Interessante e impegnativo programma alla stagione dell'OrchestraVerdi, con pezzo forte la sinfonia Turangalila di Olivier Messiaen.
C'è anche un'insolita anteprima, chissà se e come legata alla presenza sul podio del basco Juanjo Mena e a festeggiamenti con cui il Consolato di Spagna a Milano celebra l'attuale turno di presidenza spagnola della UE: la città di Bilbao (presente il sindaco) si fa un po' di pubblicità, con la proiezione di un filmato che mostra le magnifiche sorti e progressive della famosa città del Paese Basco, passata in 30 anni da una profondissima depressione all'attuale prosperità. E fin qui, tutto bene. Peccato che il festeggiamento comporti anche l'esecuzione di una ouverture di uno sconosciuto musicista di Bilbao, Juan Crisóstomo de Arriaga (primi dell'800) una cosa a metà fra Paisiello e Rossini. Nulla di peggio da ascoltare subito prima di Preludio+Liebestod dal Tristano di Wagner. È come bere un bicchierone di vecchia spuma prima di un calice di amarone. Nobbuono.
E forse ciò è funesto anche sulla concentrazione dell'orchestra, che è tutt'altro che perfetta in Wagner, colpa anche di Mena, sicuramente: tempi piuttosto slentati, poco o nulla del pathos che caratterizza queste pagine, qualche evidente imprecisione negli attacchi. Inoltre – e qui nessuna colpa per maestro e orchestrali - l'esecuzione puramente strumentale del finale del dramma lascia sempre il sapore di un manicaretto che il cuoco abbia cucinato dimenticando un ingrediente fondamentale; che so, come mangiare una bagnacauda senza acciughe, o i tortelli di zucca senza… la zucca o addentare un panino al salame, cui qualcuno ha sottratto il salame. Nella Liebestod la voce ha una sua propria linea melodica autonoma, che l'orchestra sostiene e richiama, ma che mai raddoppia alla lettera. Quindi se si esegue il brano senza la voce, davvero non ci si raccapezza, si sente solo l'accompagnamento che, per quanto sia grande musica, è appunto solo un accompagnamento. Non ho mai capito perché Wagner per primo o qualche musicista avveduto non abbia pensato di far cantare, al posto della soprano, che so, una viola o un flauto, per darci almeno l'idea vaga di cosa sia il brano originale. Tanto per fare un esempio, quando una soprano esegue in concerto Sempre libera dalla Traviata e non si vuole scomodare un tenore solo per fargli cantare i versi fuori scena (sono poche parole, ma straordinariamente efficaci) lo si sostituisce con il canto di un violoncello, per non farci perdere quel bellissimo effetto. Pazienza, anche stavolta restiamo con un certo amaro in bocca, e buonanotte.
Nell'intervallo i simpatici ospiti baschi si fanno perdonare Arriaga, offrendo un assaggio del loro pregevole rosso della Rioja Alavesa.
Così ristorati, ci possiamo apprestare all'impresa – titanica invero – di ascoltare il clou della serata: Turangalila di Olivier Messiaen, questa strana e spuria sinfonia in dieci movimenti. In realtà una cosa che ha tratti del concerto per piano e onde martenot (complimenti ai solisti: il giovane Simone Pedroni e la veterana Valerie Hartmann-Claverie) o della cantata (senza voci); altri del poema sinfonico, altri ancora delle variazioni su alcuni temi, o addirittura di una messa sacro-profana, insomma un UMO (oggetto musicale non meglio identificato).
Messiaen ci ha raccontato assai dettagliatamente contenuti e tecnica costruttiva di questo monumentale inno all'amore (che non per nulla si ispira al Tristan): ma come sempre, se e quando una musica ha bisogno di troppe spiegazioni tecniche, è perché da sola fatica a far vibrare le corde interne dell'ascoltatore. Così in sala la prendono per la Leb'wohl di Haydn, nel senso che - ad ogni pausa - c'è gente che si alza e se ne va, alla spicciolata. Al termine del 5° movimento, che chiude con il fracasso di tutta l'orchestra in fortissimo, molti pensano sia finita, e qualcuno comincia ad applaudire. Ma siamo solo a metà! Lenny Bernstein (che diresse la prima del 1949 con la Boston Symphony) faceva a questo punto un intervallo in piena regola, come dargli torto!
Chi è stoicamente rimasto fino alla fine (erano ormai le 23!) ha comunque tributato il giusto riconoscimento a professori, solisti e maestro per l'abnegazione mostrata.
Il prossimo appuntamento prevede "la Patetica" introdotta proprio da Bernstein.
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