Ecco, questo è
un concerto davvero particolare, da tanti punti di vista, e non
tutti piacevoli… Intanto perché è diretto da una signora. Direte: oh, che
novità, la Xian! Eh no, invece abbiamo Claire
Gibault, un’altra delle poche quote
rosa del firmamento direttoriale. Poi perché mette in programma una prima, il che non è cosa di tutti i
giorni. Infine perché ci permette doveva permettere di ascoltare ancora
dal vivo le note, genuine o supposte tali, dell’estremo lascito mahleriano.
Ma andiamo con
ordine. Di Fabio Vacchi, compositore in residence presso l’Orchestra, abbiamo
ascoltato la prima assoluta del melologo Veronica Franco. Ispirato ai testi
letterari della più colta ed emancipata puttana
che la storia ricordi, si compone di versi originali della Franco cantati dal
soprano (ieri era Talia Or) e di
testi che Paola Ponti ha tratto da altri scritti (epistolari, per lo più) della
honorata cortigiana veneziana del XVI
secolo (ieri recitati da Giovanna Bozzolo).
La musica di
Vacchi, oltre ad accompagnare il canto, si incarica anche di creare l’atmosfera
adatta per supportare il racconto della voce recitante. Il soggetto, se così si
può dire, del melologo è incentrato sul processo che la Franco subì da parte
dell’Inquisizione (accusa:
stregoneria) e nel quale lei si difese da sola, ottenendo la piena assoluzione.
Si parte dalla
sera precedente all’udienza, dove la donna prepara la sua difesa (-offesa in
realtà) per continuare con la sua arringa auto-difensiva che le consente di salvarsi
dal rogo. E dai versi e dai racconti di Veronica emerge tutto lo spaccato di civiltà
a lei contemporanea, insieme alle sue incredibili doti di intelligenza, cultura
e saggezza.
Vacchi trova il
giusto equilibrio di suoni e colori per evocare le tante facce della vicenda di
Veronica: dalle atmosfere non proprio idilliache dei pregiudizi e delle accuse contro
di lei, ai suoi slanci di donna orgogliosa e decisa a vender cara la pelle, fino
alla positiva conclusione della storia. Per raggiungere l’obiettivo il compositore
impiega tutte le risorse disponibili in orchestra (percussioni in grande evidenza)
ma senza mai esagerare in enfasi o retorica. E sempre mantenendo alto il livello
di cantabilità e di lirismo dei suoi temi, cosa che del resto caratterizza tutta
la sua produzione.
Convinti applausi
e ovazioni hanno accolto l’esecuzione e gli autori.
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La Decima
di Mahler prevista in questo concerto
è una delle ultime ricostruzioni della sinfonia (che l’Autore, come noto,
lasciò allo stadio di torso). A quasi tre anni fa risale l’ultima esecuzione qui in Auditorium: allora venne
impiegata la versione predisposta da Derick
Cooke, che negli anni ’60 del secolo scorso era stato il primo a cimentarsi
nell’impresa (ardua ed anche discutibile, e assai discussa) di tradurre gli
schizzi – corredati da indicazioni… extramusicali! - di Mahler in qualcosa di
eseguibile.
Da allora
altri si sono cimentati in questa stessa impresa e uno di questi è una vecchia
– e ahinoi scomparsa – conoscenza de laVerdi:
Rudolf Barshai. Il quale nel 2000
produsse la sua versione dell’opera, che ha poi eseguito varie volte (ecco una di queste) ed ha presentato anche qui nel 2002.
Ferme restando
le solite considerazioni relative all’arbitrarietà delle scelte operate dal ricostruttore/completatore - che
ovviamente cerca (in perfetta buona fede, s’intende) di mettersi nei panni di
Mahler per decidere come strumentare ciò che l’Autore aveva semplicemente
abbozzato su pochi pentagrammi - si possono fare apprezzamenti sulle diverse
ricostruzioni, come fa – qui
peraltro in modo interessato – il recensore della Universal Edition che ha pubblicato la versione Barshai, in
concorrenza a Faber Music che
pubblicò quella di Cooke.
Le differenze
fra le due versioni - anche se magari è difficile coglierle all’ascolto dal
vivo - non sono propriamente trascurabili, riguardando la scelta degli
strumenti cui affidare le linee melodiche e/o le armonie indicate da Mahler e
soprattutto la dinamica (a volte persino l’agogica) da perseguire.
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Tutto
questo tormentone in realtà non serve ad alcunché, dato che ieri sera, meno di
mezz’ora prima dell’inizio del concerto, un cartello esposto sulla locandina
avvertiva che della sinfonia sarebbe stato eseguito soltanto l’Adagio iniziale, quello che Mahler lasciò
ad uno stadio avanzato di completamento e che fu pubblicato da Universal (edizione di Erwin Ratz) già quasi un secolo fa e da allora eseguito e registrato
da Direttori grandi e piccini.
Spiacevole contrattempo
davvero, che ha provocato all’uscita reazioni piuttosto inviperite (e non senza
motivo). Ciascuno può fare le illazioni che crede sulle cause che hanno portato
al default (chissà se la Fondazione darà
in proposito spiegazioni non puerili). Resta purtroppo il fatto incontestabile che di episodio
poco edificante si è trattato.
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