“Immaginate un Parsifal ambientato in una moderna megalopoli, dove Klingsor è un magnaccia impotente che gestisce un bordello; egli usa Kundry per sedurre i membri del circolo del Gral, una banda rivale di spacciatori. Il Gral è gestito da Amfortas, ferito, il cui padre, Titurel, è perennemente in delirio da extradose; Amfortas è messo terribilmente sotto pressione dai membri della sua banda, che pretendono da lui il rituale, cioè la distribuzione della razione giornaliera di droga. Parsifal è un giovane inesperto, figlio di una ragazza-madre senza fissa dimora, è in cerca di droga, e ”prova il dolore”, rifiutando le avances di Kundry, mentre questa gli fa sesso orale...”
Niente male, vero? Chissà se Stefan Herheim ci propinerà un’opera d’arte di questo genere, il prossimo 25 luglio a Bayreuth! (speriamo proprio di no, anche se ci sono precedenti inquietanti, che ce lo mostrano come un antesignano di tale Calixto Bieito).
Tanto comunque - possiamo starne certi - ci penserebbe il nostro bravo Daniele a salvar tutto, facendo emergere dall’Orchestergraben quell’unico, inossidabile, indistruttibile, incorruttibile blob che è la musica di Wagner, che si fa un baffo di qualsivoglia offesa si cerchi di arrecarle, e che resiste - altera - ad ogni attacco di approfittatori senza scrupoli, assoldati da Spielleiter a loro volta imbecilli e rincoglioniti, o più spesso in cerca di pubblicità a buon mercato.
La messa-in-scena virgolettata sopra è stata - per nulla scherzevolmente - immaginata da Slavoj Zizek, un’autentica autorità nel campo della filosofia e della psicanalisi, oltre che wagneriano sopraffino, che l’ha definita “il mio sogno privato”. Sostenendo che Wagner, per continuare a mantenersi vivo, deve alimentarsi con sempre nuovi allestimenti, di tutte le tendenze e di tutte le fogge.
Ahilui non accorgendosi che - invece - il nesso causa-effetto è esattamente l’opposto! Troppo spesso la regia, le scene, i costumi, invece che essere il mezzo che serve a far arrivare al pubblico l’opera che l’Artista ha voluto propinarci (che è il fine) vengono fatti assurgere a fine, per raggiungere il quale ci si serve, come mezzo di sicuro successo, dei drammi di Wagner.
Insomma, la differenza che passa fra: servire e servirsi di.
(nobbuono)
Niente male, vero? Chissà se Stefan Herheim ci propinerà un’opera d’arte di questo genere, il prossimo 25 luglio a Bayreuth! (speriamo proprio di no, anche se ci sono precedenti inquietanti, che ce lo mostrano come un antesignano di tale Calixto Bieito).
Tanto comunque - possiamo starne certi - ci penserebbe il nostro bravo Daniele a salvar tutto, facendo emergere dall’Orchestergraben quell’unico, inossidabile, indistruttibile, incorruttibile blob che è la musica di Wagner, che si fa un baffo di qualsivoglia offesa si cerchi di arrecarle, e che resiste - altera - ad ogni attacco di approfittatori senza scrupoli, assoldati da Spielleiter a loro volta imbecilli e rincoglioniti, o più spesso in cerca di pubblicità a buon mercato.
La messa-in-scena virgolettata sopra è stata - per nulla scherzevolmente - immaginata da Slavoj Zizek, un’autentica autorità nel campo della filosofia e della psicanalisi, oltre che wagneriano sopraffino, che l’ha definita “il mio sogno privato”. Sostenendo che Wagner, per continuare a mantenersi vivo, deve alimentarsi con sempre nuovi allestimenti, di tutte le tendenze e di tutte le fogge.
Ahilui non accorgendosi che - invece - il nesso causa-effetto è esattamente l’opposto! Troppo spesso la regia, le scene, i costumi, invece che essere il mezzo che serve a far arrivare al pubblico l’opera che l’Artista ha voluto propinarci (che è il fine) vengono fatti assurgere a fine, per raggiungere il quale ci si serve, come mezzo di sicuro successo, dei drammi di Wagner.
Insomma, la differenza che passa fra: servire e servirsi di.
(nobbuono)
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