La Scala ha ospitato ier sera la prima (assoluta, attenzione, non stagionale!) di Die Fledermaus, in una nuova
produzione pensata proprio per questo evento più-unico-che-raro. Che però non è
andato esente dai colpi della sfiga, materializzatasi sotto forma di forfait del mitico Direttore che doveva
garantirne il sicuro successo. Pazienza, a Mehta
facciamo sinceri auguri di tornare presto, e tanto basta.
Prima dell’inizio le maestranze del Teatro hanno voluto sollevare l’attenzione del pubblico - chiedendo un minuto di silenzio - sui recenti casi di morti sul lavoro, fatti accaduti in questi giorni proprio qui a Milano e a Brescia. Che purtroppo ci danno la prova che ancor oggi il mondo reale è assai lontano da quello da cartolina illustrata che ci viene proposto sul palcoscenico.
Prima dell’inizio le maestranze del Teatro hanno voluto sollevare l’attenzione del pubblico - chiedendo un minuto di silenzio - sui recenti casi di morti sul lavoro, fatti accaduti in questi giorni proprio qui a Milano e a Brescia. Che purtroppo ci danno la prova che ancor oggi il mondo reale è assai lontano da quello da cartolina illustrata che ci viene proposto sul palcoscenico.
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La prima curiosità che sorge quando si parla di quest’operettaopera è il taglio che il regista (in combutta con il concertatore,
per la verità) sceglie di darle: ambientazione generale e particolari scelte di
dettagli più o meno rilevanti.
La prima curiosità che sorge quando si parla di quest’
Il
49enne viennese Cornelius Obonya, che
col Pipistrello ha una certa familiarità - avendo una volta interpretato, sulle
orme del grande Otto Schenk, il ruolo
parlato di Frosch – ha deciso di spostare l’ambientazione spazio-temporale del
soggetto (attenzione, luogo e tempo indicati addirittura sul frontespizio del libretto, e non semplicemente
citati nelle note-di-regìa!) trasferendone
i luoghi da una località termale nei pressi di Vienna ad un lussuoso ed esclusivo resort di una stazione sciistica delle Alpi austriache, e l’epoca dal 1874
(anno di nascita dell’opera) all’altroieri mattina. Heike
Scheele
ha all’uopo allestito scene lussuose (atto terzo escluso, va da sè) e disegnato
costumi elegantissimi.
Quanto ai dettagli, Obonya ha scelto
l’edizione a suo tempo predisposta per Londra dal suo maestro Gerhard Bronner, che comporta la
presentazione in lingua locale (quindi qui in italiano) di una buona parte dei
dialoghi parlati. Un paio di libertà registiche riguardano la mutazione di
sesso del principe Orlofsky (che diventa l'oligarca Orlofskaya, ragion per cui
il mezzosoprano che la interpreta cessa di essere en-travesti) e poi l’entrata in scena fuori tempo di Falke (nel terz’atto). Un discorso tutto speciale riguarda
la figura di Frosch, guardiano della
prigione, tradizionalmente impersonato da attori (più o meno seri o da
avanspettacolo) che si esibisce in sproloqui che toccano l’attualità e la
cronaca quotidiana. Qui è simpaticamente interpretato da Paolo Rossi, che intanto appare già nel primo atto (senza dire una
parola) al seguito di Frank e che nel terzo si dilunga in un monologo di satira
politica e di costume, chiudendolo cantando una canzoncina irriverente.
Tutto sommato un allestimento gradevole,
dove l’ambientazione moderna non reca troppi danni a quell’atmosfera così
speciale e davvero unica che
caratterizza la straussiana Vienna-di-fine-800.
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Cornelius
Meister
è ormai uno specialista, ha mandato tutta la musica a memoria e la dirige con
grande brio e (forse eccessivo) entusiasmo, il che lo porta talvolta ad
eccedere, coprendo le voci dei cantanti. L’Orchestra
ha forse scarsa dimestichezza con questo genere di musica, ma mi pare abbia
risposto più che dignitosamente.
Tornando alle voci, spiccano quelle maschili:
prima fra tutte quella del consumato Werba
(un impeccabile Falke); ma anche quelle dell’ottimo Berrugi (Alfred) e del protagonista Sonn; bene anche il Frank di Kraus
e il Blind di Spicer.
Qualche perplessità invece mi hanno
lasciato le voci femminili: la Mei ha
fatto (per me) bene soltanto nella czarda
(che forse, essendo il brano più famoso e difficile, lei ha preparato meglio); per
il resto ha mostrato evidenti problemi di intonazione e acuti non proprio
edificanti. (Che avesse perennemente gli occhi puntati verso il podio non è un
buon segno.) La Fally è stata un’Adele
cui do un buon voto, che sarebbe ancor migliore se lei avesse qualche decibel
in più (qui però anche Meister ha avuto le sue colpe nel coprirla più di una
volta). La Maximova (Orlofskaya) ha
un gran vocione che passa anche sopra
orchestra e coro, forse da meglio disciplinare, ecco. L’accademica Capitelli ha fatto bene la sua piccola parte di Ida.
Sempre all’altezza il Coro di Casoni.
Bene, uno spettacolo che mi ha ampiamente
soddisfatto; cosa che a quanto pare vale anche per il folto pubblico, che ha
riservato lunghi minuti di applausi per tutti.
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