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19 dicembre, 2012

La Lucia del circuito chiude la corsa a Pavia


Dopo essere passata da Como, Brescia e Cremona, la Lucia donizettiana chiude il suo percorso lombardo al Fraschini (oggi la seconda e ultima rappresentazione).

La locandina online (così come il programma cartaceo della stagione del teatro pavese) annuncia un finale a sorpresa: Nel cimitero dei Ravenswood, Edgardo, non potendo sopportare di continuare a vivere senza Lucia, verrà ucciso da Enrico. Ecco, mi ero detto, un’altra invenzione di qualche regista troppo amico dell’alcool (perché nemmeno l’originale di Scott la racconta così…) Invece l’invenzione è evidentemente del redattore del programma, quindi tranquilli, Edgardo si suicida, proprio come da copione, nell’apprendere della fine dell’amata.

E la regìa di Henning Brockhaus è in effetti assai rispettosa dell’originale di Cammarano, limitandosi ad una delle consuete (in questo caso innocue) deviazioni: ambientazione (ma lo si desume solo dai costumi di Patricia Toffolutti, chè altro in scena quasi non v’è) spostata di qualche secolo in avanti nel tempo. Per il resto l’allestimento è dominato dalle immaginifiche scene del compianto Josef Svoboda, che si riducono ad un velario mobile e semitrasparente - sul quale appaiono immagini che rimandano di volta in volta ai contenuti psicologici (o psichiatrici…) del dramma – ad uno scalone che occupa in larghezza l’intero palco e su cui si muove prevalentemente il coro, oltre ad ospitare l’arpa solista nella terza scena; e a qualche semplicissimo piece-of-furniture (un tavolo, una cassa, le bare degli avi miei…)    

Sul piano musicale, il giovane e bravo Matteo Beltrami – che ascoltavo dal vivo per la prima volta e mi ha fatto un’eccellente impressione alla guida dei ragazzi dei Pomeriggi - propone per la pazzia una variante alla tradizionale cadenza Marchesi-Melba, che dà modo a Ekaterina Bakanova di mettere in mostra le sue ottime qualità.

Il sestetto del second’atto è, con la suddetta scena della pazzia, uno dei piatti forti dell’opera: personalmente fatico sempre a liberarmi, ascoltandolo, dal truce ricordo della famosa Balena disneyana (da 25”) che per prima mi portò quella musica alle orecchie, quando ancora portavo le braghe corte (smile!) Un po’ come il rossiniano finale del Tell, cui non mi riesce di non associare quella specie di catena-del-dna che chiudeva le prime trasmissioni TV. Peccato, perché è grande musica, che sembra fare da cerniera fra Bellini e Verdi, incastonata com’è fra il Per te d’immenso giubilo, che richiama il belliniano Suoni la tromba, e il finale Esci, fuggi il furor, di cui Verdi si ricorderà nel Nabucco.

A fianco della Bakanova, dignitosi tutti gli altri (vedi locandina, compreso il sostituto di Giovanni Battista Parodi) che hanno dato vita, con il coro di Antonino Greco, ad un’esecuzione più che accettabile, accolta con (contenuto) entusiasmo dal non proprio oceanico e piuttosto infreddolito pubblico del Fraschini.

Al ritorno a casa, accendo la TV è chi ti trovo? Lord Enrico Asthon che proclama l’abolizione dell’IMU per Ravenswood!  

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