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01 luglio, 2008

Il nono Parsifal

Quello che Daniele Gatti dirigerà (da quest’anno e per alcuni anni) è il nono Parsifal prodotto a Bayreuth.

La numerazione caratterizza non certo le esecuzioni (490 ad oggi), nè le interpretazioni musicali (sono ben 25 i Kapellmeister che si sono cimentati con Parsifal a Bayreuth prima di Daniele, da Hermann Levi nel 1882 ad Adam Fischer lo scorso anno) bensì le cosiddette Inszenierungen, cioè le messe-in-scena del sacro dramma. Ciò dimostra l’importanza che in particolare a Bayreuth si attribuisce alla terza componente (dopo musica e poemi) del Gesamkunstwerk wagneriano.

Il primo regista in assoluto di Bayreuth (per le inaugurazioni del Ring nel 1876 e di Parsifal nel 1882) fu Richard Wagner in persona. In pratica, fino alla seconda guerra mondiale, le linee guida degli allestimenti di Richard furono rispettate quasi alla lettera dai suoi successori alla testa del festival: Cosima, poi Siegfried e infine Winifred. In particolare, per Parsifal, l’originale wagneriano venne rigorosamente mantenuto fino al 1933 (27 stagioni) e poi abbastanza poco variato da Tietjen (due volte, dal 1934 al 1939). Si dovrà aspettare il 1951 per vedere una nuova (e rivoluzionaria) regia, quella di Wieland, il nipote di Richard (fratello dell’ottantanovenne pensionando Wolfgang, che il 31 agosto prossimo lascerà - alla buonora, e probabilmente alla figlioletta Kathi - la direzione del festival).

Questa è la lista degli otto precedenti allestimenti:

1882-1933 Richard Wagner (27 stagioni)
1934-1936 Hans Tietjen (2 stagioni)
1937-1939 Hans Tietjen (3 stagioni)
1951-1973 Wieland Wagner (23 stagioni)
1975-1981 Wolfgang Wagner (7 stagioni)
1982-1988 Götz Friedrich (6 stagioni)
1989-2001 Wolfgang Wagner (13 stagioni)
2004-2007 Christoph Schlingensief (4 stagioni)

Sui problemi - oltre che sui misfatti - legati agli allestimenti dei drammi wagneriani, e in particolare di Parsifal, si è scritto di tutto e poco c’è da aggiungere, salvo una forse banale osservazione: qualunque regia, tradizionale o moderna, o post-moderna, dovrebbe sforzarsi di restituire allo spettatore ciò che l’Autore aveva in mente di trasmettere, a tale fine avendo scritto di suo pugno i poemi, le note sui righi, e le indicazioni di scena a margine. Per usare un classico termine teutonico, riprodurre al meglio il Konzept che sta alla base del dramma. Ma il Konzept di Wagner, Wagner Richard per l’esattezza... non quello di Wagner Wolfgang, tanto per esemplificare, nè tanto meno quello di Götz Friedrich o di Christoph Schlingensief o - oggi - di Stefan Herheim. Poichè allorquando il regista si limita a prendere spunto dall’originale, per poi presentarci un Konzept suo proprio, adattandovici la musica di Wagner, è matematico che il valore dell’insieme non potrà che abbassarsi. Non per nulla i drammi wagneriani sono universalmente riconosciuti come opere d’arte assolute, che nessun intervento potrà mai “abbellire” o “migliorare”. Parliamo qui di Konzept, si badi bene, non di scene e costumi, che Richard Wagner per primo faticò a trovare adeguati alle sue stesse idee. Pensare che la rappresentazione di un tipo sia artisticamente migliore di quella dell’archétipo di cui quel tipo è solo una necessariamente parziale manifestazione, è la più grande stupidaggine che si possa fare, oltre che un’offesa all’opera d’arte, al suo autore e, in definitiva, al pubblico.

Wagner ebbe a dire che, dopo aver fatto scomparire l’orchestra (sotto il palcoscenico) avrebbe voluto far scomparire anche il palcoscenico medesimo, tanto avvertiva l’inadeguatezza di qualunque scena e costume rispetto al Konzept che anima i suoi drammi. E forse il miglior interprete della sua volontà fu proprio il nipotino Wieland, con i suoi allestimenti minimalisti dei primi anni ’50, che davano il minimo spazio agli aspetti esteriori, per consentire allo spettatore di concentrarsi totalmente ed esclusivamente sui contenuti più pregnanti - parole, musica e psicologia dei personaggi - dei drammi del nonno.

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