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consulta e zecche rosse

03 dicembre, 2012

Gli enigmi di Elsa…


Ormai siamo entrati nella settimana di SantAmbrogio e quindi, dalle sponde del Lambro (eh sì, perché anche Milano ha la sua Schelde) già vediamo in lontananza un cigno che arriva trascinando una barchetta con dentro Lohengrin.  Prepariamoci allora a riceverlo come si deve, quando entrerà – oltre che nel più costoso ed esclusivo caravanserraglio del pianeta - anche nelle nostre umili dimore, grazie alle diavolerie visuali e auricolari che allietano le nostre esistenze.

Ma Lohengrin non sarebbe Lohengrin senza… Elsa, come non potrebbe esistere un Holländer senza Senta, o un Tannhäuser senza Elisabeth. Ma che tipo è la nostra sfortunata ragazza, che nel giro di un paio di giorni compie un percorso di 360° pieni, passando dalla polvere e dallo sconforto più totale alla beatitudine più alta e alla gioia più grande e poi di nuovo alla disperazione più nera?

Il libretto (oh, pardon, nel caso di Wagner è meglio usare il termine poema) ci presenta una ragazza piuttosto, diciamo, invertebrata, che spera di difendersi da un’accusa di omicidio del fratellino Gottfried (per quanto falsamente sostenuta) attraverso i servigi di un cavaliere mandato da Dio, che lei ha visto in sogno e che è pronta a ricompensare offrendoglisi in moglie. Il cavaliere (meraviglia delle meraviglie, ma mica poi tanto, essendo appunto mandato direttamente da Dio) arriva per davvero, la scagiona dalle accuse e accetta di sposarla, a patto che lei… si faccia gli affari suoi, evitando di fargli domande indiscrete (il Frageverbot, che nell’opera ha il suo bel tema, che ricompare mille volte).

Ma lì attorno ci sono due cattivoni, anzi per la verità una (Ortrud) che è l’autrice dell’omicidio di cui ha poi incolpato Elsa, abbindolandone l’ex-promesso (Friedrich): questi mettono in atto un piano semplice e sicuro per mandare all’aria la felicità di Elsa e sostituirsi a lei e alla sua casata nel dominio del Brabante. Piano consistente nell’approfittare dell’ingenua ragazza per lavarle ben bene il cervello onde portarla a fare a Lohengrin le domande proibite. Cosa che accade puntualmente (durante la prima ed unica notte di nozze) col risultato di mandare Lohengrin in bianco e subito dopo… a casa sua.

Insomma, una donna davvero miserella, questa Elsa, della quale il povero Lohengrin – un mezzo uomo e mezzo dio, che similmente a Giove con Semele (come ci ricorderà lo stesso Wagner) vorrebbe vivere un amore terreno, umano – crede di potersi fidare, venendone però amaramente deluso.         

Ecco, francamente le femministe avrebbero di che lamentarsi di fronte ad un siffatto personaggio, una che prima crede al principe azzurro e poi però non sa restare fedele alla parola datagli.

Ma allora, dove stanno gli enigmi?
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Ce li propone lo stesso Wagner, a posteriori. Dunque, il nostro aveva composto il Lohengrin fra il 1845 e il 1848, cioè in una fase della sua evoluzione artistico-estetica antecedente alla presa di coscienza rivoluzionaria, che si materializzerà – fra il 1848 e il 1851 - in una serie di opere, diciamo filosofiche, in cui Wagner spiegherà al mondo le sue idee sul futuro del teatro musicale. Idee che verranno poi compiutamente applicate (anche se, per nostra fortuna, con mille eccezioni) a partire dal 1852, nel Ring e nei drammi successivi (Tristan, Meistersinger e Parsifal).

Uno di questi documenti, di lettura piuttosto noiosa ma illuminante, è Eine Mittheilung an meine Freunde (Una comunicazione ai miei amici) scritta a metà del 1851, quando Wagner era alle prese con ciò che (ma solo di lì a un paio d’anni) sarebbe diventato il Ring, cioè le due opere relative a Siegfried. In questo documento il compositore intende presentare il percorso evolutivo della sua arte, a partire dai lavori giovanili (Die Feen e Das Liebesverbot) per passare poi a Rienzi, Holländer, Tannhäuser e Lohengrin. Giustificando quindi le discrepanze, che alcuni critici gli imputavano abbastanza ingiustamente, fra tali opere e le sue rivoluzionarie idee, esposte nei recenti scritti teorico-programmatici.  

Wagner rivela come il furore rivoluzionario avesse cominciato a prendere la sua mente in seguito ai (mezzi) fiaschi di Holländer e soprattutto di Tannhäuser, che gli avevano resa manifesta la sua propria condizione di Artista incompreso dall’establishment (teatri e critici) che lo circondava. E attribuisce tale incomprensione alla deriva dei costumi del suo tempo, che non apprezzava l’artista attraverso il sentimento (Gefühl) ma solo attraverso l’arida ragione (Verstand).

Ebbene, Wagner racconta come proprio la vicenda di Lohengrin (da lui in un primo tempo ignorata perché considerata priva di contenuti drammatici) fosse tornata prepotentemente alla sua attenzione proprio perché vi aveva scorto una specie di specchio della sua condizione esistenziale: in sostanza, Lohengrin gli era apparso come l’Artista respinto da un mondo (Elsa) che è incapace di comprenderlo attraverso il sentimento, e quindi di amarlo. Ma mentre Lohengrin subisce le conseguenze di questo stato di cose, e abbandona Elsa e gli umani per tornarsene… lassù, Wagner decide di prendere di petto la situazione e diventa rivoluzionario.   

Ed un aspetto di questa sua repentina conversione riguarda precisamente Elsa, come archétipo del femminino (weiblichen Herzens). Qui Wagner si dilunga in una rievocazione del suo aver saputo calarsi nei panni della donna (cosa che darà appiglio a critici ed esegeti per ipotizzare un Wagner androgino) per comprenderne l’intima natura. Elsa vista come l’altra metà (das andere Theil) di Lohengrin, nella quale l’uomo cerca il completamento della sua propria natura.

Ed ecco quindi che Elsa si trasforma improvvisamente – ed anche abbastanza sorprendentemente, rispetto a ciò che ascoltiamo in scena – in un modello di donna-in-amore: la sua proibita domanda a Lohengrin altro non sarebbe che la più pura ed alta e nobile espressione d’amore, che solo una donna può manifestare, anche sapendo che ciò le costerà la perdita della persona amata e della propria felicità. La Donna che – sola – può rappresentare, agli occhi del Wagner del 1851, la prospettiva di salvezza e di redenzione dell’Uomo da tutte le sue colpe e i suoi peccati.  
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Ora, qual è la vera Elsa? La donna indifesa che si innamora (superficialmente e a-priori) del suo salvatore e che poi si lascia plagiare dalle forze del male per tradirlo… oppure l’agente cosmico che redimerà, una volta per tutte, l’Uomo?  

6 commenti:

Marisa ha detto...

Scusa se vado fuori tema ma ci sei stato ieri al concerto d'apertura con la Bartoli fischiata e buata?
Mi piacerebbe sapere cosa è successo dato che io amo Cecilia.
Baci.

Marisa ha detto...

dimenticavo:
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/12_dicembre_4/bartoli-fischi-scala-applausi-2113006130727.shtml#.UL3Sz9tRBks.facebook

daland ha detto...

@Marisa
No, allo stadio - perchè era chiaro fin da prima che di una corrida si sarebbe trattato - non vado più da un'eternità...
Piuttosto leggo altrove che c'è chi reclama l'intervento di polizia, carabinieri ed esercito per... moderare il dissenso (!?)

http://lavocedelloggione.wordpress.com/2012/11/06/95/#comments

Comunque sembrerebbe che la Ceci l'abbia presa "facile".

Ciao!

Marisa ha detto...

Oramai in questo paese non si ha più diritto al consenso e la libertà è diventata solo una parola desueta.

Moreno ha detto...

Caro Daland,
trovo molto bella la chiusura dell’intervento: “… oppure l’agente cosmico che redimerà, una volta per tutte, l’Uomo?“
Quello della violazione della domanda proibita o della donna “disubbidiente” che trasgredisce un tabù è presente in molti miti.
Giove e Semele, come già ricordato ma anche Eros e Psiche oppure Pandora, alla quale era stato raccomandato di non aprire il vaso.
La violazione del tabù determina sempre un danno immediato al quale poi fa seguito un bene futuro. È questo il caso di Pandora: dopo che ne fuoriuscirono tutti i mali del mondo sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis).
La speranza nella redenzione? Nel potere dell’arte?
Scopriremo venerdì l’interpretazione del regista.
Saluti,
Moreno

daland ha detto...

@Moreno
Grazie per il contributo.
L'angelicazione della figura di Elsa è fatta da un Wagner tutto preso dal furore "rivoluzionario" e non emerge così chiaramente dal testo e musica dell'opera, composti in tempi antecedenti.
E anche dopo, non è che quell'ideale si incarni alla perfezione nelle diverse donne che incontreremo: solo in parte in Brünnhilde, per nulla in Isolde ed Eva, molto ambiguamente in Kundry.
Forse anche in questo "raffreddamento" ci fu lo zampino di Schopenhauer, chissà...
A presto, ciao!