Giuseppe
Grazioli sale sul podio nella stagione
principale (lui ne ha una sua propria, che occupa molte mattinate domenicali)
per dirigere un programma (quasi) sovietico.
Si parte proprio dall’unico
non-sovietico, Stravinski e dalla sua
Suite da Pulcinella. È costituita da 8 (in realtà 11) dei 18
numeri del balletto originale (dove è
prevista anche una voce) che Stravinski compose ispirandosi a – anzi, diciamo pure,
scopiazzando a più non posso – il buon Pergolesi, più altri musicisti autori di
brani erroneamente attribuiti al famoso maestro del settecento:
1. Sinfonia
2. Serenata
3. Scherzino - Allegretto - Andantino
4. Tarantella
5. Toccata
6. Gavotta (con due variazioni)
7. Vivo
8. Minuetto - Finale
Naturalmente va dato atto a Stravinski
dello sfoggio di gran maestrìa nella trascrizione di temi e soprattutto nell’orchestrazione,
con la ricerca raffinata di timbri e sonorità innovativi.
Buona la prestazione dell’orchestra,
pur con qualche sbavatura negli ottoni, chiamati a difficili acrobazie, come questa
del finale, affidata alla tromba:
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L’italo-russo 64enne Boris
Petrushansky, non nuovo come ospite de laVerdi, si cimenta poi
in Shostakovich, e precisamente nel controverso Secondo Concerto,
composto (1957) 4 anni dopo la morte di Stalin e circa un anno dopo l’inizio della
cosiddetta destalinizzazione che ebbe
per artefice quella specie di simpatico contadinaccio (apparentemente)
troglodita che rispondeva al nome di Nikita
Kruscev (quello della scarpa sbattuta sul banco dell’ONU nel 1960, o della
gomitatina galeotta quanto ridicola rifilata a Jaqueline Kennedy a Vienna nel
1961):
Sarà che è
una composizione quasi di ricorrenza (per il 19° compleanno del figlio Maxim, che ne sarà poi interprete) ma di
sicuro sembra opera di uno che finalmente può farsi gli affari suoi la
musica sua come gli pare e piace, senza la spada di… baffone sul capo!
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Pur impiegando
i mezzi classici (forma-sonata, bitematismo, esposizione, ripresa e cadenza
solistica) Shostakovich sa inventare un primo movimento (Allegro) assolutamente originale, dove pianoforte e orchestra si
integrano vicendevolmente, scambiandosi spesso i ruoli e i motivi.
E gli
stessi motivi sono fra loro intrecciati, come si può notare già
dall’esposizione del primo oggetto tematico (FA maggiore); sei battute introduttive e poi l'irruzione del pianoforte:
Segue
un secondo tema esposto dalla tastiera, con l’impertinente accompagnamento del
tamburino militare, sulla dominante DO maggiore (regola da Conservatorio…):
Il
solista lo sviluppa, poi assume la funzione di contrappunto alla melodia del
primo tema, esposta ora dall’orchestra e ulteriormente sviluppata.
Ancora il solista che propone un nuovo motivo, ora in RE minore (tonalità relativa di quella di impianto, anche qui siamo a scuola…):
Dopo averla
abbondantemente sviluppata, il pianoforte la chiude in RE maggiore, sfumando poi
a minore.
Qui ecco un
improvviso accordo di sesta, sul SI (che in realtà è mediante di SOL) dove si introduce
lo sviluppo, che svaria dal SOL del primo
tema variato al MI del secondo tema; ancora una transizione del pianoforte sul SOL,
indi il primo tema in orchestra sul SIb e quindi, dopo un intervento del solo pianoforte,
ancora negli archi in LA maggiore… insomma si va parecchio a spasso! Ecco il secondo
tema ancora in SIb, in tutta l’orchestra, seguito da una lunga e poderosa transizione
caratterizzata da volate del solista e secchi accordi dell’orchestra, che porta
alla cadenza solistica, imperniata sul primo tema.
Ed ora,
canonicamente, la ripresa del primo tema esposto in FA dall’orchestra e seguito
dal secondo, che il pianoforte riespone – toh! – pure in FA. Torna il primo tema,
enfaticamente, mentre il pianoforte ci ricorda, sempre in FA, il motivo esposto
precedentemente in RE minore (insomma, un’applicazione quasi… talebana dei sacri
canoni). Si arriva così alla perentoria conclusione con accordi secchi di crome
di tutta l’orchestra e del solista.
Il centrale
Andante è un pezzo elegiaco, dove il pianoforte
opera quasi esclusivamente per terzine (tipo la Mondschein, per intenderci) sulle tonalità dei tre bemolli (DO minore
e MIb maggiore) con una breve sezione - proprio l’ingresso del solista - in DO maggiore:
Per il
resto i soli archi e un corno accompagnano languidamente e assai discretamente il
solista nelle sue sognanti divagazioni, chiuse da due terzine… zoppe, sul DO, che
preparano l’attacco diretto del finale Allegro.
In
tutto il movimento il solista ha soltanto sei brevissimi momenti di respiro
(ciascuno di 2-3 battute al massimo); per il resto deve suonare continuamente e
alla velocità di un treno in corsa.
Ecco
la prima esposizione, dove sembra proprio di sentire un treno che si mette in
moto:
Ad
essa segue una sezione in 7/8, introdotta dalla sola orchestra, dove il ritmo
si fa più frenetico:
Poi
il pianoforte riprende la sua corsa sfrenata, spesso suonando quasi da
solo, con scarsi interventi orchestrali, oppure accompagnato da pochi fiati
(corni e clarinetti). È un turbine di volate e di scale (pare che Shostakovich vi
abbia introdotto deliberatamente esercizi scolastici, a beneficio del figlio… diplomando)
che non conosce soste, fino allo schianto conclusivo, che rappresenta per tutti
un’autentica liberazione!
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Trascinante
l’esecuzione di Petrushansky, benissimo coadiuvato dall’orchestra, che Grazioli
tiene sempre saldamente in controllo. Sicuro nei passaggi più percussivi (come le famose ottave spaccatasti) e delicato nel porgere le atmosfere
sognanti dell’Andante.
Trionfo
assicurato e ricambiato da un bis... dicembrino.
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Dopo l’intervallo arriva Prokofiev con la Suite delle musiche dal film di Aleksandr
Nikoleyevich
Faintsimmer (tratto dal breve racconto di Yury Tynyanov) Il luogotenente Kiže, del 1933. La trama del film e soggetto del paradossale
racconto è un inesistente militare, nato per un errore di copiatura di un
documento da parte di uno scrivano dello Zar Paolo I. Il quale Zar si infatua
della figura del militare, lo promuove e ne vuol seguire la carriera. Per non
disilluderlo, i burocrati dell’esercito fanno addirittura maritare il
fantomatico luogotenente, ma quando lo Zar chiede di riceverlo in persona, non
trovano di meglio, per pararsi il culo, che dichiararlo improvvisamente morto e
fargli un dovuto funerale (!)
La Suite si
articola in cinque brani che trattano:
I. Nascita di Kiže. Si tratta
ovviamente della venuta al mondo del tutto virtuale e involontaria del militare,
cui lo Zar dedica inaspettatamente grandi attenzioni.
II. Romanza. Il fantomatico
luogotenente si innamora.
III. Il matrimonio di Kiže, necessario
a soddisfare i desideri dello Zar, che pensa che tutti i suoi eroi debbano
essere sposati.
IV. Troika.
V. Funerale di Kiže. Per evitare
figuracce con lo Zar, i burocrati fanno all’inesistente Kiže delle esequie di
Stato.
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La
Suite si apre e si chiude con un segnale militare (tipicamente da silenzio) che la tromba solista esegue
standosene molto in lontananza:
L’ottavino
presenta un motivo marziale, ma da marcia di… marionette, come si addice ad un
soldatino immaginario:
Il
matrimonio è introdotto da una fanfara davvero degna di miglior causa…
Infine
ecco il tema, a metà fra il guascone e il ridicolo, del luogotenente, ancora
esposto dalla tromba:
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L’Orchestra
ha dato il meglio, come insieme e come singoli: in particolare la tromba di Alessandro Caruana che, sistemato remotamente,
ha intonato nascita e… dipartita del luogotenente virtuale.
A proposito di Prokofiev, allego qui un approfondito – e assai problematico - studio di Franco Pulcini, comparso nel numero di Maggio-Giugno 1991 di Musica&Dossier.
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Chiude il
concerto Aram Khachaturian, un esempio
classico di come l’Unione Sovietica riuscisse, con le buone e più spesso con le
cattive, a tenere insieme gente delle più disparate origini. Lui era uno nato
in Georgia (la terra di Stalin) da genitori azeri di sangue armeno e si era
integrato (non senza avere poi delle marginali divergenze di vedute con quel simpaticone
di Andrej Aleksandrovič Ždanov)
nell’apparato dell’arte di regime.
Di lui
ascoltiamo la Suite dalle musiche di
scena del dramma ottocentesco Masquerade
di Mikhail Yurevich Lermontov, un
soggetto vagamente simile ad Otello,
dove il protagonista Eugene Arbenin uccide la moglie Nina, accecato dalla
gelosia provocatagli dallo smarrimento da parte di lei di un bracciale, durante
una festa mascherata.
Poco prima
dell’invasione tedesca dell’URSS (1941) Khachaturian compose queste musiche di
scena, precisamente 14 numeri così intitolati:
1. Romanza
2. Mazurka
3. Walzer
(al ricevimento)
4. Galop
5. Notturno
6. Walzer
(camera da letto)
7. Walzer
(alla Masquerade)
8. Walzer
(al casinò)
9. Tema
della baronessa Strahl
10. Tema di
Kazarin (una specie di Jago, ndr)
11. Tema del
braccialetto
12.
Introduzione
13. Finale
del ricevimento
14. Inno
L’Autore
estrasse in seguito la Suite che ascoltiamo qui, composta da 5 numeri, disposti
con perfetta simmetria (tre mossi – altrettante danze - alternati a due lenti):
1. Walzer
2. Notturno
3. Mazurka
4. Romanza
5. Galop
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Il
Walzer – che è il cuore dell’intera
musica di scena, ha una struttura assai semplice, regolare: A-B-A-C-A-B-A.
Struttura anche simmetrica, salvo per il fatto che i temi A e B alla prima
apparizione vengono ripetuti (di norma un’ottava più in alto) mentre nella
ripresa non lo sono.
La
tonalità è LA minore (A), MI minore (B) e DO maggiore (C). I temi vengono
sempre esposti dagli archi, mentre i legni fanno da contrappunto (a canone) o
da raddoppio e gli ottoni più che altro scandiscono i levare del tempo di walzer (salvo alcuni brevi interventi melodici
di trombe e corni).
Il
primo tema è costituito da due frasi giustapposte; la prima è una ostinata
ripetizione di una scala ascendente:
La
seconda è una melodia più cullante che degrada pian piano per poi risalire
velocemente. Il secondo tema – che Kachaturian confessò di aver ideato mentre
posava per un ritratto fattogli da Eugenia
Lurie, prima moglie di Boris
Pasternak – ha tratti somiglianti al primo, con le sue salite e riprese a dente di sega:
Il
tema centrale, introdotto da pesanti ed enfatici accordi, si muove
prevalentemente sull’arpeggio di DO maggiore e chiude con una reminiscenza del
verdiano libiamo:
Il
Notturno (Andantino con moto) è un breve brano
monotematico, aperto da 5 battute di accordi arcani di corni, poi fagotti e
clarinetti. Il tema, affidato al violino solista e contrappuntato
principalmente dal clarinetto, viene sostanzialmente riproposto cinque volte,
le prime e le ultime due nella tonalità di LA minore, la terza in SOL minore.
Una melodia, a somiglianza dei temi del Walzer, caratterizzata da ascese
intercalate da brusche ricadute:
Sia
la transizione interna che la chiusa si appoggiano sulla tonalità di DO#
maggiore.
La
Mazurka (Allegro) in MIb maggiore, presenta,
come il Walzer, una struttura perfettamente simmetrica: A-B-C-B-A. Vi troviamo un
primo tema che richiama alla lontana quello del primo quadro di Coppelia, tema
formato da due sezioni, la prima ancora una volta costituita da veloci salite e
bruschi ripiegamenti:
La
seconda da una serie di ondeggiamenti di crome in staccato. Dopo la sua ripetizione, ecco il secondo tema, nella
relativa DO minore, inizialmente più elegiaco, ma che poi si agita in archi e
legni, con veloci scalate:
Esso
viene ripetuto e poi gli subentra un nuovo, spigliato motivo in FA maggiore,
pure ripetuto:
Ritorna
poi il secondo tema (qui una sola volta) che infine cede il passo a quello
iniziale, che con due ripetizioni chiude il numero.
La Romanza (Andante) è la musica che deve sostenere i
versi che la protagonista Nina canta al suo sposo, che dubita di lei. Il motivo
principale, in SIb minore, è esposto dai violini, che salgono lungo l’ottava,
da dominante a dominante (FA) per poi ripiegare giù sul SOLb:
Qui
il motivo si ripete, ma sviluppato fino virare a REb maggiore, e quindi tornare
a SIb minore, chiudendo sulla sopratonica DO.
Ora
sono viole e violoncelli a riprenderlo, in seguito modulando dolcemente a LAb
maggiore, dove il clarinetto espone una nuova e struggente melodia:
Dopo
che l’orchestra ha sviluppato il secondo motivo, si torna al primo tema, SIb,
ora esposto con gran portamento e nobiltà dalla tromba solista, che viene poi
affiancata dagli archi a completare la riesposizione del tema, fino alla
sommessa chiusura sulla dominante FA.
Chiude
il Galop (Allegro vivo) un ubriacante pezzo (in SIb
maggiore) che ricorda vagamente la polka Tritsch-Tratsch
di Johann Strauss. Anche qui struttura semplice e immetrica: A-B-A-C-A-B-A.
Dopo
8 battute che servono ad impostare il folle ritmo del brano, un primo tema
esilarante è esposto inizialmente dagli strumentini, e poi verrà ripreso dagli
archi:
Dal
SIb sfocia su una sospensione in RE minore, caratterizzata da un inciso di
ottoni e tamburino che anticipa la struttura del terzo tema. Dopo la
ripetizione segue il secondo tema, sempre in SIb, esposto da viole, violoncelli
e fagotti, con i violini ad arpeggiare in staccato:
Torna
ora il primo tema, cui segue un’introduzione ritmata dalle trombe che prepara
il terzo tema, nella sottodominante MIb, con modulazione a SOL minore:
Ora
c’è una pausa di tranquillità, dove il clarinetto solista inserisce una sua
cadenza, seguito dal flauto solo, che porta alla ripresa dei due temi
principali che chiudono in modo spiritoso il brano e l’intera Suite.
___
Veramente un
pezzo geniale, anche se apparentemente disimpegnato, che Grazioli esegue con la
sua proverbiale verve, trascinando
l’orchestra ad una prova maiuscola – su tutti il violino di Luca Santaniello e la tromba di Alessandro Ghidotti - e il pubblico ad
un’autentica ovazione da stadio! Che convince maestro e professori a ripetere il
celeberrimo Walzer.
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