Dopo
Xian Zhang, ecco il secondo Direttore
Emerito
dell’Orchestra Sinfonica di Milano fare la sua rimpatriata per proporci
un concerto che accosta il maturo, ma ancora arzillo, Haydn londinese,
al giovin di belle speranze Dvořák.
Del capostipite riconosciuto della prima scuola di Vienna ascoltiamo una delle Sinfonie composte in terra albionica, catalogata come Hoboken 101 e nota come La Pendola, per il tipico ritmo da orologio che ne caratterizza l’Andante. [Qui una mia sommaria presentazione della Sinfonia.]
Flor
ne aveva diretto la precedente apparizione qui in Auditorium nel luglio 2021,
appena usciti dal Covid. E anche ieri, come allora, il quartetto delle prime
parti degli archi è stato il protagonista dell’esecuzione. E Dellingshausen in
particolare, avendo suonato da solista i diversi ritorni del tema della Pendola…
Ma gli applausi sono andati poi a tutti i membri dell’orchestra, opportunamente
smagrita per creare proprio l’atmosfera tutta settecentesca del brano.
La poca chiarezza sulla numerazione delle sinfonie del boemo fu anche colpa
dell’autore medesimo, che trattava così maldestramente le sue composizioni da
perderle per strada (come accadde alla prima
sinfonia, il cui manoscritto, inviato ad un concorso, non gli fu mai
restituito) o da vederle confiscate dal rilegatore (la seconda) che Dvořàk non aveva i soldi per pagare (!) Così per anni
e anni circolarono solo alcune delle nove sinfonie, nell’ordine la 6-7-5-8-9
che erano numerate da 1 a 5. Si sospetta che Dvořàk giocasse anche un po’ con
la cabala, inventando trucchi pur di non arrivare al fatidico nove…
Questa Sinfonia era stata eseguita qui in Auditorium soltanto
una volta, nel gennaio-febbraio 2013, all’interno di quello che avrebbe dovuto
configurarsi come il ciclo completo – spalmato su tre stagioni - delle nove
sinfonie dirette dal venerabile Aldo Ceccato. Il quale, forte della sua
personale, lunga esperienza fatta in terra boema (come Direttore Artistico a Brno)
aveva pensato di andare a ritroso, partendo dall’ultima (il Nuovo Mondo,
ottobre 2011) per poi risalire fino alla prima (Le campane di Zlonice).
[Di fatto il cammino si interruppe a ottobre 2013 con l’esecuzione della Terza…]
Ecco una
mia presentazione dell’opera, scritta proprio in
occasione della precedente esecuzione di Ceccato.
Flor
ne ha dato un’interpretazione vibrante, impiegando modica ma sapiente quantità
di rubato nel movimento iniziale, esaltando il carattere intimistico
dell’Andante senza peraltro farne un pezzo decadente; trascinante lo
Scherzo, dai tratti schubertiani e bruckneriani; travolgente poi il finale, con
il suo tema spiritato e i poderosi, teatrali interventi dei corni.
Insomma, essendo difficile, anzi impossibile per chiunque, trasformare un’opera dignitosa in un capolavoro assoluto, dobbiamo ringraziare Flor e i ragazzi di avercela fatta digerire senza bisogno di… alkaselzer. Più che doverosi e meritati quindi gli applausi e le ovazioni di cui il pubblico li ha gratificati.
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