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08 marzo, 2013

Orchestraverdi – concerto n.25


Dopo la sterminata Terza di Mahler, un altro mastodontico corpus musicale ci viene proposto, come ormai da anni consuetudine, dalla stagione de laVerdi: quest’anno, dopo Xian (09-10 e 10-11) e Ceccato (11-12), è John Axelrod a cimentarsi con il Requiem verdiano, in un Auditorium ancora una volta piacevolmente gremito, a dispetto dell’uggiosità del tempo.

Da sempre ci si accapiglia fra due scuole di pensiero: chi lo cataloga come un melodramma, sacro ma pur sempre melodramma, e chi gli concede caratteristiche di musica religiosa, alla Palestrina o Cherubini o Mozart, o magari alla stregua dell’esempio brahmsiano. A proposito, proprio un entusiasta di Brahms, tale Hans von Bülow, ascoltò la prima della Messa in quel 22 maggio del 1874 e ne scrisse in termini non proprio elogiativi (rivedendo però poi in positivo la sua posizione) denunciandone qualche grettezza scolastica e qualche soluzione bruttina e di cattivo gusto… forse proprio per rimarcarne alcuni lati platealmente melodrammatici.

Oltretutto sappiamo come una pur breve sezione del Dies Irae (il celeberrimo Lacrymosa) altro non sia se non uno scarto (smile!) del primo Don Carlos (atto quarto, quadro secondo - qui VanDam, con Alagna, da 2’17”) che Verdi ripescò dal recycling-bin, riadattandone la melodia, scritta per i versi francesi, al latino della Messa:

Requiem
Lacrymosa dies illa
Qua resurget ex favilla
Judicando homo reus
Huic ergo parce deus.
Philippe
Oui, je l’aimais… sa noble parole
A l’âme révélait un monde nouveau!
Cet homme fier… ce coeur de flamme,
C’est moi qui l’ai jeté dans l’horreur du tombeau!

Nel suo esaustivo saggio sul Requiem, David Rosen ha compiutamente analizzato le (piccole, sottili, ma significative) differenze fra i due brani, legate non solo al contenuto del testo, ma anche all’accentazione delle parole, oltre che ad esigenze puramente estetiche. Una delle differenze principali consiste nella rimozione della rigida anacrusi – ripetuta per ben otto volte in otto battute! - che caratterizza la melodia di Filippo, in favore di una più libera cantabilità dei versi sacri. E anche l’armonizzazione subisce alcuni modesti ma significativi ritocchi:

Ecco, mi sembra che Axelrod appartenga decisamente alla prima delle due scuole di pensiero, almeno da come ha decisamente messo in risalto proprio i tratti marcatamente melodrammatici della partitura, a cominciare dalla scelta delle voci: Victoria Yastrebova, un soprano giovane ma che ha in repertorio Elsa, Desdemona e Tosca, e Khachatur Badalyan, una robusta voce da heldentenor.

Il cast è completato da Maria José Montiel (che aveva cantato anche nelle due edizioni dirette da Xian) e da Mirco Palazzi, che personalmente sono le voci che più ho apprezzato.

Il coro di Erina Gambarini ha fornito ancora una volta una prova egregia, così come l’orchestra, compattissima nei tumultuosi passaggi del Dies Irae dove Axelrod non ha risparmiato la minima enfasi, e capace però di emozionanti pianissimo nelle sezioni di più religioso raccoglimento (forse il morendo finale degli ottoni avrebbe dovuto essere più vicino al ppp prescritto…)

In complesso un’esecuzione più che apprezzabile, accolta da un autentico trionfo.
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John Axelrod resta sul podio anche per Il prossimo concerto dedicato a Brahms.

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