Decisamente questa stagione dovrebbe
farsi esorcizzare, perché mai le sono piovute addosso in poche settimane tante
defezioni di Direttori. Stavolta a venir meno quasi all’ultimo momento – pare
per una banale scivolata - è toccato ad Aldo
Ceccato (titolare del ciclo del suo amatissimo Dvorak) e al suo posto sul podio è stato catapultato
in fretta e furia il canguro Daniel Smith, un trentenne con la faccia da
ragazzino, che bazzica spesso in Italia.
Il programma ha la
classica struttura che prevede un brano per orchestra seguito da un concerto
solistico e in chiusura da una sinfonia. Il percorso che facciamo è
precisamente a ritroso nella cronologia delle composizioni di Dvorak: si parte
dal 1896, si retrocede al 1894, per chiudere con il 1880.
L’apertura è quindi
affidata al
poema sinfonico Vodník, il primo di una fitta serie
di cinque che Dvorak compose in meno di due anni, fra il 1896 e il 1897. Brahms
era ormai in pensione (morirà proprio nel 1897) e
anche Hanslick aveva fatto il suo tempo (tuttavia gli
sopravviverà di qualche mese, pur avendo una quindicina d’anni più di lui);
insomma, i suoi vecchi protettori erano forse
meno agguerriti di un tempo
e così lui pensò di potersi affrancare dalla loro soffocante tutela, facendo
un’autentica indigestione di quel genere di composizioni che ai due suddetti esteti
provocava regolarmente l’orticaria!
Il soggetto letterario della
composizione è un poemetto fiabesco di Karel
Jaromír Erben,
in realtà una fiaba piuttosto truculenta e con una conclusione addirittura
raccapricciante: Vodník
(letteralmente il folletto acquatico) è una specie di elfo anfibio che si diverte
(!?) a catturare belle fanciulle per… usarle e gettarle, trasformandole in
pesciolini. E così si prepara a fare anche con una ragazza che, incurante dei
profetici avvertimenti materni, si avvicina allo stagno e vi precipita finendo
direttamente nelle sue braccia; dopo averla sposata (e prima di essersene
stancato) il folletto mette al mondo anche un pargolo, che la mammina
cerca di consolare con delicate nenie; le quali fanno però imbestialire lo
sposo che minaccia di far fare alla moglie la fine delle altre prede. La
ragazza lo impietosisce ottenendo una libera uscita di poche ore per rivedere
la madre; l’incontro fra le due è assai triste e viene interrotto dall’elfo che
dichiara finita l’ora d’aria. All’opposizione della madre della ragazza di ridargli
la figlia, il simpaticone che ti fa? Recapita sulla soglia di casa delle due
donne il corpo del figlioletto… in due pacchi separati: uno contenente la
testolina e l’altro il corpicino (!!!)
È davvero incredibile come
Dvorak abbia saputo poetizzare questo soggetto, a prima vista ributtante,
costruendoci sopra una specie di Rondo
dove il tema principale (di Vodník) si alterna in modo mirabile a
quelli della ragazza e della madre.
Una curiosità: il dolce
tema della ragazza ha certo un fondo
di Boemia, ma richiama anche scopertamente (pur con diversa scansione ritmica e
tonalità) quello celeberrimo del beethoveniano Freude schöner…
Esecuzione più che
dignitosa dei ragazzi de laVerdi
sotto la guida del… ragazzo Smith.
Riecco poi in Auditorium Enrico Dindo per interpretare
quell’autentico gioiello che è il Concerto per violoncello. Del tutto
convincente la sua prestazione, che si cala in pieno nello spirito
(tardo)romantico di questo capolavoro. Gran trionfo per lui e bis bachiano.
La serata si chiude con la
Sesta
sinfonia. Pubblicata col titolo di prima,
per Dvorak in effetti era la seconda,
dato che il compositore considerava le sue prime quattro come semplici
esercizi, non degni di essere messi in
lista. E chissà che non sia stata questa circostanza a portare Dvorak ad ispirarsi
ad un’altra Seconda, ben più famosa,
quella del suo quasi-idolo e sponsor Johannes
Brahms. Lo testimonierebbero la pastoralità
del contenuto e persino la tonalità e il tempo (RE maggiore, 3/4) del primo
movimento.
Sinfonia assolutamente
legata ai modelli formali classici, mentre i contenuti vengono come al solito
dalla tradizione popolare boema (uno su tutti: la furiant che caratterizza lo Scherzo).
Opera che però, insieme ad una fresca inventiva, porta con sé anche qualcosa di
stucchevole, come di dolciastro e affettato: di certo è (a mio modesto parere)
ancora lontana dai risultati che si materializzeranno nelle tre successive
sinfonie.
Ottima prestazione
dell’Orchestra (eccellente il corno di Amatulli,
chiamato a lunghi e difficili passaggi) lungamente applaudita con il suo
Direttore… improvvisato.
Ruben Jais
ci terrà compagnia con Mozart (e Vacchi) prima di Natale.
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