Sì, lo so che
qualche schizzinoso osserverà: bella forza, far meglio di Chailly, Barenboim,
Wellber, Noseda… (poi parlerò anche di Zeffirelli). Intanto però è già
qualcosa, con i tempi che corrono, e così godiamoci l’evento, come se lo è
goduto ieri sera il pubblico della terza
che ha decretato a questa Aida un successo chiaro, convinto e indiscutibile.
Di cui
personalmente accrediterei la parte sostanziosa e sostanziale al vecchietto Zubin Mehta che – nel solco della sua
tradizionale interpretazione anti-retorica e intimistica dell’opera (gliel’avevo
sentita l’ultima volta 4 anni fa a casa sua) – ha ottenuto da orchestra, coro e
cantanti un risultato di tutto rispetto: certo, non si parla di Everest, ma
insomma, già il Resegone è molto, rispetto al… monte Stella (smile!) su cui ci si era accampati negli
ultimi 10 anni, ecco.
E pensare che
questa sera stessa Zubin è atteso al varco da un’altra prova di quelle da far
tremare i polsi… (in radio da Napoli) ma si può star certi che farà un figurone.
Smarco per
primo il Coro di Casoni che in questo
repertorio non ha rivali; poi l’Orchestra
che – quando è guidata da uno che ne sa – tira fuori gli attributi, per venire
alle voci.
Anita Rachvelishvili svetta
su tutti e tutte per potenza (e questo lo sapevamo da anni, è una sua dote
naturale) e per sensibilità interpretativa (e questo non era per nulla
scontato): la sua è una Amneris davvero vicina all’ottimo. Superfluo citare il trionfo con cui è stata accolta alla
singola.
Ma una gradita
sorpresa è stata anche la negretta yankee Kristin
Lewis, a cui manca solo di sostituire con l’italiano la buona dose di grammelot che lei ancora canta, per
diventare un’Aida di tutto rispetto.
Fabio Sartori è il
bamboccione (stra-smile!) Radames e
non se la cava neanche male (certo il SIb morendo non ci prova nemmeno a farlo…): la sua mi è parsa una prestazione meritevole di
ampia sufficienza, essendo oltretutto arrivato benissimo in fondo, cosa che non
è per niente facile per chiunque.
Amonasro è un
convincente George Gagnidze, che si
comporta da cantante e non da ubriacone come capita a volte di sentire: bella
voce più di baritono che di basso, ma assai efficace e sempre intonato.
Carlo Colombara ha ben
meritato nella parte non proprio facilissima del RE: voce benissimo impostata e
sempre ben passante.
Che dire del
70enne Matti Salminen (Ramfis)? Che
ancora ce la mette tutta (quella poca o tanta che gli resta) e merita perciò un
incoraggiamento a… godersi la sacrosanta pensione!
I due accademici scaligeri Chiara Isotton (Sacerdotessa) e dovestazzazzà Azer Rza-Zada (Messaggero) han fatto degnamente il loro dovere.
Per tutti (e anche per i danzatori dei balletti) un
successo ben meritato.
___
E
a proposito di balletti, vengo a… Zeffirelli. Che la Scala ha mandato in
pensione per sostituirlo con un… mezzo-Zeffirelli, che risponde al nome di Peter Stein. Il quale ha rimosso le
scene egizie per sostituirle con squallidi soppalchi e scale di legno grezzo;
ha però rivestito tutti di costumi sontuosi (più o meno plausibili) e dotato
qualche ancella addirittura di ventaglioni da far invidia al maestro
fiorentino.
Ha
poi messo sulla scena la Banda d’Affori,
che suona a meraviglia, avendo ciascun bandista lo spartito davanti al naso,
nelle apposite pinzette montate su trombe, tromboni e cimbasso (!)
Sempre
restando ai balletti, per farsi ancor meglio notare, Stein ha pesantemente
interferito anche sui contenuti musicali, e all’uopo riporto qui una sua chicca prelibata, pubblicata sul programma di sala (mica raccontata al bar al quinto bicchiere di schnaps): riguarda i balletti del
second’atto, che lui ha disinvoltamente buttato nel cesso, con questa mirabile quanto
dotta motivazione:
Questa scena fu aggiunta da Verdi come
concessione alla tradizione del grand opéra francese, in vista di un
possibile allestimento parigino.
E per formulare
una tal sesquipedale idiozia - sulla base della quale ha praticato un barbaro
taglio ad un grande capolavoro, alla stregua delle mutilazioni inferte l’altro
giorno dagli hooligan olandesi alla barcaccia del Bernini - costui viene
anche pagato… da noi?
La
gestualità di masse e singoli è lasciata all’inventiva di ciascuno, quindi è da
vedere se il calcione rifilato dalla Anita alla Kristin è un’idea del regista o
della truce georgiana (smile!)
Insomma,
un bel passo avanti anche qui verso… l’esecuzione
in forma di concerto, che – a mio modestissimo modo di vedere – è l’unica
seria alternativa alla zeffirelliana fedeltà assoluta a libretto e partitura.
(A proposito, fra pochi giorni ne avremo esempio tangibile a Santa
Cecilia).
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