Nel suo imprescindibile testo su
Puccini, Michele
Girardi cita un aneddoto (riportato originariamente da Ferruccio Pagni e Guido Marotti nel loro Giacomo Puccini intimo del 1926, poi
ristampato nel 1943) che riguarda le curiose circostanze nelle quali sarebbe
stato attribuito il nome Trittico ai tre
atti unici di Puccini. Dunque, la cosa avvenne in un circolo di pittori (Pagni
era uno di loro) di Torre del Lago, dove emersero le proposte più bizzarre,
quali treppiede, triangolo, tritono, trinità. Chissà (ma questo lo immagino
io) se qualcuno per caso suggerì anche... tricolore.
E con ciò? direte voi. Niente, solo che
ieri stavo per caso nella città del Tricolore
che ha ospitato (al Valli) la prima
delle due recite del Trittico pucciniano,
tornato colà - passando per Modena e Piacenza e prima di muovere verso Ferrara
- a 10 anni di distanza dalla precedente visita. Quella ripresa oggi è la
produzione del Teatro modenese del 2007, per la regìa di Cristina Pezzoli.
Budden fa riferimento
all’interpretazione drammaturgica del Trittico di Mosco Carner,
con relativo riferimento ai tre cantici della Commedia dantesca:
Budden giustamente osserva come quel
parallelo sia assai azzardato (lo stesso spunto per lo Schicchi - l’Inferno -
lo smentirebbe per definizione). E quindi l’ostilità di Puccini verso lo
smembramento della trilogia (come correttamente ricorda Carner, testimoniando
anche la sua personale predilezione per la messinscena unitaria) fu più probabilmente
legata a ragioni estetiche che non al supposto riferimento dantesco.
Peraltro non si può escludere che
Puccini abbia pensato ad un qualche filo
rosso che leghi le tre operine. Come minimo, non v’è dubbio che in tutte
sia protagonista, sotto forme pur diversissime, la morte. Violenta e verista
nel Tabarro, nobile e trasfigurata nell’Angelica, infine trattata
parodisticamente quanto prosaicamente nello Schicchi. Insomma, una trilogia da
necrologio!
___
Ieri credo che il protervo fratellone russo
dell’innocua buriana abbia dissuaso
molti dal muoversi da casa: fatto sta che parecchi posti del Valli sono andati
deserti... In compenso chi ha assistito ha applaudito anche per gli assenti,
ecco.
L’allestimento - di
quelli che sarebbero da catalogare nella categoria tradizionali, nel senso che mostrano il soggetto originale e non
una sua genialoide contraffazione - mantiene ancor oggi, a 10 anni di distanza,
tutta la sua freschezza e gradevolezza, restituendoci con grande efficacia la
sostanza di queste tre varianti sul tema del trapasso: quella di un abietto scenario di precarietà e degrado; l’altra,
di psicologica soperchieria della società ai danni di una donna colpevole di reato-d’amore; la terza, di somma
ipocrisia di chi (eredi legittimi o approfittatori, fa lo stesso) nella morte
cerca solo il proprio tornaconto.
Da encomiare la compagnia di canto,
ovviamente con alti (Ambrogio Maestri,
chi se no) e... diversamente alti (la Svetlana
Kasyan, un gran vocione ma di qualità da migliorare assai). Brava la Anna Maria Chiuri (unica presente nelle
tre opere) e bravissimi, direi, i due tenori (Rubens Pelizzari nel Tabarro e Matteo
Desole nello Schicchi). Tutti e tutte le altre da elogiare in blocco, così
come i cori (adulti e... minorenni) di Modena.
La ORER
ha offerto una brillante esecuzione di queste difficili partiture, ben condotta
da Aldo Sisillo, preciso e puntuale nella
concertazione.
Allego con l’occasione un bel profilo
pucciniano comparso nel luglio del 1990 su Musica&Dossier
a firma di Gustavo Marchesi.
Nessun commento:
Posta un commento