Ieri al Comunale
di Bologna quarta rappresentazione di Attila. Si ratta di un nuovo allestimento di Daniele Abbado, che verrà
successivamente riproposto a Palermo e Venezia (co-sponsor della produzione). Insieme
al sottoscritto, i più (cioè il solito 1,2-1,6% dell’italica popolazione) avranno
già sentito/visto (in diretta o differita, su Radio3 e RAI5) la prima del 24.
Ciò che penso
dell’opera lo avevo già esternato quasi 5 anni orsono, in occasione d una
recita alla Scala.
Ieri era la seconda con il cosiddetto secondo
cast. Devo dire subito che non mi ha fatto rimpiangere il primo: forse l’unico
interprete di cui ho sentito la mancanza è stato Simone Piazzola, il cui vice, Gezim Myshketa (Ezio) mi è parso
impiegare poco proficuamente il suo pur naturalmente dotato strumento: voce artatamente
scurita soprattutto nelle note alte, dove invece andrebbe esibito uno squillo
penetrante, e non cavernosi schiamazzi.
Tutti gli alti
interpreti non hanno affatto demeritato. A partire dal protagonista, un solidissimo
Riccardo Zanellato, che ha esibito
grande sicurezza e profondità di accenti, oltre che autorità e portamento
scenico.
Bene anche Stefanna Kybalova, cui potrei rimproverare
qualche acuto troppo tirato-via (ma non il DO di ingresso, più che dignitoso). Giuseppe Gipali ha pure ben meritato
come Foresto, mostrando acuti squillanti ma anche buona espressività nei
passaggi più introspettivi.
Gianluca Floris e Antonio Di Matteo come da minimo sindacale.
Il coro di Andrea Faidutti ha ben
sopportato le asprezze imposte da Verdi, sia nelle scene più cupe e opprimenti
che in quelle dove si sprecano i fortissimo.
Da ultimo
lascio Michele Mariotti per
tributargli un doveroso omaggio: non aver avuto tema nell’impiegare in modo
persino protervo quella tanto famigerata vanga
che molti schizzinosi da sempre rimproverano a questo Verdi. Dico, Attila, se
suonato così, ti porta semplicemente all’entusiasmo, ecco. E comunque, come
dimenticare l’alba su RioAlto, evocata con pochi tratti, ma con grandissima efficacia...
Quanto alle troppe cabalette, chiunque (credo) ne vorrebbe ancora di più...
Poche note sull’allestimento
della coppia Daniele Abbado – Gianni Carluccio. Eccessiva insistenza su
ambienti cupi ed opprimenti, quando invece ci dovrebbero essere anche squarci
di luminosità e di sereno. Suppellettili in scena piuttosto insignificanti, o
forse dal significato troppo criptico, non saprei; personaggi simbolici (un cristo
seminudo e un rabdomante o domatore di serpenti) che potevano esserci
risparmiati.
Costumi più o
meno appropriati al fine di farci ben distinguere tra gli straccioni e
malnutriti invasori e le truppe scelte di Roma (rancio ottimo e abbondante,
divise appena uscite dalla stireria e stivali lucidati a specchio).
La regìa dei personaggi:
l’impressione che si sia lasciato a ciascun interprete di recitare a soggetto,
secondo la propria personale ispirazione. Insomma, nulla di indimenticabile.
Ma, ripeto, ciò
che conta è, nella fattispecie, l’accoppiata Verdi-Mariotti: e questa ha risposto
davvero alla grande!
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