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05 dicembre, 2012

Lohengrin visto (sommariamente) da Guth


In attesa di vedere (prima in TV e poi dal vivo) questo nuovo Lohengrin, propongo qualche considerazione su ciò che il regista ci racconta in alcune brevi note che immagino compaiano sul Programma di sala e che sono anche accessibili dalla pagina web del teatro. (Non so se è un problema del software di Bill Gates III sul mio computer, ma il link funziona se accedo da Chrome, mentre va a meretrici se accedo da IE, ma pazienza… vuol dire che riporterò anche i singoli passi delle note del regista.)

Nell’opera di Richard Wagner ricorre costantemente un medesimo schema: una persona o un gruppo di persone si crea un salvatore – un idolo – un capo. In virtù di un’apparizione misteriosa e di vaghe dichiarazioni sulla propria vita, questo personaggio attrae su se stesso la proiezione di ideali altrui. Ovvero: sull’individuo vero e proprio in questione viene steso il manto di un modello precostituito. Tutto ciò funziona alla perfezione: il senza patria è amato, ammirato e adorato; i suoi ammiratori hanno trovato qualcuno che colma il loro intimo vuoto e soddisfa il loro anelito. 
  
Intanto mi permetterei umilmente di contestare il costantemente: ciò che Guth presenta come una regola in Wagner, è in realtà riscontrabile, e molto, molto vagamente, in Rienzi, Tannhäuser, Lohengrin e Parsifal; non certo in Holländer, né in Siegfried, né in Tristan e tanto meno in Walther. Nel caso di Lohengrin, è vero che il cavaliere misterioso arrivato da lontano fa subito colpo su Elsa, sul popolo di Brabante e sui seguaci di Re Heinrich, che lo accolgono come l’uomo-della-provvidenza, ma è da dimostrare che su Lohengrin venga steso il manto di un modello precostituito, fondato su ideali altrui. Prendiamo l’aspetto personale: non è certo Elsa a proiettare su Lohengrin i suoi ideali, ma esattamente il contrario: è Lohengrin che pretende di ricevere da Elsa un amore umano che a lui, divino, non dovrebbe essere concesso. Sul piano pubblico, Lohengrin accetta l’investitura a Protettore del Brabante del tutto spontaneamente e senza condizionamento alcuno, tanto è vero che alla fine dà - per così dire - le dimissioni dalla carica non perché si accorga di aver addosso quel manto di un modello precostituito, ma perché è venuta meno l’unica e vincolante ragione della sua permanenza lassù.

Il problema ha inizio nel momento in cui tale personaggio, dopo una prima fase di entusiasmo, si rende conto di essere stato preso non per quello che realmente è, bensì soltanto quale veicolo di un’idea di altri. A questo punto egli scopre il proprio vuoto interiore, benché tutti lo amino – ma di un amore che nasce da premesse falsate. Allorché egli insiste per essere quello che realmente è, il sistema crolla: la vera personalità che sta dietro la maschera protettiva si rende visibile, e la bolla scoppia; ha luogo una dis-illusione – non era lui l’oggetto della suprema epifania emotiva. L’altro è altro.

Beh, qui ho proprio l’impressione che Guth abbia scambiato Lohengrin per Tannhäuser! (o abbia fatto cut&paste di una sua nota scritta per quell’opera?…)

Elsa, colei che viene sempre abbandonata
Perde precocemente i genitori, il tutore (Friedrich) diventa suo pretendente; l’unico compagno affidabile che le resta, sola com’è in un mondo a lei estraneo, è il fratello Gottfried; poi però il fratello scompare, e la colpa è sua: avrebbe dovuto sorvegliarlo. Che sia annegato? Quale tipo di uomo desidera una giovane donna con un simile orizzonte di vita? Un partner che sia in simbiosi con lei come lo era il fratello, e soprattutto che sia affidabile e comprensibile, uno che, semplicemente, rimanga al suo fianco!

Qui sembra tutto a posto salvo un piccolo, ma importante particolare: quell’aggettivo comprensibile. No, Elsa non pretende questo, almeno finchè ragiona con la sua testa: crede ciecamente nel cavaliere che ha visto in sogno e che è arrivato per davvero a salvarla. Sarà soltanto in seguito all’azione delle forze del male (rappresentanti le religioni pagane pre-cristiane) che pretenderà che il partner le diventi anche comprensibile.

Lohengrin, colui che sempre abbandona
Figlio di Parsifal – Parsifal, l’eroe manovrato da altri, che è stato scelto da altri come portatore di felicità. Il figlio segue percorsi simili: continuamente inviato a salvare qualcuno, non riesce a trovare la propria identità. Gli altri vedono sempre qualcosa in lui, ma lui, in se stesso, che cosa vede? Chi sia, non lo sa: il suo compito è essere qualcosa per gli altri. Svolge il proprio incarico come se fosse un intermediario; l’essenza della sua missione gli rimane estranea. Unica via d’uscita, una donna, che dovrà capirlo per quello che egli è, riconoscerlo al di là della sua missione e dirgli chi egli sia, ma senza chiedergli quale sia il suo compito.

Intanto Parsifal. Manovrato, scelto da chi? Certo a Monsalvat aspettavano una nuova guida, ma Parsifal non lo diventa a seguito di plagio, ma perché prende coscienza, individualmente e personalmente, del peccato di Amfortas e si guadagna così lo status di Erlöser. Quanto a Lohengrin, la descrizione che ce ne fa il regista è abbastanza gratuita e soprattutto denigratoria: Lohengrin sa benissimo chi sia e quale sia la sua missione, ne è talmente cosciente da desiderare di andare al di là di essa, sperimentando un amore umano che al suo status sarebbe precluso. Il suo dramma deriva proprio dal suo essere perfettamente padrone delle sue azioni e delle sue aspirazioni, ed esplode nel momento in cui deve purtroppo constatare che queste ultime non trovano possibilità di compiuta realizzazione. L’ultima frase poi è per me del tutto incomprensibile: ciò che Lohengrin si aspetta dalla donna è di esserne amato – non capito (Gefühl vs Verstand) - come uomo; di avere da lei amore, non spiegazioni su chi egli sia; e ciò che lei non deve chiedergli è proprio il suo nome e la sua provenienza, non certo il suo compito, che è chiaro a lui e a tutti da sempre.  

Ortrud, colei che sa
Al pari di Elsa, ha avuto un’infanzia cupa e tumultuosa – perdita del potere da parte dei genitori, aperta rinuncia alla propria religione/fede –, ma sceglie una strada completamente diversa per sottrarsi a tale impronta iniziale. Laddove Elsa si ritira nel proprio mondo interiore, elaborando un ricco mondo fantastico, Ortrud intraprende un viaggio verso il potere reale e concreto, servendosi di qualunque mezzo: la profonda conoscenza dell’animo umano e l’attenta osservazione degli altri sono i suoi strumenti.

Da dove Guth ricavi l’idea che Ortrud abbia fatto aperta rinuncia alla propria religione/fede mi risulta davvero incomprensibile: le sue esternazioni (secondo e terzo atto) ci dicono esattamente il contrario! E la sua figura incarna precisamente i residui delle religioni pagane ancora presenti alla fine del primo millennio, soprattutto nell’Europa centro-settentrionale. E in Lohengrin lei vede per l’appunto un rappresentante del Cristianesimo, quindi il nemico da abbattere, per tramite di Elsa, verso la quale lei sa perfettamente impiegare lo strumento del plagio. Vero è che la donna cerchi anche di riconquistare il potere materiale (e verosimilmente, attraverso di esso, quello religioso).

Friedrich von Telramund, il sensibile
Con ogni probabilità, si è profondamente innamorato della ragazza che avrebbe dovuto proteggere come un padre, dopo la prematura morte dei genitori di lei. La scomparsa del fratello e la bugia di Elsa mandano in fumo il suo sogno d’amore. Quando Ortrud calunnia apertamente Elsa, l’amata gli è definitivamente preclusa. La biografia di Friedrich quale personaggio autonomo termina qui, molto prima che egli effettivamente muoia, ormai diventato un’arma telecomandata nelle mani di Ortrud.

Nessun dubbio che Telramund sia un burattino nelle mani di Ortrud. Che fosse sinceramente innamorato di Elsa è possibile. Quale sia la bugia di Elsa non saprei proprio capire. Piuttosto è lui che cade in una chiara contraddizione già all’inizio del processo: dapprima dichiarando di aver spontaneamente rinunciato alla mano di Elsa, dopo essersi convinto della sua colpevolezza; e subito dopo accusando Elsa di aver sdegnosamente rifiutato la sua mano, perché invaghitasi (dice lui) di un altro. Una contraddizione che non può essere attribuita ad una svista di Wagner, ma che evidentemente deve servire a noi per inquadrare da subito l’inaffidabilità dell’uomo e della sua accusa.

La collettività, coloro che ardentemente desiderano
In tempi di cambiamenti sociali estremi – il capitale dà forma nuova alle strutture, una guerra è alle porte –, tutto viene riorganizzato razionalmente, eppure le cose appaiono sempre più confuse. Il mondo viene registrato e catalogato, eppure si desidera ardentemente proprio ciò che va oltre la ragione. Solo uno che venga da fuori, un’anima vergine, può fare da guida in un contesto simile, può soddisfare tale aspirazione collettiva. Tuttavia, guai a chi improvvisamente non dovesse più rispondere alle aspettative…

Ecco, qui siamo alla trasposizione della vicenda medievale ai giorni di Wagner, con tanto di proclama anti-capitalista e vetero-marxista! Ora, che Wagner avesse in odio l’andazzo che aveva preso la società dei suoi tempi è fuori discussione. Ma a lui non stava a cuore Das Kapital, né l’anarchismo di Bakunin, a lui stava a cuore… se stesso! Non poteva sopportare – lui che si credeva (e magari era pure) un Artista dalle qualità quasi messianiche - di non avere successo, di non essere amato, perché non capito. Lo scenario che Guth immagina – l’aspirazione collettiva dell’avvento di un’anima vergine, che guidi un mondo sempre più confuso, sarebbe casomai quello della Germania del 1925, non certo quello della Sassonia del 1845, men che meno quello nordeuropeo della fine del primo millennio. E che significa guai a chi improvvisamente non dovesse più rispondere alle aspettative? Se stiamo parlando di collettività (non di Elsa, quindi) ciò che vediamo nel Lohengrin (quello di Wagner, sarà il caso di sottolinearlo) è che la collettività che accoglie l‘argenteo cavaliere non si riprende mai indietro (neanche sull’ultima battuta dell’opera) la fiducia che aveva riposto in lui: anche se effettivamente quella fiducia e quelle aspettative lui  le delude, abbandonando quella collettività al suo destino, e per ragioni squisitamente personali.

Insomma, se dovessimo prestar fede a queste note, dovremmo preventivamente esprimere pollice-verso a questa concezione del Lohengrin. Possiamo solo sperare che ciò che viene rilasciato per la pubblicazione sui programmi di sala siano solo parole al vento… Gli under-30 avranno già potuto verificare; noi matusa aspetteremo ancora un paio di giorni.   

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