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13 luglio, 2008

Erlösung dem Erlöser: una bestemmia?

“Redenzione al Redentore“, così Wagner chiude il suo Parsifal.

Se ci limitiamo allo scenario cristiano, è certamente una bestemmia, comunque sia.

Sia che il redentore sia Parsifal (o, per interposto puro folle, Wagner medesimo, come taluni sostengono) poichè in tal caso come bestemmia si configura l’indebita appropriazione di una esclusiva prerogativa del Cristo (solo quest’ultimo può così essere chiamato, nessun altro, nemmeno il Papa, menchemeno un Parsifal o un Wagner qualunque).

Sia che il Redentore sia proprio Cristo, poichè in questo caso la bestemmia consiste nell’attribuire a Dio (sì, poichè Cristo, come persona della Trinità, è di fatto Dio) la necessità di essere redento, il che equivale ad assimilare Dio a Satana, un’eresia degna di scomunica sui due piedi.

Basterebbe questa osservazione a smentire tutte le tesi che pretendono - da Nietzsche in avanti - di vedere in Parsifal la manifestazione concreta del Wagner vendutosi alla Roma papalina.

Dà invece credibilità alla tesi di coloro che definiscono Parsifal una colossale, cinica, carognesca parodia della ritualità cattolica, messa in scena in forma apparentemente seriosa da un cristiano di fede luterana: insomma, la sacra rappresentazione sarebbe in realtà una farsa.

Se però proviamo ad uscire dall’orticello cristiano, e apriamo l’angolo di visuale a Buddha e Confucio, magari ricollegandoli a personaggi di casa nostra, come Schopenhauer e Kierkegaard, tanto per fare qualche nome... allora può accadere che Parsifal diventi una cosa maledettamente seria.

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