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07 giugno, 2023

Rusalka incanta la Scala

Ieri sera è quindi approdata finalmente al Piermarini (con vari buchi… ma peggio per gli assenti) la Rusalka di Antonín Dvořák, colmando così una imperdonabile lacuna nel curriculum scaligero. Dico subito che con questa produzione il Teatro si fa, almeno in parte, perdonare il ritardo, ecco!

Il merito va equamente distribuito fra tutte le componenti della squadra, a partire ovviamente da quella più importante, i suoni. La direzione impeccabile del 53enne di Brno, Tomáš Hanus, ha saputo valorizzare quanto di buono c’è in questa affascinante partitura: gli squarci idilliaci e sereni del mondo innocente della Natura; le pulsioni della protagonista, i suoi sogni, le sue speranze, poi le cocenti delusioni e infine la rassegnazione per l’esito della sua avventura, rassegnazione che tuttavia lascia aperto uno spiraglio di Mitleid a mitigare il nichilismo della conclusione; e infine il mondo degli umani, con tutte le sue classiche manifestazioni: superficialità, vanagloria, superbia e presunzione, credulità e superstizioni.

L’Orchestra da parte sua ha mostrato di trovarsi a suo agio con questo Dvořák tardoromantico, che sa coniugare la freschezza dell’ispirazione legata alle tradizioni della sua terra boema con il lascito wagneriano, senza mai cadere nel banale o nel melenso. Il coro di Alberto Malazzi ha dato il suo valido contributo, soprattutto nella parte femminile che impersona ninfe e ondine, così come nel breve passaggio della festa al castello.

Quanto alle voci, Olga Bezsmertna ha convinto nell’interpretazione della sfortunata ninfa, nei suoi mutamenti di… genere e quindi di umore; la voce ha forse qualche debolezza nelle note gravi, mentre al centro e sugli acuti ha dato il meglio di sé. Per lei un franco successo, premiato da una prima uscita singola nella quale si è presentata alzando e poi avvolgendosi nella bandiera giallo-blu della sua martoriata terra. Ma a proposito di politica e di guerra, davvero evocativa (e chissà se beneaugurante) la scena su cui cala il sipario: un russo (non importa se filo-putiniano o meno) che muore fra le braccia di un’ukraina che ha cercato la libertà, pentito per i torti che le ha inflitto in vita!

Il russo è Dmitry Korchak, che ormai si sdoppia fra canto e direzione d’orchestra: la voce è sempre chiara e squillante (viene da… Pesaro, non dimentichiamolo) e il suo Principe ne è stato ampiamente beneficiato.    

La Principessa passa come una meteora solo nel second’atto: Elena Guseva ha fatto del suo meglio, mostrando bella voce e sufficiente grinta nell’impersonare questa donna sfacciata e presuntuosa.   

Da elogiare la Strega di Okka von der Damerau, che non si è fatta trascinare dalla parte in inutili sguaiatezze, ma anzi ha caricato di drammaticità i suoi interventi; perfetta nella messa-nera del primo atto!        

Jongmin Park ha impersonato un Vodnik un po’ monocorde, mentre dovrebbe almeno differenziare il suo canto fra la disperazione per la sorte della figlia e gli anatemi verso Principe, Principessa e… lo sguattero portavoce. Voce potente ma un po’ troppo cavernosa: chissà se per questo ha avuto gli unici due buh piovuti dal secondo loggione.

Onorevoli la parti di contorno: il guardiacaccia Jiří Rajniš ha mostrato una solida voce baritonale, più adatta - secondo me - al ruolo rispetto a quella di tenore, cui pure viene spesso affidato, addirittura fin dalla prima; Svetlina Stoyanova, lo sguattero en-travesti, soprattutto nella prima scena del second’atto; e il cacciatore di Ilya Silchukou, che ha una parte davvero minuscola, ma l’ha svolta con diligenza.  

Assai bene le tre Ninfe del bosco, Hila Fahima, Juliana Grigoryan e Valentina Pluzhnikova, sia nelle parti singole (atto III) che in quelle a trio.

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Vengo ora allo spettacolo di Emma Dante. L’ambientazione esteriore è proprio da fiaba, come testimoniano le scene di Carmine Maringola e anche i bellissimi costumi di Vanessa Sannino. Efficaci le luci di Cristian Zucaro e appropriate e mai invadenti le coreografie di Sandro Maria Campagna.

La regista ha coniugato con grande efficacia l’aspetto favolistico del soggetto con i risvolti di natura sociologica, riservando per questi ultimi il secondo atto dell’opera.

La scenografia del primo atto ci mostra la facciata stilizzata di un palazzo davanti al quale si trova una piscinetta che simbolizza l’acqua del lago. Già durante il Preludio vediamo il Principe aggirarsi presso lo… stagno in cerca forse di qualcosa di… esotico, e Rusalka arrivare e contemplarlo spinta su una gran sedia a rotelle, con tentacoli che le escono da sotto la gonna: chiara e didascalica, ma efficace, evocazione della sua natura non-umana ma attirata dall’umanità.

Il suo passaggio a essere umano avviene nel corso di una vera e propria messa nera (con presenza di diavoletto scodinzolante) che la Strega celebra su una specie di altarino, con tanto di calici e ampolline: una parodia dissacrante che la Dante fa delle liturgie ecclesiastiche e, in generale, della religione (dico per inciso che qui ci sta tutta, quanto invece era gratuita nella sua Carmen…)

Il cambiamento di… genere avviene rimuovendo a Rusalka i tentacoli e poi, per metterla in verticale, facendola aggrappare ad un enorme amo da pesca calato dall’alto: immagine eloquentissima a spiegare il fenomeno (amo-re) che ha spinto l’ondina all’avventura impossibile!

 

Il secondo atto si apre davanti ad una parete (un sipario, in effetti) fatta di foltissimo fogliame, che fa da sfondo al siparietto di guardacaccia e sguattero. Ma il fogliame maschera la presenza di esseri mostruosi che poi si palesano come strani animali, simili ad orsi: il tutto supporta assai bene il racconto del guardiacaccia a proposito delle presenze del bosco. Poi il sipario-foresta si alza (lasciando anche cadere qualche rametto…) per mostrarci la sala del palazzo del Principe, dove ritroviamo la piscinetta nella quale è immerso un tavolo dove mangiano gli invitati.

 

E cosa mangiano? I tentacoli che erano stati rimossi a Rusalka! Ecco, è l’indizio che qui si comincia anche a fare un po’ di sociologia: non per nulla Rusalka ne rimane allibita. La scena è carica di simboli che rimandano alla non accettazione o all’irrisione del diverso, cosa che fa la Principessa nel reclamare dal Principe l’accoglienza che le spetta per diritto di… etnia (!?)

 

Alle danze si aggiunge agli invitati la stessa Rusalka, che però comincia pericolosamente a barcollare… chiaro indizio che la sua posizione nel mondo degli umani è ormai messa in pericolo. E addirittura la danza e la successiva marcia nuziale (à-la-Lohengrin) degli invitati si trasforma invece in un autentico funerale, dove una Rusalka imbalsamata viene deposta sul tavolo immerso nell’acqua (come dire: questa è la fine che farai, tornatene da dove sei venuta!)

 

A questo punto ridiscende provvisoriamente il sipario… boschivo per accogliere al proscenio l’incontro decisivo fra Principe e Principessa. La quale dapprima sembra convinta di aver ormai raggiunto il suo obiettivo, ma poi, di fronte alle perplessità e ai rimorsi del Principe dopo le minacce di Vodnik, lo manda al diavolo e se ne va, mentre il bosco si ritira in alto per mostrare una Rusalka troneggiante su un’imponente massa di tentacoli!

 

L’atto conclusivo rispecchia con fedeltà quasi assoluta il libretto: siamo tornati allo scenario iniziale, ma assai invecchiato e sfiorito. Rusalka è tuttora umana, ma fatica a reggersi in piedi e ancora ha bisogno dell’amo cui aggrapparsi.

 

Dopo l’intermezzo di guardiacaccia, sguattero e strega, e il nuovo incontro delle ninfe con Vodnik, ecco il poeticissimo finale, con il Principe che muore (proprio come Tristan) fra le braccia di Rusalka.

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Insomma, uno spettacolo di altissimo livello che il pubblico (almeno quello rimasto fino alla fine…) ha accolto con una decina di minuti di applausi per tutti. Certo è una delle migliori produzioni di questo 22-23 scaligero.

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