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27 gennaio, 2016

La Scala attende il primo Trionfo

 

Dal 28/1 la Scala ospiterà otto recite de Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, l’oratorio di Händel che viene rappresentato in forma scenica, per la regìa di Jürgen Flimm, spettacolo originariamente allestito nel 2003 a Zurigo (Pereira imperante!) e in seguito ripreso (dal 2012, Flimm imperante!) alla Staatsoper di Berlino.

Si tratta del primo dei tre Trionfi, quello composto a Roma nel 1707 dal 22enne di Halle. Il soggetto dell’Oratorio (basti dire che è farina del sacco della porpora di un cardinale, tale Benedetto Pamphilj) è un’amabile discussione filosofica (tipo il platoniano Simposio, ecco) fra quattro voci, che prendono le parti concettuali di Bellezza, Piacere, Tempo e, appunto, Disinganno. Che la Bellezza sia la protagonista assoluta lo conferma, oltre al contenuto del testo e al numero preponderante di arie musicali che la vedono protagonista, anche il titolo completo originale dell’Oratorio: La Bellezza raveduta nel trionfo del Tempo e del Disinganno. In effetti, dopo aver cercato di resistere alle severe argomentazioni di Tempo e Disinganno, lasciandosi tentare dalle lusinghe del Piacere, la Bellezza conclude l’Oratorio precisamente con un ravvedimento (à la Maddalena): getta lo specchio nel quale usava narcisisticamente rimirarsi, scioglie le chiome privandole di orpelli e lustrini e allontana da sè il Piacere, rimettendosi alla misericordia del Cielo.

Händel compose la musica dell’Oratorio qualche mese dopo il suo trasferimento a Roma da Amburgo, dove aveva fatto i suoi primi passi da compositore. Da un’opera scritta lassù (Almira) recuperò il tema di una sarabanda del primo atto e lo riciclò (impreziosito) in una delle arie più famose dell’Oratorio (Lascia la spina); più avanti riutilizzò lo stesso motivo nel suo Rinaldo (Almirena: Lascia ch’io pianga):



E a proposito di auto-imprestiti (come si vede, Rossini non inventò proprio nulla!) il nostro riprese l’accompagnamento dei flauti all’aria del Disinganno (Crede l’uom ch’egli riposi) nella sua opera d’addio all’Italia, rappresentata a Venezia nel 1709, Agrippina (aria di Ottone Vaghe fonti):


L’Oratorio è diviso in due parti di durata (circa 75’) e contenuti (numeri musicali) confrontabili. La prima comprende 12 arie, un duetto e il quartetto finale, più la Sonata introduttiva ed una seconda Sonata, assai virtuosistica ed appariscente, con Organo obbligato, collocata proprio fra il recitativo (Questa è la reggia mia) e l’aria del Piacere, Un leggiadro giovinetto. Guarda caso il giovinetto era proprio Händel in persona, seduto all’organo! Sicuramente un omaggio del cardinale al caro sassone, ed anche un vezzo auto-celebrativo del giovane compositore. Sonata e... suonatore scompariranno, come vedremo, in versioni posteriori. La seconda parte comprende 11 arie, un arioso, un quartetto e un duetto. La conclusione, dopo la conversione della Bellezza, è un mirabile Adagio in MI maggiore, che si spegne - pianissimo - sulla celestiale melodia dei violini. Non così si chiuderanno le due successive versioni albioniche (1737 e 1757) dell’Oratorio.

Durante la sua lunga residenza oltre-Manica, come ripiego per far fronte al declino londinese dell’opera italiana, Händel decide di riproporre, a 30 anni esatti di distanza, il suo oratorio giovanile romano, e per l’occasione ne appronta una nuova versione ristrutturata, modificata ed arricchita (ma sempre in lingua italica). La differenza più macroscopica, più che nel titolo (Verità rimpiazza Disinganno) risiede nella struttura dell’opera, che viene suddivisa in tre parti data la sua nuova, ipertrofica estensione (si passa da meno di 2 ore e mezza a tre!) Vengono introdotti qui i cori (assenti nella versione romana) ed apportate svariate modifiche, alcune di portata limitata, altre veramente pesanti, come la riscrittura completa di arie e/o il trasporto di tonalità (in funzione delle diverse voci disponibili).

Poi, a 50 anni dalla sua composizione originale, un Händel ormai malconcio si convince a riproporre una nuova versione dell’Oratorio, questa volta tradotta in lingua inglese dal suo più fido librettista, Thomas Morell. L’oratorio è soggetto a nuove modifiche, ritocchi e imprestiti da altre opere, interventi probabilmente fatti da mani diverse (John Christopher Smith Jr.) da quelle dell’Autore: la durata totale torna più o meno quella della versione originale romana (2 ore e 35’).

Quanto alle voci, sappiamo come la scelta fosse condizionata anche dalle disponibilità occasionali. La versione originale prevede un soprano (B), un soprano (P), un tenore (T) e un contralto (D) mentre non prevede cori. Quella del 1737 (vedi sotto le note relative all’edizione Naxos, l’unica oggi disponibile) prevede un soprano (B), un soprano (P), un contralto-controtenore (T) e un contralto-controtenore (D) più i cori. Quella del 1757 prevede un soprano (B), un tenore (P), un basso (T), un soprano (D), i cori e in più un contralto per la nuova parte di Verità (o Saggezza, Counsel) che nelle versioni precedenti veniva semplicemente citata da altri personaggi, senza mai intervenire in prima persona, mentre qui prende una parte del ruolo del Disinganno.

A suo tempo (metà ‘800) Friedrich Chrysander, che pubblicò in Germania tutte le principali opere di Händel, predispose l’edizione delle due versioni estreme dell’Oratorio (1707, in italiano e 1757, in inglese-tedesco) basandosi su materiali di seconda mano, quindi non certo a prova di bomba. Non solo, ma gli mancarono totalmente reperti relativi alla versione del 1737, che lui arbitrariamente e sommariamente pensò potesse ricostruirsi appiccicando a quella del 1707 le parti diverse del 1757.

Solo (relativamente) di recente è stato possibile ricostruire la versione 1737 in modo plausibile (anche se manca tuttora quella che si chiama un’edizione critica). Tuttavia il risultato di questo lavoro (dovuto a Joachim Carlos Martini) mi pare assolutamente apprezzabile, pur se presenta alcune scelte forzatamente arbitrarie, date le circostanze. Martini ha inciso questa versione per l’etichetta Naxos, con complessi di Francoforte.

Per avere una visione sintetica delle differenze fra le tre versioni ho predisposto una scheda, ritrovabile qui: essa presenta nelle tre macro-colonne le tre versioni, e nelle righe i dati salienti dei diversi numeri. In particolare il contenuto della sotto-colonna titolata ton indica la tonalità principale del brano (di norma le modulazioni interne virano classicamente alla dominante o alla relativa) e la colonna titolata n/m contiene l’attributo n ad indicare un numero non presente nella versione precedente, e m ad indicare un numero modificato rispetto ad essa. Lo sfondo arancione sul titolo sta ad indicare una modifica sostanziale (per i recitativi ho trascurato di indicare differenze marginali). Quindi la colonna 2 (1737) si confronta con la 1 (1707) e la colonna 3 (1757) si confronta con la 2 (1737). I contenuti delle versioni 1707 e 1757 sono ricavati dalle partiture di Crhysander, mentre quello della versione 1737 è stato desunto dalla citata edizione di Martini per la Naxos che, come detto, ha comportato scelte magari anche opinabili (si veda qui la scheda informativa di Martini sui criteri da lui seguiti per la ricostruzione della partitura). 

I libretti delle tre versioni sono reperibili (non esclusivamente) ai seguenti indirizzi: Versione 1707 (Scala-2016); Versione 1737 (Martini, documento citato più sopra); Versione 1757 (Stanford).
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Il Trionfo del Tempo e della Verità (Londra, 1737)

Sulla base dell’edizione di Martini si possono rilevare le seguenti principali novità:   

Alla Sonata del Overtura viene aggiunta una Sinfonia, il cui Allegro riprende il tema dell’Overtura e lo arricchisce soprattutto di corposità strumentali (trombe e timpani).

L’apertura è affidata al Contralto solo e al Coro (Solo al goder) ed è stata composta espressamente, così come il successivo recitativo di Bellezza (Qual veggio il mio sembiante). 

L’aria (B) Fido specchio subisce alcune variazioni soprattutto nell’accompagnamento.

L’aria (P) Fosco genio è riscritta totalmente: passa da MI minore a LA maggiore, da 3/4 (giga, Allegro) a 4/4 (Andante) cambiando completamente faccia.

L’aria (D) Se la bellezza passa da DO a RE minore, con tempo accelerato e l’aggiunta di un’introduzione diversa.

L’aria (B) Una schiera di piaceri passa da LA a FA maggiore, con melodia totalmente rinnovata, struttura assai ampliata, ma con meno virtuosismi.

Anche l’aria (T) Urne voi è totalmente rinnovata: da 4/4 passa a 3/4 e assume ritmo di marcia funebre. Un Coro è aggiunto in coda, che ripete gli ultimi due versi dell’aria.

L’aria (B) Un pensiero nemico è totalmente riscritta: da 4/4 con grandi virtuosismi passa a 12/8 in un clima languido.  

L’aria (T) Nasce l’uomo è trasportata da SOL a RE maggiore. La seconda parte dell’aria (L’uomo sempre se stesso distrugge) passa dal Disinganno al Coro, per chiudere solennemente la nuova prima parte dell’oratorio.

La seconda parte è preceduta da un nuovo Interludio tripartito (Concerto con organo, soli-coro e Sinfonia).

La Sonata per Organo e orchestra (quella che a Roma suonò Händel in persona) viene espunta e sostituita da due Sonatine, per violino e carillon.

La prima aria (Piacere: Un leggiadro giovinetto) è praticamente riscritta: cambiano il tempo (da 3/8 a 4/4) e la tonalità (da SOL a LA maggiore) e aumentano i virtuosismi.

L’aria (B) Venga il Tempo viene completata con un Coro (O tempo, padre del dolor) e ritornello orchestrale.

L’aria (T) Folle dunque, tu sola presumi è pesantemente rivista, con maggiori virtuosismi assegnati alla voce.

Anche il quartetto Se non sei più ministro (che chiude la prima parte della versione originale) è pesantemente rimaneggiato, nella tonalità (DO e non RE minore) e nel tempo (2/4 al posto di 4/4) e quindi nel ritmo.
  
L’aria (B) Io sperai trovar nel vero è pesantemente rivista: da Adagio in SI minore si trasforma in un Larghetto in SOL maggiore, dal ritmo più mosso.

L’aria (B) Io vorrei due cori in seno viene trasposta da DO a SI minore ed accorciata, mantenendo soltanto il primo intervento di Bellezza ed espungendo quelli successivi di Disinganno e di Bellezza.

L’aria (D) Più non cura viene trasposta da SIb a DO maggiore.

L’aria (T) É ben folle quel nocchier viene completamente rimaneggiata: trasposta da 4/4 in SIb maggiore a 6/8 in MIb maggiore, e dotata di un ritmo più blando. 

Il Quartetto Voglio tempo per risolvere, dovendosi ora chiudere la seconda parte, viene completamente ristrutturato. La parte che rimane del quartetto (la prima) assume un tono e ritmo mesto (3/4) invece di quello agitatissimo (3/8) dell’originale, e si chiude sul verso ...ma il Consiglio è il tuo dolor. La restante parte (Pria che sii converta in Polve) viene rimpiazzata da un Coro, in FA maggiore.

La terza parte si apre con una Sinfonia e subito dopo il primo recitativo presenta una grande novità; una nuova versione dell’aria (P) Lascia la spina, veramente irriconoscibile rispetto all’originale. Il quale è basato sulla lenta sarabanda dell’Almira, mentre qui abbiamo una veloce giga (Allegro, 6/8).

Nella citata ricostruzione di Martini viene di seguito proposta una trascrizione per due clavicembali della sarabanda dell’Almira, seguita dalla versione originaria di Lascia la spina.

L’aria (B) Voglio cambiar desio viene significativamente modificata nella melodia principale. 

L’aria (D) Che già fu del biondo crine viene trasposta da SOL a LA minore, con minime modifiche alla fine delle strofe. 

Completamente rivista Il bel pianto dell’aurora: originariamente un duetto (D-T) in LA minore, diventa un’aria per il solo Tempo, in SI minore.

L’aria (P) Come nembo che fugge viene profondamente modificata. Tempo (da 3/4 a 6/8) e ritmo cambiano completamente: da forsennati si addolciscono parecchio.

L’accompagnato (B) Pure del cielo viene assai modificato e ridotto ai soli tre versi finali (Or se la Verità).

L’aria (B) Tu del ciel ministro che chiude l’Oratorio nella versione originale, viene modificata assai, e non solo nel testo del primo verso (Quel del ciel ministro) ma anche nella melodia.

Ma una novità eclatante della versione 1737 riguarda proprio la conclusione dell’Oratorio: adesso non è più un progressivo spegnersi della musica a supportare, per così dire, l’ascensione di Bellezza nell’empireo; qui viene aggiunto un finale preso di peso dalla precedente (1733) Athalia – ah, gli imprestiti! - e costituito da un coro esultante (Alleluja!) Come si vede, una chiusura retorica e bombastica, che contraddice palesemente l’approccio originale... Per di più Martini, nella sua edizione, lo fa precedere – proprio come in Athalia – anche da un Concerto per organo (mutuato a sua volta dall’opus 292).

Dal punto di vista delle durate, sono le due parti estreme a dare il maggior contributo: sommariamente ciascuna di esse incrementa i tempi di circa 15’ rispetto a quelli della versione 1707. Si passa quindi da circa 150 a circa 180 minuti (va ribadito però che la versione 1737 è quella di Martini, che ha operato inserimenti magari opinabili).  
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The Triumph of Time and Truth (Londra, 1757)

É ragionevole pensare che la versione del 1757 abbia avuto come base quella del 1737, perchè più recente e già rappresentata in Inghilterra. Lo testimoniano fra l’altro la struttura in tre (e non due) parti e le tonalità di molte arie. Come detto, Händel era ormai in condizioni precarie e non potè dedicare a questa versione tutta l’attenzione che si meritava, lasciando molto del lavoro di preparazione a diversi collaboratori. Tuttavia è innegabile che anche questa versione abbia un grande fascino e contenga nuove pagine indimenticabili. Qualche sommario cenno sulle principali novità introdotte:

Viene impiegata una nuova Ouverture bipartita.

Dopo l’aria (P) Pensive sorrow il soprano canta una nuova aria (Sorrow darkens) e subito dopo, insieme ad un coro di voci bianche canta Come, Come, ripetuto infine dal Coro.

Il nuovo personaggio della Verità (Counsel) prende il posto del Disinganno, a partire dal recitativo Turn, look on me, poi nell’aria The beauty smiling, quindi ancora nel recitativo Our diff’rent pow’rs.

Dopo l’aria (T) Loathsome urns abbiamo un nuovo coro (Strenghten us, o Time) che sostituisce quello del 1737. Il successivo recitativo (Too rigid the reproof) non è più affidato al Piacere, ma al Disinganno, che subito dopo intona una nuova aria (Happy beauty) completata da soprano e coro (Happy, if still they reign).

Vengono quindi cassati il duetto Bellezza-Piacere (Il voler nel fior degl'anni) il successivo recitativo (Della vita mortale) e l’aria (B) Un pensiero nemico. Il successivo recitativo (Folle, tu nieghi il tempo) cambia testo (Youth is not rich in Time) e voci: non più Disinganno-Piacere-Bellezza, ma Verità-Tempo-Piacere. Il coro finale (Like the shadow) è accorciato rispetto alla versione 1737: non si esegue la seconda strofa.

Assente qui l’interludio fra prima e seconda parte, per cui quest’ultima attacca subito con un coro nuovo di zecca (Pleasure submits to pain). Niente sonatine e invece un recitativo (Hark! What sounds are these) che include in apertura una fanfara di corni, che anticipa una nuova intera sezione (che rimpiazza l’aria del Piacere Un leggiadro giovinetto): si tratta di un sontuoso coro (Oh, how great the glory) seguito da ben tre arie consecutive di Piacere e Disinganno che precedono a loro volta un’altra aria della Bellezza (Come, O Time) che viene direttamente da... Roma.

Escluso il coro del 1737 (O tempo, padre del dolor) dopo l’aria originale del Disinganno (Mortals think) ecco un nuovo recitativo del Tempo, seguito da una nuova aria (False destructive ways).

Cassati l’aria del Tempo (Folle, dunque tu sola presumi) e il quartetto (Se non sei più ministro) abbiamo uno spostamento significativo: l’aria del Disinganno (Melancholy is a folly) viene inserita qui (variata) trasferendo dalla parte terza la famosa Ricco pino.

Cassate poi le arie di Bellezza, Piacere e Tempo, si passa alla chiusura della seconda parte con il coro (Ere to dust is chang'd) già introdotto nel 1737.

La terza parte vede leggere variazioni alla Sinfonia introduttiva e l'aggiunta di un’aria del Disinganno (Charming Beauty). L’aria Lascia la spina resta nella versione 1737 col titolo Sharp thorns despising, mentre non si ripropone l’originale romano.

Dopo l’aria della bellezza (Pleasure! My former) abbiamo l’inserimento di un coro, il famosissimo Comfort them, che in realtà è un imprestito bello e buono dalla HWV268, un Inno composto da Händel nel 1749.

Ricco Pino, come detto, è stato spostato con diverso testo nella parte seconda. La chiusura è – come nel 1737 - sull’Alleluja!

Quanto alla durate, rispetto alla versione 1737 tutte e tre le parti vengono sfrondate di alcuni (7-10) minuti, per un totale di circa 25. Si passa quindi da circa 180 a circa 155 minuti complessivi, pochi più rispetto all’originale del 1707.

Una recente apprezzata edizione della versione 1757 è quella degli scozzesi della Ludus baroque.
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Questa edizione scaligera si avvale della Direzione di Diego Fasolis, che sta collaborando con il Teatro per creare all’interno dell’Orchestra un ensemble orientato alla musica del ‘700, con uso anche di strumenti d’epoca. In questa occasione si potranno constatare i primi risultati dell’operazione.

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