Ieri pomeriggio al Malibran di Venezia (molte le poltrone vuote...) è andata in scena
la seconda recita della farsa Le metamorfosi
di Pasquale
di Gaspare Spontini, operina ritenuta
perduta ma riscoperta l’altr’anno in Belgio.
In un precedente
intervento
avevo scritto di un soggetto, quello del Foppa,
che mi pareva, almeno a prima vista, piuttosto deboluccio, e della conseguente
curiosità di ascoltarne la resa in musica del grande (...ma non ancora, nel
1802) Spontini. Ecco, la curiosità è stata soddisfatta, naturalmente, ma non
così... l’aspettativa. Non che (personalmente) sognassi di ascoltare Mozart e
menchemeno Rossini, ma insomma, si è avuta la conferma che lo Spontini del 1802
era un musicista ormai involuto – come del resto doveva aver concluso il
pubblico del San Moisè, rimasto assai freddo - e che solo il totale cambiamento d’aria (leggasi: Parigi) gli
potè (e 5 anni dopo) ispirare cose davvero innovative e imperiture.
Federico
Agostinelli,
cui è stata affidata l’edizione critica (così
recita la locandina, a me pare in termini un tantino pretenziosi, date le
circostanze in cui la partitura è tornata alla luce) ha dovuto far fronte alla
mancanza di una Sinfonia, così ha ipotizzato che Spontini abbia fatto ascoltare
ai veneziani del 1802 quella tratta da La
fuga in maschera, giustificando ciò con il razionale che Spontini aveva già
impiegato (e avrebbe impiegato successivamente) tale sinfonia in altre opere, e
che alcune sezioni tornano nel finale della farsa. Finale che Agostinelli ha
dovuto anche integrare di suo in alcune parti mancanti nel tomo rinvenuto in
Belgio. Sempre secondo Agostinelli, quest’operina mostrerebbe qualche elemento
di novità rispetto alla produzione precedente di Spontini, come: modulazioni
più ardite, cadenze evitate e accordi aumentati. Okay, ma il risultato, ripeto
a mio modesto avviso, è quello che è...
Gianluca
Capuano
ha comunque fatto del suo meglio per... indorarci la pillola, con una direzione
vibrante, ben assecondato dagli sparsi strumentisti della Fenice. Al proposito,
al Malibran ieri è successo ciò che forse non capitava nemmeno nel 1802: per
ben due volte è mancata improvvisamente l‘illuminazione nella buca! Nella prima
occasione l’orchestra è riuscita miracolosamente a chiudere il numero, suonando nel buio più fitto e
raccogliendo meritati applausi. Al secondo incidente, Capuano ha dovuto fermare
tutti e riattaccare poi l’aria di Lisetta (quella col corno inglese). Evabbè...
Proprio Lisetta, al secolo Irina Dubrovskaya, è stata la mattatrice del pomeriggio, essendo
anche il personaggio più impegnato da Spontini: un po’ censurabile il suo
timbro di voce (nella Sonnambula di
qualche tempo fa mi era parso più gradevole) ma apprezzabili i virtuosismi e le
salite ai sovracuti che le hanno meritato un’ovazione alla singola. Meno
impegnata e meno appariscente la Costanza di Michela Antenucci, che ha però sfoggiato una voce più rotonda di
quella del soprano siberiano.
I cinque rappresentanti maschi hanno
discretamente meritato, su tutti metterei il Frontino di Carlo Cecchi, voce ben impostata e buon portamento. Poi Giorgio Misseri (Marchese) una voce
piccola e però sufficiente in un ambiente... piccolo, appunto. Efficaci nelle loro non proibitive parti il
Barone di Francesco Basso e il
doppione (Cavaliere-Sergente) di Christian
Collia. Quanto al protagonista Pasquale, Andrea Patucelli merita ampia sufficienza, anche se questa parte di
buffo forse richiederebbe ancora più verve, ecco.
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Quanto alla regìa, Bepi Morassi ha scelto – in assenza totale di riferimenti
spazio-temporali nel libretto del Foppa - un’ambientazione in epoca appena pre-primo-conflitto-mondiale e ha
immaginato il barone come il ricco proprietario di un elegante caffè-bar. All’interno o nei pressi del quale (insegne
luminose di entrata e uscita scambiate alla bisogna) collocare
gli avvenimenti. Scene spartane, quelle di Piero
De Francesco, e costumi più o meno plausibili quelli di Elena Utenti, tutti ideati – così come l’impiego
delle luci - da allievi della Scuola di
Belle Arti veneziana.
Morassi sa poi far muovere da par suo personaggi
e comparse (avventori del bar) sulla scena, garantendo un buon livello di vivacità
ad uno spettacolo i cui ingredienti di base lasciano effettivamente molto a
desiderare.
Pubblico abbastanza ben disposto, con
alcuni applausi a scena aperta e un doveroso apprezzamento finale per tutti i
protagonisti. Insomma, un ritorno dopo 216 anni che difficilmente farà... storia.
Viaggio che comunque si concluderà proprio a casa di Spontini, fra qualche mese,
in occasione del Festival 2018.
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