Quarta ed ultima recita, ieri sera al
Teatro Rossini (non proprio esaurito, ma illustrato dall’imponente presenza in sala
di Jessica Pratt) del Barbiere di Siviglia, riproposto
quest’anno in forma semi-scenica al posto della preventivata L’inganno felice. In pratica, una
edizione aggiornata e un po’ più scenica di quella del 2011, dove Alberto Zedda aveva presentato la sua
ultima edizione critica dell’Opera.
L’Accademia
di Belle Arti di Urbino ha curato (praticamente a-gratis, a quanto pare) la realizzazione dello spettacolo, impegnandovi
uno stuolo di allievi e docenti. Spettacolo godibile e simpatico, ricco di
trovate interessanti e mai volgari, a dimostrazione che – applicando
intelligenza ed entusiasmo – si possono ottenere buoni risultati anche senza
tirare in ballo altisonanti (e altoremunerati…) nomi di registi. La scena in
effetti c’è (orchestra regolarmente in buca) anche se ridotta al minimo; poi
molte parti dello spettacolo hanno sede in platea o in alcuni palchi (ma questa
non è certo una novità, il teatro di regìa ci ha abituato a questa prassi)
anche se sono prevalentemente occupate da recitativi, quindi disturbano poco la
musica; mimi e figuranti si aggiungono agli interpreti per movimentare
l’azione, ma senza mai essere eccessivamente invadenti. Insomma, un risultato
interessante e un esperimento riuscito, che magari merita di essere ripetuto.
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Sistro: chi era
costui? E che c’entra col Barbiere di Rossini? Bene, lo si incontra per la
prima volta quando l’orchestra attacca la cavatina
d’esordio (Ecco ridente in cielo) di
Lindoro; poi torna corposamente anche nel finale
dell’atto primo (Mi par d’esser con la
testa in un’orrida fucina) e infine accompagna il quintetto dell’atto secondo, a partire dall’imprecazione di Bartolo
(Di rabbia, di sdegno):
Dalla notazione della partitura a
stampa (questa è una riproduzione della Dover,
presumibilmente basata sulla vecchia edizione critica di Zedda del 1969) si
desume essere uno strumento a suono
indeterminato. Strumento pare in uso fin dall’antichità (i soliti egizi…)
probabilmente assimilabile ad una sonagliera, costituita da sbarrette
metalliche con anelli infilati che produceva suono per scuotimento. Ma la cosa
non è così semplice: intanto nelle esecuzioni moderne viene solitamente
impiegato in sua vece il triangolo o magari il glockenspiel; poi nel
manoscritto originale di Rossini la parte è notata in modo apparentemente
strano: in posizioni diverse del rigo (come si trattasse di strumento a suono
determinato) e con le stanghette a volte in alto a volte in basso.
Una quindicina d’anni fa il Maestro Simone Fermani ha compiuto su questo
strumento delle ricerche e sperimentazioni (che ha riassunto in un articolo
comparso nel 2006 sul Bollettino della Fondazione Rossini) arrivando
addirittura a progettare e far costruire un modello di sistro rispondente
(secondo lui) alle esigenze esecutive del compositore:
Come si vede, è un particolare
triangolo sui cui due lati sono infilati degli anelli che, per scuotimento
verticale, producono due suoni diversi: uno acuto e uno grave, corrispondenti
(secondo Fermani) alla notazione rossiniana originale (con stanghetta in alto o
in basso).
Orbene, dopo tutto questo tormentone
vi chiederete: ma per questo Barbiere, che strumento è stato impiegato? Ecco,
una delusione: un normalissimo triangolo (smile!)
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Venendo a più seri argomenti… la
prestazione dei musicisti mi è parsa di livello onorevole (confermando
l’impressione avuta via-etere lo scorso lunedi). Devo dire che al pubblico deve
essere parsa eccezionale, a giudicare dal calore di applausi, anche a scena
aperta, e di bravo! che hanno accolto
indistintamente tutti i protagonisti.
Spendo innanzitutto una parola per il
Coro (maschile) SanCarlo di Pesaro di
Salvatore Francavilla: sarà pure di
natura amatoriale, ma insomma, la sua parte l’ha fatta più che dignitosamente.
Bravi! Poi una particolare menzione per Carmen
Santoro (al fortepiano per i recitativi) e una specialissima per il
chitarrista che accompagnava Lindoro nelle sue esternazioni a Rosina (in buca,
fra le viole, per la serenata e in scena per la canzone), Eugenio Della Chiara: il quale è un pesarese emigrato a Milano
(dove ha studiato chitarra al Conservatorio) che insieme al prof. Reggiani
dell’Università Cattolica collabora con laVerdi
nella stesura dei programmi di sala e partecipando spesso alle conferenze
introduttive ai concerti.
Giacomo
Sagripanti
(che ha diretto senza tenere la partitura sotto il naso) ha pure confermato le
sue buone doti di concertatore, gestendo in modo assai equilibrato le risorse
strumentali e tenendo sempre bene in pugno quelle vocali. L’orchestra ha risposto
discretamente, anche se non sono mancate alcune incertezze qua e là.
Juan
Francisco Gatell,
alle mie orecchie perlomeno, ha confermato ciò che di buono era arrivato
via-radio: vocina piccola ma penetrante e adatta al ruolo.
Chiara
Amarù,
dopo una partenza piuttosto incerta nella sua famosa cavatina, è stata
un’apprezzabile Rosina, encomiabile anche sotto l’aspetto della… ricerca dei
virtuosismi dove l’interprete (in opere come queste, mica certo in Wagner!) ha
il diritto-dovere di prendere qualche iniziativa: peraltro non sempre le sue
soluzioni mi hanno convinto, dal punto di vista, diciamo così, dell’estetica
musicale.
Il Figaro di Florian Sempey continua a non convincermi appieno: come gigione è
un gigante, come baritono… beh, dico che deve mangiar polenta ancora parecchio
(smile!)
Alex
Esposito
è anche lui un Basilio scenicamente efficace, mentre lascia un pochino a
desiderare nel canto; forse per evitare i FA acuti si pratica lo sconto di un
tono intero sulla sua famosa aria: cantandola in DO anziché in RE (sulle parti
degli orchestrali c’è una vistosa quanto inequivocabile freccia orientata verso
il basso). La truffa, per così dire,
non è certo una sua invenzione (ha illustri precedenti nella tradizione) e vede
come complice Don Bartolo che, nel recitativo che precede immediatamente La calunnia, dopo il LA con cui Basilio
ha chiuso la frase noi lo farem sloggiar da queste mura, invece
di rispondere (E
voi credete?) partendo dal SOL#, lo fa partendo dal FA#:
Da qui in poi le restanti 10 battute
del recitativo sono abbassate di un tono, il che prepara il DO dell’aria che
segue, al termine della quale Basilio riprende, senza dar troppo nell’orecchio,
dal LA del successivo recitativo (Ah che ne dite).
E a proposito di Bartolo,
soddisfacente per me la prestazione di Paolo
Bordogna, che ha coniugato la robustezza della voce con la velocità folle
degli scioglilingua che caratterizzano la sua aria principale (A un dottor
della mia sorte) riuscendo a non… incespicare né a mangiarsi troppe
note.
Felicia
Bongiovanni
ha onorato il ruolo di Berta spiccando nei concertati e proponendo
dignitosamente la sua aria del vecchiotto.
Onesta la prestazione di Andrea Vincenzo
Bonsignore (Fiorello e Ufficiale).
Il maggiordomo Ambrogio era Alberto Pancrazi, che ha occupato la scena con la sua presenza... ingombrante (smile!) ma sempre impeccabile, pur senza mai cantare una sillaba.
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Alla fine, come detto, trionfo per
tutti.
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