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13 gennaio, 2018

laVerdi 17-18 – Concerto n°11


Dopo l’esordio nella scorsa stagione, il rampante Robert Trevino è tornato sul podio de laVerdi per il primo dei suoi due appuntamenti stagionali (il secondo è previsto a maggio con la Sesta mahleriana). Per l’occasione il giovane yankee ha scelto un mastodonte sinfonico che peraltro è abbastanza di casa per l’Orchestra: la Settima di Shostakovich. E proprio in occasione della penultima apparizione di questo lavoro (sotto la bacchetta dello specialista Caetani) avevo scritto qualche riga poco, ehm... politically-correct su contenuti e struttura della mappazza.

Che purtroppo, carica di mille incrostazioni extra-musicali di cui si è ricoperta fin dalla nascita (cioè da 75 anni a questa parte) si fatica sempre ad apprezzare (nel bene e nel male) come opera di ingegno, intesa come musica di per se stessa. Per i cittadini russi (e non solo) del 1942 quella musica aveva un significato e un sapore strettamente legato alle catastrofiche circostanze materiali in cui era venuta alla luce: nessuno allora si interrogava sui suoi contenuti estetici, poichè la sentiva soprattutto come una droga utile a rigenerare le forze spirituali (e pure materiali) con cui affrontare il nemico invasore (allo stesso modo la musica in modo frigio veniva impiegata fin dall’antichità per aizzare le truppe in battaglia).

E gli stessi contenuti musicali furono indubbiamente condizionati dallo scenario esterno: a partire dalla forma dell’opera, che doveva essere inizialmente un poema sinfonico, poi divenuto il primo movimento di una sinfonia in quattro movimenti, tutti peraltro a loro volta sottotitolati (salvo successiva revoca dei sottotitoli!) in modo più o meno ambiguo... E poi c’è il caso della marcetta continuamente variata, rappresentante l’invasore, infilata come corpo totalmente estraneo nel primo movimento, al posto dello sviluppo di una forma-sonata, e poi come codetta. E così ecco che lo stesso sottotitolo (Leningrado) - che ancor oggi compare a definire l’opera, mettendone in primo piano le circostanze che ne caratterizzarono l’origine – finisce per condizionarcene inevitabimente la fruizione. 
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Devo dire che Trevino ha lodevolmente provato a farcela digerire senza troppi sforzi, aggiungendovi un po’ di alka-seltzer, sotto forma di alcuni trucchetti che evidentemente il 33enne texano ha ben assimilato da suoi illustri predecessori: anticipare di qualche battuta i cambi di agogica, infilare qualche sapiente rubato qua e là, oltre che girare sul massimo la manopola del contrasto, cosa che garantisce sempre il risultato, evitando cali di... concentrazione nel pubblico.

Tutto sommato, un’interpretazione più che apprezzabile, date le circostanze, giustamente applaudita dal folto pubblico e anche dagli stessi orchestrali - autori di una prova ancora una volta maiuscola - che hanno innescato un applauso ritmato in omaggio al Direttore, con il quale evidentemente hanno trovato un ottimo feeling. Insomma, tutti felici e contenti.

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