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09 agosto, 2023

La prima volta di Eduardo&Cristina al ROF

In attesa di ascoltarla per radio venerdi 11 (e poi dal vivo più avanti) è il caso di fare qualche considerazione su Eduardo&Cristina, cha ha l’onore di essere l’ultima delle 39 opere di Rossini a venir presentata al Festival (le prime furono, nell’ormai lontano 1980, La gazza ladra e L’inganno felice).

L’opera che quest’anno apre il 44° ROF è comunemente definita un centone, in quanto costruita per larga parte assemblando e rimaneggiando componenti presi di peso da opere precedenti a quel sabato 24 aprile del 1819 che ne vide la creazione a Venezia, Teatro di San Benedetto. Qui si può leggere una breve sinossi. E qui il libretto dell’opera

Curiosamente (ma non è affatto da escludere che si tratti di una scelta deliberata della Direzione artistica del Festival) una delle altre due opere in cartellone quest’anno è proprio quell’Adelaide di Borgogna che ha generosamente fornito più di una delle sue costole allo scheletro del centone (le altre provengono da Ermione, Ricciardo&Zoraide e Mosè in Egitto).

Ad oggi risultano soltanto due esecuzioni pubbliche dell’opera, entrambe fruibili da youtube, registrate in tempi diversi al Festival Rossini di Wildbad, rispettivamente nel luglio 1997 e nel luglio 2017. Le due esecuzioni si differenziano per i tagli ai recitativi (a volte sono gli stessi, altre volte sono diversi) e per un aspetto abbastanza importante, dal punto di vista musicale: la prima, diretta da Francesco Corti, include l’aria di Giacomo (Atto II, Scena IV) Questa man la toglie a morte, prelevata di peso da Odoardo&Cristina di Stefano Pavesi sul libretto originale di Giovanni Schmidt del 1810, mentre la seconda (diretta da Gianluigi Gelmetti) la esclude proprio in quanto aliena.

Per diritto di progenitura mi riferirò da qui in poi alla registrazione del 1997. In giallo sono evidenziati i riferimenti ai numerosi auto-imprestiti che costellano la partitura.

La Sinfonia che apre l’opera è un bell’esempio delle mirabili capacità di Rossini di creare con poca fatica nuovi oggetti musicali a partire da sue composizioni precedenti. La struttura (tonalità d’impianto RE maggiore) è formata da un’Introduzione drammatica costituita da tre pesanti accordi in ambito di RE minore e chiusa (1’22”) da un motivo nella relativa FA maggiore, cui segue l’esposizione bitematica: ecco il primo tema (2’22”) in RE maggiore, seguito dal rituale controsoggetto e dalla chiusa enfatica sulla dominante LA. Sulla quale (3’50”) compare il secondo tema [questo abilmente mutuato da Ricciardo&Zoraide (duetto dall’atto secondo, scena quarta, Ah! nati, è ver, noi siamo, là in DO maggiore)] cui segue (4’29”) il classico crescendo [preso da Ermione (dove compare dapprima nell’Introduzione, in DO e poi FA maggiore; quindi nell’Atto secondo, scena terza, coro Il tuo dolor ci affretta, là in DO e poi MI maggiore).] Eccoci infine (5’40”) alla riesposizione del primo tema in RE maggiore e poi (6’58”) a quella del secondo, pure allineatosi al RE come da sacri canoni, quindi (7’37”) al definitivo crescendo.

Il primo Atto (9’10”) è aperto dalla classica Introduzione, che è presa di peso da quella di Adelaide. Il coro (Giubila, o patria, omai) inneggia al ritorno del vittorioso Eduardo, che ha sconfitto gli eterni nemici russi. [Ecco l’analogo coro, nella stessa tonalità di FA maggiore (Misera patria oppressa) dell’Adelaide.]

Cristina, figlia del re Carlo, è tormentata dal segreto che custodisce (ha avuto un figlio da Eduardo) ed esterna la sua pena (11’17”, Misera, innanzi al padre, SIb maggiore); poi (13’54”, LAb maggiore) Ciel che vedi. Ora Eduardo è vicino (15’32”, Or la schiera, FA maggiore) e Cristina è sempre più in pena (16’25”, Coniugal, materno amore) con Carlo e Giacomo che ne scrutano i sentimenti. [Ecco invece Adelaide (Lasciami!, SIb); poi Dio che m’ami (LAb); infine Ah crudel (FA maggiore).]

Carlo intende andare a fondo sulle ragioni dei tormenti della figlia, mentre arriva finalmente Eduardo con le sue truppe, accolto dal coro (19’00”, Serti intrecciar le vergini) tonalità di DO maggiore. Eduardo esordisce (22’20”) con il cantabile Vinsi! Cui segue (24’33”) la cavatina in MIb maggiore Tu regni lieto omai, dove poi il giovane esterna (25’17”) la sua preoccupazione (Serena il ciglio, ancora in DO maggiore) per il futuro di moglie e figlioletto. [Tutta questa scena è pienamente mutuata dal finale di Adelaide, a partire da Serti intrecciar le vergini cui seguono il cantabile di Ottone (Vieni) in DO maggiore, poi la cavatina in MIb maggiore Al trono tuo primiero, cui segue D’imene il talamo (DO maggiore).]  

Re Carlo – ignaro della segreta relazione della figlia con Eduardo – la promette in sposa all’alleato scozzese Giacomo, gettando Cristina nella disperazione, mentre i grandi del regno – ignari quanto il Re – ne cantano la prossima felicità (29’30” O ritiro, che soggiorno, in SOL maggiore).

Cristina (31’28”, aria È svanita ogni speranza, RE, poi SOL maggiore, con il coro) ormai vede la liberazione dalle sue pene solo nella morte, così Eduardo (35’26” Deh, quel pianto raffrena, sempre SOL maggiore) cerca di consolarla come può, chiedendole di poter abbracciare il loro piccolo Gustavo.

Che Cristina manda a prendere, per poi attaccare con Eduardo (36’45”) un grande duetto (In que’ soavi sguardi) in MI maggiore, con modulazioni alla sottodominante LA, successivamente a DO e poi SOL, prima di tornare al MI maggiore. Eduardo fa di tutto per rassicurare la sposa (40’00” A dispetto d’empio fato, SI maggiore) e finalmente, guardando il figlioletto (41’30” Tu che i puri e dolci affetti, MI maggiore) i due si rincuorano a vicenda.   

[Come la precedente, anche questa sezione dell’opera è presa – quasi interamente, ma parecchio ridotta - da Adelaide, precisamente dall’atto primo, scena 13. Dove troviamo il coro O ritiro, che soggiorno (SOL); poi Occhi miei, piangeste assai (RE, SOL); quindi il gran duetto: Mi dai corona e vita (MI, LA, DO, SOL e MI maggiore); Vieni al tempio (SI maggiore) e infine Tu che i puri e casti affetti, MI maggiore.]

Eduardo propone di fuggire dal palazzo, con l’aiuto del fido Atlei, ma sopraggiungono il Re e i dignitari, per celebrare il matrimonio fra Cristina e Giacomo (45’01”, coro Vieni al tempio, principessa, in SIb maggiore). [Anche questo mutuato, tonalità compresa, da Adelaide, atto primo, scena 10, Viva Ottone.]

Cristina si schermisce, ma poi deve confessare tutto, compresa l’identità del bambinello lì presente e mai mostrato prima ad alcuno. Il padre Carlo rimane sconvolto e decide di punire la fedifraga con la morte. Lo fa cantando la sua grande aria, assai articolata e con interventi di coro e altri personaggi. Dapprima ecco (50’08”) D’esempio alle alme infide in SIb maggiore, poi modulante a FA maggiore. Poi (52’29”) A sì crudele affanno, in REb e poi ancora a FA maggiore; quindi (53’40”) All’eccesso della pena, ancora in REb; infine (55’41”) Ah, sgombrate da me bassi affetti, tornando a SIb maggiore.

[Questa grande aria è tratta in gran parte da Ermione, primo atto, quarta scena, Balena in man del figlio, cantata da Pirro. Vi ascoltiamo poi Per lei sfidai le stelle (3’06”) in REb e FA maggiore; quindi Deh serena i mesti rai (4’50”) in RE naturale (sostituita in E&C); infine Non pavento (8’30”) ancora in SIb maggiore.]

Siamo arrivati al Finale primo (59’25”) che si apre con un coro (A che, spietata sorte) in DO minore / MIb maggiore: sono i notabili e le guardie che imprecano contro il destino che ha voluto questo esito nefasto. [Questo coro è preso dal second’atto, scena 14, di Ricciardo&Zoraide (Qual giorno, aimè, d’orror) in DO minore e MIb maggiore.]

Inizia ora la scena madre: Carlo chiede alla figlia il nome del suo seduttore, poi lo stesso fa il coro (1h02’51”) con un perentorio DO maggiore: Svela il reo, ma Cristina è ferma nel suo silenzio e invoca la meritata pena. In quel momento (1h05’36”) Eduardo si fa avanti (Ah, mi lascia) e – con la tonalità che modula a LAb maggiore - confessa di essere lo sposo di Cristina. Su quel LAb ecco nascere un classico concertato (1h06’41”, Che fiero stato) protagonisti Cristina, Eduardo, Carlo, Giacomo e Atlei. [Questo concertato viene da Ermione, finale del primo atto, Sperar, temer poss’io, in LAb (da 1’06”).]

Con la tonalità che passa a FA maggiore ecco (1h08’14”) il confronto finale fra Carlo ed Eduardo (Vil vassallo!) e l’ordine del Re di giustiziare anche il piccolo Gustavo. È la madre ora ad implorare pietà (1h10’18”, DO maggiore, Signor, deh moviti) con un canto agitato che introduce la conclusione concertata dell’atto, con il trasferimento in carcere di Eduardo, Cristina e figlio. [Siamo ancora in Ermione, con il finale del primo atto, in DO maggiore (Pirro, deh serbami).]
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Eccoci quindi al secondo atto. Che si apre (1h14’09”) con il coro Giorno terribile, in RE minore, poi FA maggiore: è la Corte di Carlo che lamenta la tragica conclusione che sta per arrivare, con la pena capitale inflitta alla principessa e all’eroe nazionale. Anche il fido Atlei non si dà pace, mentre il coro (1h16’01”) commenta l’ineluttabilità di ciò che sta per accadere (Impera severa la legge possente, in RE maggiore).

Atlei non si dà per vinto e si ripromette di fare ogni tentativo per salvare l’amico Eduardo, mentre Re Carlo conferma la sua irrevocabile decisione a Guglielmo. Il quale si dice disposto ad accettare in sposa Cristina, prossima vedova, pur di evitare la totale catastrofe. Carlo lo ringrazia dell’offerta, e così Guglielmo si esibisce (1h18’48”) nella sua aria Questa man la toglie a morte, in FA e DO maggiore. [Come già anticipato, questa aria non è di Rossini, ma è presa direttamente dalla partitura di Stefano Pavesi, che aveva già composto un’opera – Odoardo - sul testo poi trasformato in quello dell’Eduardo.] 

Carlo fa chiamare Cristina e le comunica l’offerta di Guglielmo, al che la figlia reagisce (1h23’36”) con l’esternazione Ahi, quale orror! in LA maggiore, che dà inizio ad un grande duetto con il padre. Nel quale duetto – che prosegue con due sezioni nella dominante MI maggiore per poi chiudere in DO maggiore (Squarciami, o morte, 1h27’43”) - i due restano sulle loro posizioni: lui cerca invano di convincere la figlia, che rimane irremovibile nel rifiutare l’offerta e nel chiedere la morte.

A questo punto (1h29’07”) al duetto si aggiunge il Coro, che – tornando a MI maggiore – sollecita (Signor, di Scozia il Prence) la risposta per Guglielmo. Ma tutto è vano e – rimodulando al LA maggiore iniziale - la scena si chiude con la disperazione generale.

[Il duetto Cristina-Carlo è un altro auto-imprestito da Ermione, atto primo, scena seconda, duetto Ermione-Pirro a partire da Non proseguir! in LA e MI maggiore, poi con Ah, m’odia già, DO maggiore e quindi con l’intervento del coro (Sul lido) in MI e finalmente in LA maggiore.]

Arriva ora la notizia che i nemici hanno assaltato le mura della città: Carlo affida a Guglielmo la difesa, mentre Atlei pensa a come approfittarne per salvare Eduardo.

Il quale giace in carcere, come ci notifica (1h33’50”) il mesto coro dei suoi seguaci, Nel misero tuo stato, in MIb maggiore e DO minore. Il giovane si informa sullo stato di moglie e figlio e, sapendoli ancora in vita, chiede ai suoi di implorare la grazia per loro al Re, concludendo l’implorazione (1h39’32”) con la cavatina in SOL maggiore La pietà che in sen serbate.

Ma ecco sopraggiungere (1h43’03”, Viva Eduardo, in DO maggiore, è il crescendo già udito nella Sinfonia e qui ulteriormente sviluppato e sottoposto a modulazioni) il fido Atlei con altri soldati, che gli reca una spada e lo invita ad unirsi ai difensori della patria contro il nemico russo. Al che il giovane (1h44’33”) risponde con la cabaletta Come rinascere, in SOL maggiore, e si unisce agli amici, avviandosi alla battaglia. [Questa cabaletta viene da Ermione: è quella cantata da Oreste, in MIb, Ah, come nascondere, atto primo, scena 3 (da 42”).]

Ora si passa direttamente (1h48’00”) da un carcere all’altro, quello in cui è rinchiusa la povera Cristina: l’introduzione è affidata al mesto canto del corno inglese (DO minore – MIb maggiore) che accompagna una specie di incubo di cui è preda la giovane: l’esecuzione di Eduardo. Dal quale si risveglia (1h51’23”) con un… cantabile in LAb maggiore (Ah no, non fu riposo). [Questo cantabile è pure ripreso da Ermione, atto secondo, scena seconda, Dì che vedesti piangere, lì in LA maggiore.]

Ancora un recitativo accompagnato (1h53’11”, Ah, ch’io vaneggio) in MIb maggiore, poi sfocia in un cantabile in DO maggiore (1h54’08”, Vieni pur) in cui la poveretta invoca la morte; poi, su un colpo di cannone, modula a LA minore (1h55’35”, Ma che sento) e si dispera, paventando l’imminente fine. Altri colpi di cannone (1h56’24”) e ritorno a MIb maggiore (Raddoppia il fragore) finchè ecco il colpo di teatro: Eduardo le compare dinanzi (1h56’59”, Respira!): con Atlei e altri compagni è lì per trarla in salvo.

Un ritorno al DO maggiore sottolinea la concitazione del momento, che culmina con la notizia che anche il piccolo Guglielmo è in salvo. E così si arriva direttamente al duetto Cristina-Eduardo (1h57’41”, Ah, nati in ver noi siamo) e tutti si avviano per la battaglia che li attende. [Come già sottolineato nella descrizione della Sinfonia, il duetto è preso, proprio pari-pari, parole e tonalità incluse – da Ricciardo&Zoraide.]

Dopo che Giacomo ha a sua volta esortato i suoi ad andare in soccorso del Re minacciato, ecco esplodere (2h01’18”) la Battaglia, ancora in DO maggiore, poi chiudendo in minore. [Inconfondibile questo brano: è la traversata del Mar Rosso, nel finale del Mosè!]

Giacomo ritrova il Re, ormai disperato, e gli comunica la buona notizia: i nemici furono sconfitti da Eduardo, liberato da Atlei. E proprio in quel momento sopraggiunge Eduardo (2h04’35”) ed ha inizio, in MI maggiore, poi LA maggiore, il duetto (Stelle, che intendo?) fra… suocero e genero! Carlo perdona Eduardo, che altro non chiede se non la salvezza di Cristina e del piccolo Gustavo (Salvami sposa e figlio).

Ma ormai il lieto fine è vicino: Carlo perdona anche Cristina e la riconsegna ad Eduardo, mentre Giacomo mitiga la sua delusione per la rinuncia alla Principessa con la gioia per la di lei felicità. Un concertato con coro finale, in FA (e DO) maggiore (2h11’13”, Or più dolci intorno al core) chiude l’opera in gloria. [Questo finale è direttamente mutuato da quello di Ricciardo&Zoraide.]
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Che dire? Certo quest’opera fu frutto di un’operazione piuttosto azzardata e discutibile, tuttavia fu costruita con cura e razionalità: non è un semplice affastellamento di musiche riciclate così a caso, senza alcun criterio, ma gli auto-imprestiti sono sempre accuratamente motivati da ragioni drammatiche. Solo così si spiega come il pubblico veneziano del 1819 abbia potuto apprezzare l’opera: non conoscendo l’origine di buona parte della musica, le riconobbe però piena pertinenza rispetto al soggetto. E lo stesso Stendhal - che pure era al corrente dei retroscena – tutto sommato ne riconobbe il valore.

Cosa che possiamo fare tranquillamente anche noi, apprestandoci a seguirne la presentazione del ROF. 

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