieri appiccicò al tema recitano: La luna vide dal cielo Rosita baciar Manuelo…)
A
questo punto si riaccelera per tornare al tema principale, esposto due volte,
come in precedenza, in FA# e poi in SIb: sono circa 70 battute che a volte
vengono tagliate, come qui - a 28'40" - da Isaac Stern (ma non è
escluso che il motivo fosse semplicemente… la limitata capienza di una facciata
del 33-giri, smile!); il buon Vadim Repin invece non si
fa sconti ed esegue anche questa sezione (tra 28’10” e 29’25”).
L’intera
orchestra riprende in RE maggiore il tema principale, che poi il solista porta
con nuovi virtuosismi verso la trionfale
conclusione.
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Karen
Gomyo ne deve avere – per me – una visione piuttosto bizzarra. A parte
l’imperdonabile taglio dell’Intermezzo
(malignità: forse troppo difficile?) lei sembra perennemente alla ricerca del facile
effetto, infarcendo il brano di continue gigionerie, con abuso di rubati e tempi anche qui eccessivamente
lenti (forse per recuperare il movimento mancante, smile!) Cerca allora di farsi perdonare con bis del suo amato Piazzolla.
Il successo non manca, ma francamente la sua interpretazione non mi ha convinto,
amen.
Dopo
l’intervallo finalmente un compositore spagnolo, anche se di fatto cooptato a
Parigi – dove visse accanto a Debussy e Ravel, tanto per dire - all’inizio del
secolo scorso: Manuel De Falla, di
cui ascoltiamo la Seconda Suite da El
sombrero de tres picos, un balletto commissionato dall’onnipresente
Diaghilev e rappresentato per la prima volta a Londra nel 1919.
Tratto da
una novella di Pedro Antonio de Alarcòn,
è una specie di farsa a lieto fine, piena di equivoci, travestimenti e bagni
fuori stagione, dove il Corregidor
(una specie di Podestà del paesotto)
insidia la bella moglie di un mugnaio e fa la fine… che si merita, smerluzzato
da tutto il popolo nella notte di San Giovanni. Qui sotto la storiella completa,
per chi volesse sorriderci sopra:
Dal balletto (qui una
pregevole esecuzione di Ansermet con la Berganza) De Falla estrasse due Suites, che racchiudono buona parte (circa i 2/3, come
tempo di esecuzione) della musica originale. In particolare sono stati esclusi
gli interventi del mezzosoprano.
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La Suite n°2
comprende tre numeri, tutti provenienti
dalla seconda parte del balletto. Il primo è una seguidilla, La danza dei
vicini:
Il secondo
numero è una farruca, tratto da La danza del mugnaio:
Chiude la vorticosa
Jota che, in DO maggiore, presenta più volte il
tema principale e più famoso del balletto:
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Qui direi che le cose sono andate meglio: un’esecuzione apprezzabile sotto tutti gli aspetti. Se posso permettermi un consiglio, farei sempre eseguire le due Suite insieme, quei 10 minuti in più per la N°1 sarebbero ben spesi.
Chiusura in bellezza con Ravel e il suo inflazionatissimo Bolero (ascoltato proprio qui in Auditorium poco più di un anno fa).
Qui direi che le cose sono andate meglio: un’esecuzione apprezzabile sotto tutti gli aspetti. Se posso permettermi un consiglio, farei sempre eseguire le due Suite insieme, quei 10 minuti in più per la N°1 sarebbero ben spesi.
Chiusura in bellezza con Ravel e il suo inflazionatissimo Bolero (ascoltato proprio qui in Auditorium poco più di un anno fa).
La figura
che segue non rappresenta un quadro astratto, né ha a che fare con il gioco del
tetris, ma dà l’idea dell’impiego
degli strumenti nel corso dell’esecuzione: si parte in pratica con il solo
tamburino, per di più in pianissimo,
e si arriva, dopo un quarto d’ora o giù di lì, ad un vero e proprio uragano
sonoro dell’intera orchestra:
È ancora Ivan
Fossati a trascinare l’orchestra con il suo tamburino, dislocato proprio
davanti a Bignamini. Il quale mostra ancora
una volta la sua grande sicurezza ed una meticolosa attenzione ai dettagli, mettendo
nel dovuto risalto anche le piccole forchette
che Ravel annota in partitura, per creare dei chiaroscuri nella dinamica, che attenuano
gli effetti legati alla ripetitività dei motivi. Trionfo assicurato (ma
l’entrata del saxofono era in fuorigioco, o sbaglio?)
L’appuntamento n°3 – nonostante la perdurante assenza di
mamma-Zhang - si prospetta assai interessante,
con un programma
tutto... sovietico.
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