intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

18 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: Herheim scopre le carte

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A pochi giorni dalla prova generale (domenica 20 luglio) e a 10 giorni dalla prima del 25, Stefan Herheim ha rilasciato un’intervista a Festspiele, che è un servizio del Nordbayerischer Kurier dedicato esclusivamente ai festival e in primo luogo a Bayreuth. Le esternazioni del regista norvegese sono davvero illuminanti, e confermano quanto già si sapeva di lui, della sua personalità e del suo approccio alla regia di opere e drammi musicali.

Schizofrenia - nell’accezione scientifica e non certo offensiva del termine - è quanto si può dedurre dalle parole di Herheim a proposito della sua visione (il suo Konzept) di Parsifal.

Il nostro ha un principio fermissimo: l’intoccabilità delle partiture.”Sono una specie di Vangelo Artistico”, pontifica. Ohibò, verrebbe da pensare che ci troviamo di fronte ad un conservatore, per non dire di peggio, a un reazionario che pensa soltanto a rappresentare con fedeltà persino pedante ciò che l’Autore ha scritto, senza metterci nulla di suo, nemmeno una virgola, un gesto, una sfumatura, un’interpretazione personale... insomma, uno dei famigerati “bidelli del Walhall” di cosimana memoria.

Poi però ci sciorina candidamente la sua intenzione di spiegarci che in Parsifal esiste un piano di problematiche individuali: il ragazzo ingenuo che impara a conoscere le implicazioni e le conseguenze del potere e a riflettere sulla propria esistenza (sul nuovissimo sito del Festspielhaus sono pubblicate foto e filmati che mostrano Parsifal in tenuta da marinaretto...); e anche un piano di problematiche collettive: la ricerca di identità e di salvezza di una Nazione (sarà mica la Germania? Si intravede, sempre nelle immagini pubblicate, qualche personaggio da Terzo Reich) che si è più volte e maldestramente affidata a figure di redentori (Hitler, per caso? O Wagner medesimo?) - sperando di trovare a Bayreuth il proprio riscatto. (tutto questo sarebbe in partitura?)

Poi tira fuori un geniale parallelo biografico: interpretando a suo modo il verso di Gurnemanz “Dem Heiltum baute er das Heiligtum“ (sì, questo è effettivamente in partitura) ci spiega che il Festspielhaus è per Wagner ciò che il tempio di Monsalvat è per Titurel. (questa è tosta per davvero!)

Ancora ci spiega (a noi poveri pirla) che Parsifal tratta di mascolino e femminino, contrapponendo i maschi - tutti in un sol mucchio: Titurel, Amfortas, Gurnemanz, Klingsor e Parsifal, che cadono l’uno sull’altro e si posizionano sul concetto di redenzione - alla povera Kundry, che sarebbe la loro proiezione al femminino e come tale diversa e perciò da neutralizzare. "Nel dramma sacro non abbiamo alcuna ricerca di emancipazione, di liberazione sociale, ma solo la benevola redenzione gentilmente concessa da un potere superiore".

Orbene: dov’è finita la partitura intoccabile? Anche qui, il nostro genio è candidamente sincero: noi non vogliamo solo raccontare l’azione, ma mostrarne anche i meccanismi (sic) e rappresentare i diversi aspetti del lavoro, e persino il modo come esso fu storicamente ricevuto. (apperò)

Che dire? Visto che ha studiato al conservatorio, già che c’è Herheim potrebbe anche scrivere la musica del suo Parsifal, e poi provare a proporre il tutto per una rappresentazione in qualche locale underground... ma evidentemente è molto più comodo per lui usare un capolavoro indiscusso per far bella figura a buon mercato, nel più famoso teatro del mondo!

(certo, il problema non è lui, ma chi lo ingaggia e chi lo santifica)

Dimenticavo un dettaglio quasi marginale: c’è anche la musica e un Kapellmeister... E con Gatti, come vanno le cose? chiede l’intervistatore. Candidamente il nostro ammette: all’inizio Daniele era enormemente scettico sulle mie scelte... poi abbiamo trovato modo ciascuno di spiegare le proprie idee, in modo da cominciare a sentire con gli occhi e vedere con le orecchie.

(io - per quanto la cosa sappia molto di volpe-uva - sono contento di vedere con le orecchie e basta)

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