Dopo essere passata da Como, Brescia e
Cremona, la Lucia donizettiana chiude il suo percorso lombardo al Fraschini (oggi la
seconda e ultima rappresentazione).
La locandina online (così come il
programma cartaceo della stagione del teatro pavese) annuncia un finale a
sorpresa: Nel cimitero dei Ravenswood, Edgardo, non
potendo sopportare di continuare a vivere senza Lucia, verrà ucciso da
Enrico. Ecco, mi ero
detto, un’altra invenzione di qualche regista troppo amico dell’alcool (perché
nemmeno l’originale di Scott la racconta così…) Invece l’invenzione è
evidentemente del redattore del programma, quindi tranquilli, Edgardo si suicida, proprio come da copione,
nell’apprendere della fine dell’amata.
E la regìa
di Henning Brockhaus è in effetti
assai rispettosa dell’originale di Cammarano, limitandosi ad una delle consuete
(in questo caso innocue) deviazioni: ambientazione (ma lo si desume solo dai
costumi di Patricia Toffolutti, chè altro
in scena quasi non v’è) spostata di qualche secolo in avanti nel tempo. Per il
resto l’allestimento è dominato dalle immaginifiche scene del compianto Josef Svoboda, che si riducono ad un
velario mobile e semitrasparente - sul quale appaiono immagini che rimandano di
volta in volta ai contenuti psicologici (o psichiatrici…) del dramma – ad uno
scalone che occupa in larghezza l’intero palco e su cui si muove
prevalentemente il coro, oltre ad ospitare l’arpa solista nella terza scena; e a qualche semplicissimo piece-of-furniture (un tavolo, una
cassa, le bare degli avi miei…)
Sul piano musicale, il giovane e bravo Matteo Beltrami – che ascoltavo dal vivo per la prima volta e mi ha
fatto un’eccellente impressione alla guida dei ragazzi dei Pomeriggi - propone per la pazzia una variante alla tradizionale cadenza Marchesi-Melba, che dà modo a Ekaterina
Bakanova di mettere in
mostra le sue ottime qualità.
Il sestetto del second’atto è, con la suddetta scena della pazzia, uno dei piatti
forti dell’opera: personalmente fatico sempre a liberarmi, ascoltandolo, dal
truce ricordo della famosa Balena disneyana (da 25”) che per prima mi portò quella musica alle orecchie, quando
ancora portavo le braghe corte (smile!) Un po’ come il
rossiniano finale del Tell, cui non mi riesce di non associare quella specie di
catena-del-dna che chiudeva le prime trasmissioni TV. Peccato, perché è grande
musica, che sembra fare da cerniera fra Bellini e Verdi, incastonata com’è fra
il Per te d’immenso giubilo, che
richiama il belliniano Suoni la tromba,
e il finale Esci, fuggi il furor, di
cui Verdi si ricorderà nel Nabucco.
A fianco della
Bakanova, dignitosi tutti gli altri (vedi locandina, compreso il sostituto di Giovanni
Battista Parodi) che hanno dato vita, con il coro di Antonino Greco, ad un’esecuzione più che accettabile, accolta con (contenuto)
entusiasmo dal non proprio oceanico e piuttosto infreddolito pubblico del Fraschini.
Al ritorno a casa,
accendo la TV è chi ti trovo? Lord Enrico
Asthon che proclama l’abolizione dell’IMU per Ravenswood!
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