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consulta e zecche rosse

24 marzo, 2010

Mehta in concerto (fra un Tannhäuser e l’altro)

Zubin Mehta affianca alle rappresentazioni di Tannhäuser un paio di concerti alla Scala, con un programma tutto francese.

Apertura con Olivier Messiaen e il suo Et expecto resurrectionem mortuorum. Siamo nel 1964, e il francese – peraltro commissionato a scrivere quest'opera - torna ai temi religiosi che gli erano stati così cari in giovinezza, e che poi aveva abbandonato per darsi all'ornitologìa! Ma gli uccelli (meglio, i loro imitati suoni) non mancano nemmeno qui. In assenza di testo (le parole restano solo nei sottotitoli dei 5 brani) è davvero difficile associare a questa musica un alcunché di mistico; la composizione poteva benissimo intitolarsi più asetticamente Cinque pezzi per fiati e percussioni, o qualcosa di simile, senza che nulla cambi nella percezione dell'ascoltatore.

Quindi - come per molta musica a programma, beninteso - sono i titoli a guidare la nostra immaginazione per cercare – ma è dura! - di rendere la musica congruente ad essi, non certo il viceversa! Si comincia con Des profondeurs de l'abîme, je crie vers toi, Seigneur : Seigneur, écoute ma voix! dove le profondità sono interpretate da tube e tromboni, con pesantissimi accordi che richiamano piuttosto il lento muoversi di pachidermi o ippopotami; il grido è una serie di dissonanze acute, che nessun Signore potrebbe mai apprezzare! Segue poi Le Christ, ressuscité des morts, ne meurt plus; la mort n'a plus sur lui d'empire. Un movimento lento, suonato in prevalenza dagli strumentini e con interventi di campanacci e poi di trombe stridenti, che con la Resurrezione, come uno se l'immagina, ha veramente poco a che vedere! Nel terzo brano - L'heure vient où les morts entendront la voix du Fils de Dieu... - appare l'uccello amazzonico (Uirapuru) una reminiscenza dell'incipit del movimento finale della mahleriana Resurrezione, dove sentiamo usignoli in lontananza. Poi campane, fremiti di tam-tam, trombette dissonanti e ritorno di tromboni e tube (la voce del Figlio di Dio?) Quindi segue Ils ressusciteront, glorieux, avec un nom nouveau - dans le concert joyeux des étoiles et les acclamations des fils du ciel. Tam-tam (di tre diversi calibri) gong e campanacci da vacche la fanno da padroni, con intermezzi di strumentini e trombette stridenti, con chiusa in fortissimo, che più che la voce dei figli del cielo sembra lo strepito di qualche suino sottoposto a sevizie, altro che concerto di stelle! Qui qualcuno comincia forse ad infastidirsi e applaude… sperando che sia finita. Invece c'è ancora Et j'entendis la voix d'une foule immense... dove udiamo sonorità (scimmiottate) da Gral, con campane e gong a profusione. Insomma, a mio modo di sentire, un pezzo velleitario e francamente insincero, per non dire insulso.

In ogni caso, Mehta (partitura sul leggio, fatto portare via per i successivi due pezzi) e i professori lo eseguono con la massima concentrazione, e si meritano un giusto applauso.

Dopo il laborioso trambusto per smobilitare l'ipertrofico armamentario percussivo di Messiaen e far posto agli archi (disposizione all'antica, con violini secondi sul davanti, a destra) passiamo a cose francamente più serie, con Debussy e Ravel.

La Mèr è un'opera straordinaria, anch'essa musica a programma, dove le note cercano di calzare con il soggetto, non sempre riuscendovi alla perfezione. Ma insomma, la classe non è acqua (smile!)










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Bravissimo Mehta a cavar fuori le delicate e impressioniste sonorità del grande Claude.

Chiude Ravel con Daphnis et Chloé (precisamente la seconda Suite). Che viene aperta da questo incredibile virtuosismo dei flauti:

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ripreso alla battuta successiva dai clarinetti; e sottolineato poi dalle due arpe (a turno), prima che anche la celesta ci metta lo zampino. La didascalìa ci informa: nessun rumore al di fuori dei rigagnoli formati dalla rugiada che sgocciola dalle rocce. Ecco, anche questo è un capolavoro! Travolgente poi la danza finale, col suo tempo zoppo di 5/4 (3+2) che poi sfocia in 3/4 e ancora in 2/4 per la chiusa in fortissimo.

Trionfo per Mehta e per l'Orchestra, strumentini su tutti. Il Maestro torna più volte, stringe la mano alle prime parti degli archi, alla fine unisce le mani davanti alla fronte, proprio all'indiana, e poi appoggia la destra sul cuore, per ricambiare autentiche ovazioni. Si vede che è proprio una persona serena e felice!

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Devo dire che ho un grande rispetto per Messiaen, e che molte sue composizioni sono davvero belle. Il suo limite mi pare questo: che è poco comunicativo, e che forse va ricordato (Messiaen di sicuro lo sapeva, forse è questa la chiave per capirlo) che il canto degli uccelli non ha molto a che vedere con la musica come la intendiamo noi umani.
Una bella definizione che devo a Messiaen (vado a memoria) è che gli uccelli cantano il gregoriano: nel senso del canto e della risposta.

Sulla musica sacra che si capisce che è sacra solo dal titolo, ci sarebbe da scrivere un trattato! (e forse lo hai già fatto, a partire dallo Stabat Mater di Rossini, musica magnifica ma che con il dolore della Madonna sotto la Croce non c'entra proprio niente...)

daland ha detto...

@Giuliano
Devo confessarti che era la prima volta in vita mia che ascoltavo (dal vivo, s'intende) quest'opera di Messiaen. Se è accaduto, è perchè nessuno mai la esegue! E questo - ammetterai - vorrà pur dir qualcosa. Non ho nulla di personale contro il compositore, anzi. Ma in questo caso credo che lui abbia abusato della considerazione che spinse Malraux a commissionargli quest'opera. Che è di quelle che personalmente - Alex Ross permettendo - io catalogo fra il "noise".