Confesso che
l’idea di recarmi una quarta volta in pochi giorni alla decentrata quanto
cacofonica (applico all’architettura alle vongole una categoria della musica…) Vitrifrigo
Arena (arrivandoci e ripartendoci in auto da Rimini) senza invece fare
almeno una volta quattro passi per la bella Pesaro (arrivandoci comodamente in
treno) è stata la molla principale che mi ha convinto a rinunciare alla
presenza dal vivo per la PMS e a godermi, oltretutto a-gratis (limitazioni incluse, ovviamente…) lo
spettacolo dalla Piazza del Popolo, dove da anni viene regolarmente diffuso in streaming
il concerto che chiude il Festival.
Un paio di
osservazioni, diciamo così, tecniche, sull'esecuzione: la prima riguarda il famoso Prélude
Religieux che, dopo due esecuzioni nella versione spuria (quella orchestrata
dal compianto Alberto Zedda) è tornato – opportunamente, direi proprio -
all’originale nel solo organo, magistralmente suonato da Nicola Lamon. (Qui
un mio post del 2014 sull’argomento.) L’altra riguarda l’associazione dei
solisti alle parti cantate dal coro: Rossini l’aveva prevista in alcuni numeri,
forse perché il coro delle prime esecuzioni era davvero ridotto all’osso; qui
al ROF, come sempre, anche ieri i solisti non si sono aggregati.
Ovviamente (va
sempre ripetuto) l’ascolto tecnologico non permette di formulare giudizi
compiuti sui suoni, ma qualcosa si può comunque osservare, ad esempio le
agogiche tenute dal Direttore. E qui devo dire che il profeta-in-patria Michele
Mariotti, che tornava al ROF dopo 4 anni (Semiramide 2019) e debuttava
nella PMS non mi ha del tutto convinto: avendo tenuto tempi (per me) troppo
sostenuti e slentati, come del resto testimoniano i 90’ netti di durata dell’esecuzione
(se confrontati ad esempio con i 78’ di questo impeccabile Chailly).
Sui suoi standard di eccellenza l’OSN-RAI, che invece suonava per la seconda volta (al ROF, s’intende) la Messa, avendola già eseguita nella precedente apparizione del 2018.
Il Coro del
Ventidio Basso diretto da Giovanni Farina era al primo approccio di quest’opera,
dopo aver cantato di recente in due Stabat Mater (2017-21) e non ha tradito le
attese. Invero trascinanti, in particolare, i monumentali passaggi fugati del Cum Sancto Spiritus e del Credo (l’Allegro cristiano!) dove finalmente Mariotti ha allentato un
po’ le briglie…
Tutti da
elogiare i solisti, a partire da Vasilisa Berzhanskaya, di
ritorno al ROF dopo due anni: nel 2021 aveva trionfato come Sinaide nel Moise e
a seguire aveva cantato lo Stabat Mater nell’edizione in forma scenica diretta
da Bignamini. Davvero rimarchevole la sua prestazione, culminata nell’accorata
implorazione dell’Agnus
Dei.
Bene anche Rosa Feola, debuttante al ROF, che ha illustrato con calore il Crocifixus e l’O Salutaris. Le due si sono anche distinte insieme nel Qui Tollis.
Dmitry Korchak faceva parte del quartetto protagonista della penultima apparizione della PMS, nel 2014, sotto la direzione di Zedda. Efficace, stentoreo e cesellato il suo Domine deus.
Giorgi Manoshvili era al suo primo impegno importante al ROF. Più che buono il suo Quoniam, per profondità e portamento. Voce potente, ma magari qualche decibel in più non guasterebbe, proprio sulle note più… basse.
Uno sforzo davvero notevole, cui si aggiungerà la chiusura del Festival con Il Viaggio a Reims che celebrerà i 40 anni da quella produzione del 1984 entrata nella storia grazie alla stratosferica coppia Abbado-Ronconi.
Ora non resta da fare che un’implorazione… no, che dico, un’intimazione ai politici locali (e non):
riportate il Festival in
città, cazzo! |
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