Nel mio personale tour delle Repubbliche marinare, dopo la Venezia del 21 ecco, ieri
28, la Genova del Carlo Felice, che
ha ospitato la terza recita di Norma.
Beh, mentre la Lanterna
(personalmente) mi eccita assai meno di SanMarco,
devo dire che il Bellini (e non solo
quello di Norma) è davvero altro rispetto allo Spontini (e non solo quello del Pasquale) che pure fu uno dei suoi
modelli.
Poco meno di 5 anni fa avevo potuto
assistere all’esordio in Norma di Mariella
Devia (con il quasi-esordiente Mariotti) a Bologna. E ne
avevo scritto come di un evento di prima grandezza, con un epiteto che ho
ripreso oggi nel titolo di questo post.
A quel tempo la Mariellissima aveva già compiuto i 65, e adesso, 3 mesi dopo
questa nuova Norma, lei spegnerà nientemeno che 70 candeline: un cosa da Guinness dei primati! E ovviamente non
nella sezione dei Fenomeni da baraccone,
ma in quella dei più Grandi artisti lirici di ogni epoca!
Ieri pomeriggio si è fregiata di un
ennesimo trionfo, con una prestazione proprio da manuale. Certo, alla sua età le note gravi potranno essere un
filino problematiche, ma i centri e gli acuti sono tuttora integri e
sbalorditivi. Qualcuno ancora insiste ad avanzare riserve sulla sua voce, che
sarebbe di soprano non-abbastanza-drammatico:
beh, credo che ieri nessuno abbia potuto tirar fuori sofismi di tal fatta.
La sua allieva (profetessa) Annalisa
Stroppa ha discretamente meritato, peccando un po’, secondo me, sugli
acuti, spesso piuttosto vetrosi, mentre ha mostrato buona impostazione nei
centri: azzeccata comunque la scelta (non è poi una novità, si ricorda la
Ludwig con la Callas) di affidare Adalgisa ad un mezzo.
Dei due protagonisti al maschile mi
sento di apprezzare Stefan Pop, bella
voce squillante, ma un po’ incerto e timoroso (occhi perennemente puntati su
Battistoni). Ma di sicuro il tenore rumeno si farà strada, ha solo 30 anni o
poco più... Discreto l’Oroveso di Riccardo
Fassi, da cui avrei preteso più autorevolezza, sia scenicamente che
vocalmente: il suo mezzo è notevole,
ma va forse meglio disciplinato.
Elena Traversi e Manuel Pierattelli han dato il loro onesto contributo. Da lodare il
Coro di Franco Sebastiani, sempre solido e compattissimo nello strepitoso guerra, guerra!
Andrea Battistoni si agita sempre come un
forsennato (forse per cercar di smaltire... ehm, qualche chilo di troppo) e
saltella sul podio come da giovane faceva Daniel Oren; quando ci sono brani a
piena orchestra scatena i fiati (ottoni in particolare) in accompagnamenti
fracassoni che coprono la melodia degli archi. Però nelle scene ad elevato
tasso di lirismo (tipo il duetto Norma-Adalgisa dell’atto secondo) si riscatta,
trattenendo l’orchestra come si deve, per far risaltare le meraviglie di
Bellini.
___
L’allestimento, già visto da maceratesi
e palermitani, è della premiata coppia di Teatrialchemici (i siculi Luigi Di Gangi e Ugo
Giacomazzi). I quali avevano da tempo rivelato al mondo la loro vision dell’opera, che comporta il trasloco dell’Irminsul (che già il libretto aveva
bizzarramente spostato in Gallia dalla sua natìa Teutonia) in Sardegna, fra
fili, tele, reti, stracci e cordami, materiali ispirati alla compianta Maria
Lai : la foresta (scena unica, di Federica
Parolini) è una jungla di liane, più enormi gabbie che paiono nasse restate
a marcire in mare per anni, e dove non si trova una fogliolina nemmeno a
pagarla oro. Di stracci o telami simili son fatti anche i costumi (Daniela Cernigliaro) del popolino,
mentre i protagonisti (tutti più o meno appartenenti a... caste) si servono da gucci o versaci. Le luci di Luigi Biondi sono abbastanza efficaci, incluse
quelle che illuminano il fondale, che cangia da giorno, a notte, a... rogo.
Ma ovviamente non si potrà tacere dell’interpretazione
filo-socio-psicologica, che presenta arditi paralleli fra il mondo dei Druidi e
quello globalizzato attuale, e digressioni nell’antropologia e persino nella
genetica, visto che il bianco Pollione mette al mondo, ingroppandosi una
gallica più slavata di lui, un figlio bianco e uno nero... (Evabbè, già il
libretto ha dell’inverosimile, visto che ci si vuol far credere che Norma,
personaggio quanto mai in vista, abbia potuto avere non dico una, ma due
gravidanze senza che alcuno - suo padre compreso, ed esclusi solo Clotilde,
Pollione e, per tramite di costui, Flavio - si accorgesse di nulla.)
L’entrata
di Norma lascia davvero perplessi: mescolata in mezzo ai Druidi, si stenta a riconoscerla, fin quando non
comincia a cantare. Dico, lasciamo pur perdere i capelli cinti di verbena e la
falce d’oro per mietere il vischio (come da libretto) ma la musica è quella che introduce una specie
di regina, con il coro che la annuncia (Norma
viene) con enfasi e retorica degne di una marcia trionfale! La scena mi ha
ricordato da vicino l’apparizione del Lohengrin
di Guth (visto anni fa in Scala) che la folla scopre a terra in preda a
convulsioni epilettiche, mentre (a parte il libretto che lo descrive arrivare
raggiante su una barchetta trainata dal cigno) la musica è quanto di più
trionfalistico si possa immaginare. Ma si sa, quando un regista creativo si convince di avere un’idea geniale, pur di
realizzarla non guarda in faccia nè a libretto, nè a partitura... e se lo
spettatore storce il naso, la colpa è esclusivamente sua, ignorante che non è
altro!
Devo dire però che sul lato della
recitazione i registi non hanno demeritato, così come nel trattamento della
masse, fatte muovere con misura ed appropriatezza. Qualche modesto dissenso nei
loro confronti (all’uscita finale) è stato annegato da preponderanti applausi.
Applausi e ovazioni che sono andati a
tutti indistintamente, con l’eccezione - in superlativo - per la Mariellissima, da parte di un pubblico stipato
in teatro come sardine in barile. Oltretutto in una giornata di sole quasi
primaverile, mentre al di qua del Turchino imperversa il nebbione...
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