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23 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 25


Ancora Zhang Xian sul podio, e ancora con Beethoven e Mahler.

Ma prima - una sorpresa rispetto alla frugale locandina originale - c'è un saporitissimo antipasto wagneriano, l'Ouverture del Rienzi, terza opera composta dal genio di Lipsia e suo primo grande successo (Dresda, 1842). Un grand-opéra gigantesco (3 ore e mezza abbondanti di musica nella versione tagliata!) in 5 atti e con 4 balletti, cori e fanfare a volontà, che Wagner sperò invano di far rappresentare a Parigi. 

Pare che fosse ascoltando Rienzi che Hitler (ancora ragazzo) avesse l'ispirazione per la sua futura carriera (si dice avesse con sé il manoscritto dell'opera al momento della fine, nel bunker di Berlino…) 

Un'opera che, se la si depura di tutta l'abbondante tara (80% del totale!) lascia affiorare grandi tesori musicali, che non a caso ritroveremo nelle opere e nei drammi successivi del sommo Richard. 

L'Ouverture, come era consuetudine a metà '800, è costruita come un corpo separato dall'Opera, di cui però impiega ed introduce alcuni dei motivi principali.
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Si apre (Molto sostenuto e maestoso) con un'introduzione che contiene tre richiami della trombetta (che si udranno nell'opera poco prima del finale del primo atto e poi anche nel terzo, e infine all'inizio del quinto) inframmezzati da due incisi degli archi bassi e poi dei fiati. Quindi violoncelli e contrabbassi presentano un recitativo che prepara l'esposizione (in violini e violoncelli, in RE maggiore) della stupenda preghiera che il protagonista canterà (in SIb) all'inizio del V Atto, all'avvicinarsi della catastrofe: Du stärktest mich, du gabst mir hohe Kraft, du liehest mir erhabne Eigenschaft:

Il motivo costituito dalle prime due note del tema (tonica-sesta) e dal gruppetto rovesciato che le congiunge, sarà impiegato da Wagner in tutt'altro contesto drammatico, oltre che musicale; precisamente nel Prologo di Götterdämmerung, allorquando ci verrà presentato per la prima volta il Leit-motiv di Brünnhilde adulta: anch'esso sale di una sesta – ma da sottodominante a sopratonica - attraverso il gruppetto (qui notato esplicitamente):
Il motivo della preghiera sfocia in un cupo inciso (che ricorda l'apertura del second'atto di Lohengrin) contenente un tritono e che viene ripetuto più volte ad altezze diverse e da diversi strumenti: 
Esso porta ad una riesposizione enfatica e maestosa del tema della preghiera, nelle trombe, con violini e viole ad abbellirlo e movimentarlo con svolazzanti gruppetti di semicrome-biscrome, che anticipano un procedimento usato nell'Ouverture di Tannhäuser. Ora però il tema sfocia in un tremendo accordo di tutta l'orchestra, seguito da un drammatico rullo di tamburino sul quale ricompare l'inciso minaccioso, pesantissimo, in tromboni e tube, cui risponde il triplice richiamo della tromba. La quale a sua volta introduce una fanfara, ancora in RE maggiore, e poi un motivo preso sempre dal finale del primo atto dell'opera, precisamente dall'introduzione alla scena della nomina di Rienzi a tribuno (Gegrüsst sei, hoher Tag). Ad esso si concatena, in tromboni e oficleide, un nuovo tema (che tornerà poi nel terzo atto, ad accompagnare l'invocazione Santo Spirito Cavaliere!):
Ecco ora una modulazione alla dominante LA maggiore, che prepara il ritorno del tema della preghiera, adesso in tempo Allegro energico, a velocità praticamente doppia rispetto alle precedenti esposizioni (qualcosa di simile Wagner farà nel Vorspiel dei Meistersinger!) Alla conclusione, ancora il motivo del Santo Spirito conduce adesso, sempre in LA maggiore, all'esposizione del tema che costituirà il cardine del resto dell'Ouverture. Viene dal finale secondo dell'opera, dopo che Rienzi ha perdonato i suoi attentatori, e Irene e Adriano ne tessono le lodi (Rienzi, dir sei Preis):
Dopo la prima sua doppia esposizione, orchestrata in modo leggero, cui segue il controsoggetto (ripetuto) e una ripresa assai enfatica del tema, ecco arrivare una specie di sviluppo del Santo Spirito. Ancora il triplice richiamo della tromba e – tornando a RE maggiore – la fanfara del Gegrüsst, che si conclude con caratteristiche quarte ascendenti (come quelle che risentiremo nell'Holländer) e porta alla perorazione del tema di Rienzi (che principia appunto con una quarta) che conduce alla retorica conclusione dell'Ouverture, lasciata peraltro al Santo Spirito Cavaliere.
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Grande la prestazione dell'Orchestra e… originale l'approccio di Xian, che certo è lontana da Thielemann (per dire) quanto Pechino dista da Berlino (smile!) Quindi grande sbrigatività (forse troppa), niente pesantezza né prosopopea, tutto ridotto all'essenziale… insomma un Wagner abbastanza smagrito.

Secondo piatto della serata il Primo concerto di Beethoven, suonato dal nostro Gianluca Cascioli, bravissimo ad esporre con grande sensibilità e tocco magistrale sia i temi marziali del primo movimento, che le parti più intimistiche del Largo e le nervose sferzate del Rondò. Come cadenza dell'iniziale Allegro con brio ha scelto – delle tre scritte da Beethoven – quella di gran lunga più difficile ed impegnativa, che principia così:
Chiude il concerto il ciclo di 5 Lieder mahleriani su testi di Friedrich Rückert, proposti dal 53enne mezzosoprano ungherese Ildikó Komlósi. La locandina giustamente sottotitola da Sette canti, poiché, in origine, a questi 5 (composti fra il 1901 e il 1902 con accompagnamento di pianoforte e successivamente orchestrati – salvo l'ultimo) erano stati aggregati, ai fini di pubblicazione, gli ultimi 2 Lieder composti in precedenza (1899-1900) da Mahler su testi del Wunderhorn (che abbiamo già ascoltato in Auditorium tempo fa). 
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In ordine cronologico di composizione, il primo è Blicke mir nicht in die Lieder! (giugno 1901) una breve canzone di due strofe, che ripetono un tema in FA maggiore seguito da una sezione in minore. Un inciso, sul verso wie ertappt auf böser Tat (e poi su schauen selbst auch nicht zu) richiama da vicino la seconda ricorrenza del verso Gib mir Brot, sonst sterbe ich!, in Das Irdische Leben dal Wunderhorn:
Come si vede, sono idee anche piccole che in Mahler riemergono a distanza di tempo e in contesti del tutto diversi: qui uno scenario piuttosto sereno, là uno di morte! 

Poi abbiamo Ich atmet' einen linden Duft! Forse il più bello del ciclo, con la sua atmosfera sognante, illanguidita dalla celesta e dall’arpa, sul pedale cullante delle crome dei violini. Straordinaria la modulazione dal RE maggiore al MIb, sui versi das Lindenreis brachts du gelinde! E anticipatrice del Lied von der Erde la chiusa, con il SI del flauto che si aggiunge alla triade di RE maggiore suonata da arpa, celesta e legni.  

Quindi il famosissimo Ich bin der Welt abhanden gekommen (agosto 1901) che richiama da vicino l’Adagietto della quasi contemporanea Quinta Sinfonia (quello divenuto famoso in Morte a Venezia di Visconti) sia nella melodia che, soprattutto, nell’accompagnamento con terzine dell’arpa. In compenso qui c'è una parte significativa per il corno inglese (e altre di contorno per oboe, clarinetti, fagotti e corni) che è assente nell'Adagietto, dove tutti i fiati tacciono. Poco prima della conclusione, sull’ultimo verso (in meinem Lieben) spunta anche un inciso che viene chiaramente dal Ruhevoll della Quarta Sinfonia, completata precisamente un anno prima: 
Poi viene Um Mitternacht: qui Mahler prescrive l’oboe d’amore e (a doppiare l’arpa, nella seconda metà dell’ultima strofa) il pianoforte (tacciono invece del tutto gli archi!) È una canzone di cinque strofe, che per quattro e mezza si mantiene in tonalità di LA minore (eccetto una fugacissima apparizione del maggiore nella parte centrale della seconda strofa) presentandoci uno scenario quasi disperato, di buio nel cuore e nell’anima, che si aggiunge a quello profondo e materiale della mezzanotte. Il motivo che sostiene la ricorrente invocazione Um Mitternacht – anticipato già alla seconda battuta dal flauto e alla quarta dall’oboe d’amore - verrà ripreso da Mahler, ad esempio, all’inizio della seconda parte della sua Ottava Sinfonia, per descrivere lo scenario inizialmente cupo – che si aprirà poi verso l’alto – della scena finale del Faust:
L'atmosfera depressa è sottolineata da frequenti scale monotòne discendenti, un po' come quelle che riappariranno, non a caso, in Der Einsame im Herbst.

Poi, in una sola misura, ecco il repentino passaggio ad un luminosissimo LA maggiore, sulle parole (hab' ich die) Macht in deine Hand gegeben! nelle mani del Signore di morte e vita viene riposta la forza dell'Uomo: 
   
Arpa e pianoforte aggiungono un'aura celestiale allo sfarzo degli ottoni, che porta all'enfatica e positiva conclusione.

Infine Liebst du um Schönheit. Composto un anno dopo gli altri quattro (1902) non fu mai da Mahler orchestrato e la versione per orchestra si deve a tale Max Puttmann, uno che lavorava per l’editore Kahnt. Il che – secondo i musicologi - spiegherebbe certe bizzarrie che Mahler non avrebbe mai commesso. La giovane e bella Alma – allora era da pochi mesi divenuta sua moglie - narra nelle sue memorie che Mahler le fece trovare il manoscritto del Lied dentro la partitura del Siegfried, che lei era solita scorrere: si trattò davvero di una originale dichiarazione d’amore.

Anche qui è interessante la chiusa, con la voce che si ferma sulla sesta (il LA) proprio a creare una specie di sospensione... eterna (sull'avverbio immerdar, eternamente, appunto) anticipando un procedimento che Mahler impiegherà estensivamente in Das Lied von der Erde
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Non avendo Mahler imposto una sequenza precisa ai canti, ogni interprete (che può essere indifferentemente un mezzo, come qui, o anche un baritono) è autorizzato a sceglierne l'ordine di presentazione. La Komlósi invece li ha presentati precisamente nello stesso ordine in cui Mahler li compose. 

Purtroppo una prestazione vocale, la sua, insoddisfacente (a parer mio, s'intende): chiare difficoltà d'intonazione, voce poco udibile nell'ottava bassa e tendente all'urlo in alto. In più, una pronuncia che credo farà sorridere un crucco… Peccato, perché l'orchestra (in configurazione sempre diversa per ogni canzone) l'ha accompagnata al meglio. Comunque gli applausi non sono mancati. 

Prossimamente il venerabile sir Neville Marriner con un programma… scozzese.

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