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22 febbraio, 2015

Scala: la miglior Aida del terzo millennio

 

Sì, lo so che qualche schizzinoso osserverà: bella forza, far meglio di Chailly, Barenboim, Wellber, Noseda… (poi parlerò anche di Zeffirelli). Intanto però è già qualcosa, con i tempi che corrono, e così godiamoci l’evento, come se lo è goduto ieri sera il pubblico della terza che ha decretato a questa Aida un successo chiaro, convinto e indiscutibile.

Di cui personalmente accrediterei la parte sostanziosa e sostanziale al vecchietto Zubin Mehta che – nel solco della sua tradizionale interpretazione anti-retorica e intimistica dell’opera (gliel’avevo sentita l’ultima volta 4 anni fa a casa sua) – ha ottenuto da orchestra, coro e cantanti un risultato di tutto rispetto: certo, non si parla di Everest, ma insomma, già il Resegone è molto, rispetto al… monte Stella (smile!) su cui ci si era accampati negli ultimi 10 anni, ecco.

E pensare che questa sera stessa Zubin è atteso al varco da un’altra prova di quelle da far tremare i polsi… (in radio da Napoli) ma si può star certi che farà un figurone.

Smarco per primo il Coro di Casoni che in questo repertorio non ha rivali; poi l’Orchestra che – quando è guidata da uno che ne sa – tira fuori gli attributi, per venire alle voci.

Anita Rachvelishvili svetta su tutti e tutte per potenza (e questo lo sapevamo da anni, è una sua dote naturale) e per sensibilità interpretativa (e questo non era per nulla scontato): la sua è una Amneris davvero vicina all’ottimo. Superfluo citare il trionfo con cui è stata accolta alla singola.

Ma una gradita sorpresa è stata anche la negretta yankee Kristin Lewis, a cui manca solo di sostituire con l’italiano la buona dose di grammelot che lei ancora canta, per diventare un’Aida di tutto rispetto.

Fabio Sartori è il bamboccione (stra-smile!) Radames e non se la cava neanche male (certo il SIb morendo non ci prova nemmeno a farlo…): la sua mi è parsa una prestazione meritevole di ampia sufficienza, essendo oltretutto arrivato benissimo in fondo, cosa che non è per niente facile per chiunque.

Amonasro è un convincente George Gagnidze, che si comporta da cantante e non da ubriacone come capita a volte di sentire: bella voce più di baritono che di basso, ma assai efficace e sempre intonato.

Carlo Colombara ha ben meritato nella parte non proprio facilissima del RE: voce benissimo impostata e sempre ben passante.

Che dire del 70enne Matti Salminen (Ramfis)? Che ancora ce la mette tutta (quella poca o tanta che gli resta) e merita perciò un incoraggiamento a… godersi la sacrosanta pensione!

I due accademici scaligeri Chiara Isotton (Sacerdotessa) e dovestazzazzà Azer Rza-Zada (Messaggero) han fatto degnamente il loro dovere.

Per tutti (e anche per i danzatori dei balletti) un successo ben meritato.
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E a proposito di balletti, vengo a… Zeffirelli. Che la Scala ha mandato in pensione per sostituirlo con un… mezzo-Zeffirelli, che risponde al nome di Peter Stein. Il quale ha rimosso le scene egizie per sostituirle con squallidi soppalchi e scale di legno grezzo; ha però rivestito tutti di costumi sontuosi (più o meno plausibili) e dotato qualche ancella addirittura di ventaglioni da far invidia al maestro fiorentino.

Ha poi messo sulla scena la Banda d’Affori, che suona a meraviglia, avendo ciascun bandista lo spartito davanti al naso, nelle apposite pinzette montate su trombe, tromboni e cimbasso (!)

Sempre restando ai balletti, per farsi ancor meglio notare, Stein ha pesantemente interferito anche sui contenuti musicali, e all’uopo riporto qui una sua chicca prelibata, pubblicata sul programma di sala (mica raccontata al bar al quinto bicchiere di schnaps): riguarda i balletti del second’atto, che lui ha disinvoltamente buttato nel cesso, con questa mirabile quanto dotta motivazione:

Questa scena fu aggiunta da Verdi come concessione alla tradizione del grand opéra francese, in vista di un possibile allestimento parigino.   

E per formulare una tal sesquipedale idiozia - sulla base della quale ha praticato un barbaro taglio ad un grande capolavoro, alla stregua delle mutilazioni inferte l’altro giorno dagli hooligan olandesi alla barcaccia del Bernini - costui viene anche pagato… da noi?

La gestualità di masse e singoli è lasciata all’inventiva di ciascuno, quindi è da vedere se il calcione rifilato dalla Anita alla Kristin è un’idea del regista o della truce georgiana (smile!)

Insomma, un bel passo avanti anche qui verso… l’esecuzione in forma di concerto, che – a mio modestissimo modo di vedere – è l’unica seria alternativa alla zeffirelliana fedeltà assoluta a libretto e partitura. (A proposito, fra pochi giorni ne avremo esempio tangibile a Santa Cecilia).

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