ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

22 marzo, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°26

 

Il Direttore musicale (quota rosa) de laVerdi riappare sul podio dell’Auditorium per dirigervi un concerto mozartiano, con spruzzatina del Gluck strumentale. L’occasione è buona – e non sarà l’ultima - anche per portare in primo piano (e se lo meritano proprio) un paio di prime parti dell’Orchestra

Si parte con la celeberrima Eine kleine Nachtmusik, ascoltata qui più di 3 anni orsono dall’astro emergente na PatalungQuesta volta però di direttore se ne fa a meno: Nicolai Freiherr von Dellingshausen guida con l’archetto del suo violino i 21 compagni in un’esecuzione proprio come dovevano essere quelle dei tempi del Teofilo!
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Poi ecco Andrea Magnani, fagotto principale de laVerdi, esibirsi nel K191. Uno dei gioiellini del Mozart giovane che, come ricorda lo stesso Magnani, riprenderà l’incipit dell’Andante nella famosa cavatina della Contessa all’inizio del second’atto del Figaro. (Ma sono anche le stesse quattro note con cui tale Wagner farà iniziare il Liebestod…)

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Il Concerto si apre con un Allegro in SIb, che ha una struttura vagamente di forma-sonata. È in pratica costruito da Mozart componendo sapientemente - come fossero pezzi di un ideale meccano musicale - alcuni motivi di base:


Abbiamo un’Introduzione orchestrale, abbastanza lunga, interamente in SIb, che espone il motivo A e successivamente il motivo B e poi il C, inframmezzati da qualche battuta di carattere marziale. A questo punto entra il solista che espone il motivo A (di fatto il primo tema) seguito da un breve virtuosismo e chiuso dall’orchestra sulla tonica. Poi attacca il motivo D (una specie di secondo tema) nella tonalità dominante di FA maggiore; ad esso segue subito il motivo E, sempre in FA maggiore, che poi si sviluppa (anche con soggetti secondari) con grandi volate di semicrome fino alla conclusione del solista sul FA acuto. L’orchestra chiude l’esposizione riprendendo (sempre sulla dominante FA) il motivo C.

Ora il solista introduce il motivo F, dapprima in DO minore, poi in SIb, che rappresenta quasi una specie di sviluppo, assai breve e basato su virtuosismi del fagotto supportati da svolazzi degli archi. L’orchestra inizia quella che possiamo chiamare ripresa con le prime quattro battute del motivo A (SIb) subito reiterate dal solista, che vi fa seguire il secondo tema (motivo D) ma nella tonalità plagale (MIb). 

Adesso Mozart ci regala un’autentica perla del suo genio: riprende il motivo E (originariamente in FA) e – senza minimamente trasporlo, si badi bene, ma variandone quasi impercettibilmente la struttura e l’armonizzazione – lo fa calzare a pennello alla tonalità di SIb, come vogliono i sacri canoni! SIb che viene mantenuto con il motivo B che ricompare nel fagotto e porta poi – dopo un tutti orchestrale che ripropone il motivo C - alla classica sospensione per la cadenza. Cadenza che Mozart non ha scritto e che quindi sta al solista di scegliere o inventarsi. Da qui la coda che chiude il movimento.   

Nell’Andante, ma adagio (FA maggiore) Mozart si diverte, più di quanto già fatto nel primo movimento, a far eseguire al solista siderali intervalli sonori (anche di 19ma!) quasi a voler fare pubblicità alle prerogative dello strumento. Ma senza dimenticare la dolcezza della melodia che caratterizza l’intero brano.

Il Finale è un Rondo (Menuetto, 3/4) che presenta una struttura abbastanza regolare: A-B-A-C-A-D-A-A’, i cui mattoncini di base sono i motivi di seguito elencati:

Il ritornello A (in SIb maggiore) è costituito da una sezione principale di 8 battute (a) che ritorna sempre e da una di 12 battute (a’+a) che ritorna soltanto nell’ultima ricorrenza, l’unica suonata dal solista, mentre tutte le altre sono presentate dalla sola orchestra. Il fagotto è invece protagonista di tutti gli episodi interni. B si compone di 3 motivi (b+b’+b”) che appaiono come variazioni del ritornello, rispettivamente in SIb maggiore, FA maggiore e ancora SIb. C consta di due motivi (c e c’) nella relativa SOL minore. D è a sua volta scindibile in due motivi (d e d’) in SIb e FA. Dopo che A è stato presentato e ulteriormente sviluppato dal solista, una variante di A (A’) comprende una breve cadenza che chiude il Rondo.
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Magnani mostra di padroneggiare perfettamente questa parte assai ostica, di cui ci dà proprio un’interpretazione… scoppiettante, meritandosi gli scroscianti applausi del suo pubblico (e vedremo che per lui non sarà finita qui…) 
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Dopo l’intervallo, ecco l’altro moschettiere che viene al proscenio da solista: è Max Crepaldi, che si cimenta con un’opera di un autore che aveva composto prevalentemente… opere! Si tratta del Concerto per flauto di Gluck. Di cui è però addirittura incerta la paternità, oltre che l’anno di composizione. Fu Hermann Scherchen ad arrangiarne un’edizione e a farne una prima registrazione 1l 21 agosto 1941 a Winterthur, con la locale Orchestra Municipale e Willi Urfer al flauto.

Il concerto ha una struttura e un’impaginazione assai semplici, tanto da far pensare che non sia di Gluck o quanto meno non del 1762 (per dire, l’anno dell’Orfeo!) ma assai più datato, magari un giovanile esercizio di carattere scolastico. Si tratta di tre classici movimenti: Allegro non molto (SOL maggiore, 3/4), Adagio (RE maggiore, 4/4) e Allegro comodo (SOL maggiore, 3/4). Ciascun movimento dura poco meno o più di 5 minuti ed è di fatto monotematico, con la classica modulazione alla dominante o al massimo alla relativa minore. Per conseguenza si porta dietro anche una certa… monotonia che rischia non dico di annoiare, ma insomma di provocare nell’ascoltatore dei cali di tensione.

L’organico dell’accompagnamento è costituito da quattro parti del quintetto di archi (v1-v2-va-vc+cb) e da corni (che accompagnano prevalentemente muovendosi per terze e – nel finale – seste e che peraltro tacciono nel movimento centrale).    
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Il tema del primo movimento, dopo essere stato anticipato da archi e corni, viene esposto dal solista nella sua prima sezione, che chiude sulla sopratonica LA. Essa diviene dominante del RE (a sua volta dominante di SOL) sul quale il flauto espone la seconda sezione del tema:

Tema che viene ora riproposto dall’orchestra nella tonalità dominante, prima che il flauto rientri con una variante in MI minore (relativa del SOL di impianto) che riporta poi alla tonalità di base. Orchestra prima e flauto poi riespongono il tema in SOL fino ad arrivare alla breve cadenza, dopo la quale l’orchestra porta il movimento alla conclusione.

Anche l’Adagio si presenta più o meno nello stesso modo: il tema (RE maggiore) viene esposto prima dagli archi, cui poi subentra il solista, che lo reitera facendolo virare alla dominante LA maggiore:


In questa tonalità viene ripreso dagli archi, prima che il flauto lo sviluppi, riportandolo a RE maggiore. Anche qui una cadenza del solista conduce gli archi alla chiusura. 

Chi vuol scommettere che anche la struttura dell’Allegro comodo ricalca più o meno quella degli altri due movimenti? Scommessa vinta: partono archi e corni con il tema in SOL maggiore, ripreso dal solista che lo sviluppa verso la dominante RE:


È il solista stesso che reitera il tema sulla dominante, fino a modulare a SOL minore, per poi riprendere canonicamenie il SOL maggiore. Si arriva quindi alla pausa per la cadenza di prammatica, assai breve, che conduce alla chiusura riservata ad archi e corni.
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Beh, credo si sia capito trattarsi di una cosuccia simpatica e non molto di più. Certo, per il solista è pur sempre un’occasione per mettere in luce le proprie qualità. E devo dire che Crepaldi l’ha saputa sfruttare in pieno!

Così, per festeggiare degnamente la serata, il primo flauto si riporta in scena anche Magnani e insieme ci offrono come bis una trascrizione dal clavicembalo di Händel, che dà modo ad entrambi di riproporre le loro altissime qualità tecniche e di fare ancora il pieno di applausi.   
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Chiude la serata la K543, terz’ultima delle sinfonie del grande salisburghese. Le ultime esecuzioni qui risalivano a poco più di due e poco meno di quattro anni orsono, offerteci entrambe dal venerabile Helmuth Rilling.

Xian è tutta un’altra pasta (poi ciascuno può preferire un approccio ad un altro…) e ne cava un’interpretazione nervosa e senza… ritegno (!) Dalle tremende mazzate chieste alla Viviana fin dall'Introduzione, passando per i pianissimo degli archi e ancora per esplosioni improvvise di tutta l'orchestra che - parlando di Mahler, mica di Mozart - Adorno chiamava irruzioni! E ha pure fatto - cosa per lei inconsueta - i ritornelli di prammatica.

Insomma, una simpatica serata che ci ha ridato un po' del calore toltoci dalla leggera pioggerella arrivata nel frattempo.

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