Un forfait
all’ultimo momento della ex-direttora
Xian ha portato sul podio de laVerdi
– dopo Emelyanychev - un altro
virgulto della scuola russa: è il 32enne Valentin
Uryupin (nato peraltro nell’Ukraina poco prima del collasso dell’impero
sovietico) che sta facendo carriera come direttore dopo aver iniziato (come
Bignamini) dal clarinetto. La giovane età non gli impedisce di essere anche
attivissimo operatore musicale, dapprima nella sperduta Perm’ (negli Urali, dove ha
preso il testimone da Teodor Currentzis,
che vi portò da Novosibirsk il suo ensemble musicAeterna)
e oggi a Rostov, dove dirige la locale filarmonica.
Il programma del concerto sembra fatto
apposta per lui, con due (anzi... tre) compositori russi e musiche che spaziano
per 70 anni, dal 1867 al 1937: si va dal Musorgski
edulcorato da Rimski, a quello strumentato
da Shostakovich, per finire alla più
inflazionata delle sinfonie di quest’ultimo.
Si apre quindi con Una notte sul Monte Calvo,
nella versione più eseguita, che non è quella originale, ma quella sottoposta nel
1886 a maquillage e riorchestrazione
da Rimski. Non solo, ma questi non si basò nemmeno sul poema sinfonico del
1867, bensì su una sua derivazione del 1880, titolata Visione onirica
del contadinello
e inserita senza troppa razionalità in un'opera (La Fiera di Sorochyntsi) rimasta
incompiuta. Lì nel sogno il ragazzo vede le streghe, il demonio (Chornobog) e il
sabba, però – a differenza del poema sinfonico, davvero brutale e chiuso
proprio dal sabba - il sogno si
conclude con la sparizione di spettri e diavoli, cacciati dallo spuntare del
giorno e dai rintocchi di una campana. Ecco perché la versione di Rimsky – fra
l'altro assai più stringata e magistralmente strutturata (bisogna riconoscerlo)
rispetto al poema sinfonico originale - termina proprio con la dolce melodia
del clarinetto, poi del flauto, i rintocchi della campana, e gli arpeggi in RE
maggiore dell'arpa.
L’esecuzione è di prim’ordine, Uryupin
si agita parecchio, con atteggiamento un po’ stralunato, ma raggiunge l’effetto
desiderato... a me però resta sempre la voglia di ascoltare, una dopo l’altra, la
versione originale e questa qua!
___
Ancora un Musorsgki inquinato (ma in senso positivo, va da sè) è quello dei Canti
e Danze della Morte, un ciclo di 4 Lieder per voce e pianoforte che qui
ascoltiamo come orchestrato da Shostakovich
(ma ci si misero anche il solito Rimski,
Glazunov e recentemente Lazkano e Aho). I testi sono di Kutuzov e a
prima vista si potrebbero scambiare per Des
Knaben Wunderhorn, visto che trattano di miserie, malattie, fatalità e guerre. Uno
scenario in cui è assoluta protagonista la morte (al femminile o al maschile, par
condicio) presentata quasi come una... benedizione (quindi siamo al nichilismo
puro!)
La morte compare già da subito (Ninna-nanna): una
madre veglia il bimbo ammalato per tutta una notte e poi, al mattino, ecco che arriva lei e
canta al piccolo l'ultima ninna-nanna.
Serenata:
una giovine tipo-Violetta langue
in una notte profonda; ma il suo fascino ha sedotto un misterioso cavaliere (la
morte si traveste anche da maschio...) che le canta l'ultima
serenata.
Un ubriaco si
perde danzando il Trepak in un bosco,
in mezzo ad una tormenta; qualcuno (indovina chi?) lo incoraggia ad
addormentarsi sotto la neve. Poi la primavera arriverà, e con lei le falci che
mietono.
Gran parata
militare, alla presenza del condottiero (il Feldmaresciallo)
che loda i suoi per il valore dimostrato. Ma quel condottiero è (indovina
indovinello) lei, e loro son tutti i morti in battaglia.
Quasi 7 anni fa li aveva diretti qui Oleg
Caetani con una voce di mezzo (Susanna
Anselmi); adesso tocca invece ad un baritono, Pavel
Baransky (anche lui ukraino) che ci porge con grande sensibilità queste canzoni
intrise di nichilismo, che paiono proprio fatte per
ispirare la sconvolgente musica di Musorgski. La quale per la verità ancor più
risalta nell’asciutta e spettrale versione pianistica, come si può constatare
qui con la premiata coppia Vishnevskaya-Rostropovich.
Calorosi e
reiterati applausi per Baransky, voce assai ben impostata, calda e rotonda, che
infatti già gli ha permesso di impersonare Onegin
(mica pizza e fichi...)
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Si chiude con la
Quinta
di Shostakovich, che mancava qui da quasi 4 anni (diretta allora dalla oggi
assente Xian). Su quest’opera si è scritto di tutto, e moltissimo in termini politici, col risultato di trattarla
come qualunque cosa, tranne che come... musica. Al proposito anch’io ho già scritto la mia proprio in occasione
della precedente esecuzione.
L’allampanato
Uryupin è arrivato quasi all’ultimo momento e non sarebbe strano che sia stato
più lui a imparare dall’orchestra (che conosce questa musica come le proprie
tasche) che non ad insegnarle qualcosa di mai sentito prima. Esecuzione
trascinante, che l’Auditorium piacevolmente affollato ha salutato con lunghi
applausi (anche ritmati) all’indirizzo di tutti.
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