Dopo la sterminata Terza di Mahler, un
altro mastodontico corpus musicale ci viene
proposto, come ormai da anni consuetudine, dalla stagione de laVerdi: quest’anno, dopo Xian (09-10 e
10-11) e Ceccato (11-12), è John Axelrod
a cimentarsi con il Requiem verdiano, in un Auditorium ancora una volta piacevolmente
gremito, a dispetto dell’uggiosità del tempo.
Da sempre ci si accapiglia fra due
scuole di pensiero: chi lo cataloga come un melodramma, sacro ma pur sempre
melodramma, e chi gli concede caratteristiche di musica religiosa, alla Palestrina
o Cherubini o Mozart, o magari alla stregua dell’esempio brahmsiano. A
proposito, proprio un entusiasta di Brahms, tale Hans von Bülow, ascoltò la prima
della Messa in quel 22 maggio del 1874 e ne scrisse in termini non proprio
elogiativi (rivedendo però poi in positivo la sua posizione) denunciandone qualche grettezza
scolastica e qualche soluzione bruttina e di cattivo gusto… forse
proprio per rimarcarne alcuni lati platealmente melodrammatici.
Oltretutto sappiamo come una pur breve
sezione del Dies Irae (il celeberrimo
Lacrymosa) altro non sia se non uno scarto (smile!) del primo Don Carlos
(atto quarto, quadro secondo - qui VanDam, con Alagna, da
2’17”) che Verdi ripescò dal recycling-bin,
riadattandone la melodia, scritta per i versi francesi, al latino della Messa:
Requiem
Lacrymosa dies illa
Qua resurget ex favilla
Judicando homo reus
Huic ergo parce deus.
|
Philippe
Oui, je l’aimais… sa noble parole
A l’âme révélait un monde nouveau!
Cet homme fier… ce coeur de flamme,
C’est moi qui l’ai jeté dans
l’horreur du tombeau!
|
Nel suo esaustivo saggio sul Requiem, David Rosen ha compiutamente analizzato le
(piccole, sottili, ma significative) differenze fra i due brani, legate non solo
al contenuto del testo, ma anche all’accentazione delle parole, oltre che ad
esigenze puramente estetiche. Una delle differenze principali consiste nella
rimozione della rigida anacrusi – ripetuta per ben otto volte in otto battute!
- che caratterizza la melodia di Filippo, in favore di una più libera
cantabilità dei versi sacri. E anche l’armonizzazione subisce alcuni modesti ma
significativi ritocchi:
Ecco, mi
sembra che Axelrod appartenga decisamente alla prima delle due scuole di
pensiero, almeno da come ha decisamente messo in risalto proprio i tratti marcatamente
melodrammatici della partitura, a cominciare dalla scelta delle voci: Victoria Yastrebova, un soprano giovane ma
che ha in repertorio Elsa, Desdemona e Tosca, e Khachatur Badalyan, una robusta voce da heldentenor.
Il cast è completato
da Maria José Montiel (che aveva
cantato anche nelle due edizioni dirette da Xian) e da Mirco Palazzi, che personalmente sono le voci che più ho apprezzato.
Il coro di Erina Gambarini ha fornito ancora una volta
una prova egregia, così come l’orchestra, compattissima nei tumultuosi passaggi
del Dies Irae dove Axelrod non ha risparmiato
la minima enfasi, e capace però di emozionanti pianissimo nelle sezioni di più religioso raccoglimento (forse il morendo finale degli ottoni avrebbe dovuto
essere più vicino al ppp prescritto…)
In complesso
un’esecuzione più che apprezzabile, accolta da un autentico trionfo.
___
Nessun commento:
Posta un commento