Ormai
siamo entrati nella settimana di SantAmbrogio e quindi, dalle sponde del Lambro
(eh sì, perché anche Milano ha la sua Schelde)
già vediamo in lontananza un cigno che arriva trascinando una barchetta con dentro
Lohengrin. Prepariamoci allora a
riceverlo come si deve, quando entrerà – oltre che nel più costoso ed esclusivo
caravanserraglio del pianeta - anche nelle nostre umili dimore, grazie alle
diavolerie visuali e auricolari che allietano le nostre esistenze.
Ma
Lohengrin non sarebbe Lohengrin senza… Elsa,
come non potrebbe esistere un Holländer senza Senta, o un Tannhäuser senza
Elisabeth. Ma che tipo è la nostra sfortunata ragazza, che nel giro di un paio
di giorni compie un percorso di 360° pieni, passando dalla polvere e dallo
sconforto più totale alla beatitudine più alta e alla gioia più grande e poi di
nuovo alla disperazione più nera?
Il
libretto (oh, pardon, nel caso di Wagner è meglio usare il termine poema) ci presenta una ragazza
piuttosto, diciamo, invertebrata, che spera di difendersi da un’accusa di omicidio
del fratellino Gottfried (per quanto
falsamente sostenuta) attraverso i servigi di un cavaliere mandato da Dio, che
lei ha visto in sogno e che è pronta a ricompensare offrendoglisi in moglie. Il
cavaliere (meraviglia delle meraviglie, ma mica poi tanto, essendo appunto
mandato direttamente da Dio) arriva per davvero, la scagiona dalle accuse e
accetta di sposarla, a patto che lei… si faccia gli affari suoi, evitando di fargli
domande indiscrete (il Frageverbot,
che nell’opera ha il suo bel tema, che ricompare mille volte).
Ma
lì attorno ci sono due cattivoni, anzi per la verità una (Ortrud) che è l’autrice dell’omicidio di cui ha poi incolpato Elsa,
abbindolandone l’ex-promesso (Friedrich):
questi mettono in atto un piano semplice e sicuro per mandare all’aria la
felicità di Elsa e sostituirsi a lei e alla sua casata nel dominio del Brabante.
Piano consistente nell’approfittare dell’ingenua ragazza per lavarle ben bene il
cervello onde portarla a fare a Lohengrin le domande proibite. Cosa che accade
puntualmente (durante la prima ed unica notte di nozze) col risultato di
mandare Lohengrin in bianco e subito dopo… a casa sua.
Insomma,
una donna davvero miserella, questa Elsa, della quale il povero Lohengrin – un
mezzo uomo e mezzo dio, che similmente a Giove con Semele (come ci ricorderà lo
stesso Wagner) vorrebbe vivere un amore terreno, umano – crede di potersi fidare, venendone però amaramente
deluso.
Ecco,
francamente le femministe avrebbero di che lamentarsi di fronte ad un siffatto
personaggio, una che prima crede al principe
azzurro e poi però non sa restare fedele alla parola datagli.
Ma
allora, dove stanno gli enigmi?
___
Ce
li propone lo stesso Wagner, a posteriori.
Dunque, il nostro aveva composto il Lohengrin fra il 1845 e il 1848, cioè in
una fase della sua evoluzione artistico-estetica antecedente alla presa di
coscienza rivoluzionaria, che si
materializzerà – fra il 1848 e il 1851 - in una serie di opere, diciamo filosofiche, in cui Wagner spiegherà al
mondo le sue idee sul futuro del teatro musicale. Idee che verranno poi
compiutamente applicate (anche se, per nostra fortuna, con mille eccezioni) a
partire dal 1852, nel Ring e nei drammi successivi (Tristan, Meistersinger e
Parsifal).
Uno
di questi documenti, di lettura piuttosto noiosa ma illuminante, è Eine Mittheilung an meine Freunde (Una
comunicazione ai miei amici) scritta a metà del 1851, quando Wagner era alle
prese con ciò che (ma solo di lì a un paio d’anni) sarebbe diventato il Ring, cioè le due opere relative a Siegfried. In questo documento il
compositore intende presentare il percorso evolutivo della sua arte, a partire
dai lavori giovanili (Die Feen e Das Liebesverbot) per passare poi a Rienzi, Holländer, Tannhäuser e Lohengrin. Giustificando quindi le
discrepanze, che alcuni critici gli imputavano abbastanza ingiustamente, fra
tali opere e le sue rivoluzionarie idee, esposte nei recenti scritti teorico-programmatici.
Wagner
rivela come il furore rivoluzionario avesse cominciato a prendere la sua mente
in seguito ai (mezzi) fiaschi di Holländer e soprattutto di Tannhäuser, che gli
avevano resa manifesta la sua propria condizione di Artista incompreso dall’establishment (teatri e critici) che lo
circondava. E attribuisce tale incomprensione alla deriva dei costumi del suo
tempo, che non apprezzava l’artista attraverso il sentimento (Gefühl) ma solo attraverso l’arida ragione (Verstand).
Ebbene,
Wagner racconta come proprio la vicenda di Lohengrin (da lui in un primo tempo
ignorata perché considerata priva di contenuti drammatici) fosse tornata
prepotentemente alla sua attenzione proprio perché vi aveva scorto una specie
di specchio della sua condizione esistenziale: in sostanza, Lohengrin gli era
apparso come l’Artista respinto da un mondo (Elsa) che è incapace di
comprenderlo attraverso il sentimento,
e quindi di amarlo. Ma mentre
Lohengrin subisce le conseguenze di questo stato di cose, e abbandona Elsa e
gli umani per tornarsene… lassù, Wagner decide di prendere di petto la
situazione e diventa rivoluzionario.
Ed
un aspetto di questa sua repentina conversione riguarda precisamente Elsa, come archétipo del femminino (weiblichen Herzens). Qui Wagner si dilunga in una rievocazione del suo aver saputo
calarsi nei panni della donna (cosa
che darà appiglio a critici ed esegeti per ipotizzare un Wagner androgino) per comprenderne l’intima
natura. Elsa vista come l’altra metà (das
andere Theil) di Lohengrin, nella quale l’uomo cerca il completamento della
sua propria natura.
Ed
ecco quindi che Elsa si trasforma improvvisamente – ed anche abbastanza
sorprendentemente, rispetto a ciò che ascoltiamo in scena – in un modello di donna-in-amore: la sua proibita domanda
a Lohengrin altro non sarebbe che la più pura ed alta e nobile espressione
d’amore, che solo una donna può manifestare, anche sapendo che ciò le costerà la
perdita della persona amata e della propria felicità. La Donna che – sola – può rappresentare, agli occhi del Wagner del 1851,
la prospettiva di salvezza e di redenzione dell’Uomo da tutte le sue colpe e i suoi peccati.
___
Ora,
qual è la vera Elsa? La donna indifesa che si innamora (superficialmente e a-priori) del suo salvatore e che poi si
lascia plagiare dalle forze del male per tradirlo… oppure l’agente cosmico che redimerà,
una volta per tutte, l’Uomo?
6 commenti:
Scusa se vado fuori tema ma ci sei stato ieri al concerto d'apertura con la Bartoli fischiata e buata?
Mi piacerebbe sapere cosa è successo dato che io amo Cecilia.
Baci.
dimenticavo:
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_dicembre_4/bartoli-fischi-scala-applausi-2113006130727.shtml#.UL3Sz9tRBks.facebook
@Marisa
No, allo stadio - perchè era chiaro fin da prima che di una corrida si sarebbe trattato - non vado più da un'eternità...
Piuttosto leggo altrove che c'è chi reclama l'intervento di polizia, carabinieri ed esercito per... moderare il dissenso (!?)
http://lavocedelloggione.wordpress.com/2012/11/06/95/#comments
Comunque sembrerebbe che la Ceci l'abbia presa "facile".
Ciao!
Oramai in questo paese non si ha più diritto al consenso e la libertà è diventata solo una parola desueta.
Caro Daland,
trovo molto bella la chiusura dell’intervento: “… oppure l’agente cosmico che redimerà, una volta per tutte, l’Uomo?“
Quello della violazione della domanda proibita o della donna “disubbidiente” che trasgredisce un tabù è presente in molti miti.
Giove e Semele, come già ricordato ma anche Eros e Psiche oppure Pandora, alla quale era stato raccomandato di non aprire il vaso.
La violazione del tabù determina sempre un danno immediato al quale poi fa seguito un bene futuro. È questo il caso di Pandora: dopo che ne fuoriuscirono tutti i mali del mondo sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis).
La speranza nella redenzione? Nel potere dell’arte?
Scopriremo venerdì l’interpretazione del regista.
Saluti,
Moreno
@Moreno
Grazie per il contributo.
L'angelicazione della figura di Elsa è fatta da un Wagner tutto preso dal furore "rivoluzionario" e non emerge così chiaramente dal testo e musica dell'opera, composti in tempi antecedenti.
E anche dopo, non è che quell'ideale si incarni alla perfezione nelle diverse donne che incontreremo: solo in parte in Brünnhilde, per nulla in Isolde ed Eva, molto ambiguamente in Kundry.
Forse anche in questo "raffreddamento" ci fu lo zampino di Schopenhauer, chissà...
A presto, ciao!
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