Ancora un grande programma per laVerdi, in un affollatissimo Auditorium.
Il trentaseienne lionese di belle speranze Ludovic Morlot attacca la verdiana sinfonia da La forza del destino, con quei sei poderosi MI raddoppiati all'ottava, suonati da tutti gli ottoni (con tuba a sostituire il cimbasso, as usual) e dai fagotti.
Quando ascolto il tema di Leonora (Madre, pietosa vergine) non posso fare a meno di richiamare alla mente Wagner (Tristan, Atto I) e l'esternazione di Isolde:
Sarà pura coincidenza (in fondo abbiamo 12 note e le loro combinazioni possono ripetersi casualmente, e poi Wagner parte dalla sottodominante) e forse, nel 1862, Verdi ancora non aveva dato una scorsa alla partitura del Tristan, di cui si racconta che rimarrà poi meravigliato ed atterrito. Ma fra i due sommi autori non sono pochi i punti di contatto, pur dovendosi escludere esplicite citazioni.
Ecco ora il Concerto per Orchestra di Béla Bartók. Opera davvero affascinante di questo grande del novecento, che ha creato un pezzo per solisti dentro l'orchestra, forse per solleticare l'amor proprio dei professori della Boston Symphony, di fatto dedicatari e primi esecutori del pezzo, col loro Direttore e commissionante Serge Koussevitzky.
A volte contiene trovate francamente bizzarre, come le tre battute della seconda arpa, verso la fine dell'Introduzione, così notate:
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E dove all'esecutore è richiesto l'impiego di un mezzo ligneo o metallico con cui strofinare le corde. In questa ripresa di Pappano con la S.Cecilia si può vedere il particolare a 9'22" del filmato.
A dispetto dell'epoca moderna della composizione (1943) il concerto non ha mancato di creare equivoci e problemi di interpretazione (anche perché il suo autore scomparve pochi mesi dopo la creazione). Il principale riguarda il metronomo del secondo movimento (sottotitolato Giuoco delle coppie, o forse Presentando le coppie, dove compaiono appunto le cinque coppie di strumenti a fiato che presentano i rispettivi temi): sull'edizione stampata in origine, e impiegata per parecchio tempo da tutti i direttori, compariva il metronomo di 74 semiminime (il tempo è 2/4) e l'indicazione Allegretto scherzando. Poi fu Georg Solti a scoprire, quasi casualmente, che il manoscritto originale recava indicazioni diverse: Allegro scherzando e, soprattutto, metronomo di 94 semiminime! Una bella differenza, il 30% più veloce! Direi che Morlot si sia senz'altro attenuto all'edizione aggiornata (1997) di Boosey&Hawkes (Pappano è un poco più lento – 86 - come anche Boulez, con la Chicago Symphony).
A proposito di prestazioni solistiche dei vari strumenti, nell'Intermezzo interrotto c'è il famoso tema (calmo) presentato inizialmente dalle viole (sempre Pappano, qui a 5'29") che il timpano deve accompagnare percorrendo praticamente tutta la scala cromatica: SOL-DO-FA-SIb-MIb-LAb-DO-FA-MIb-REb-MI-RE#-SOL#-LA-RE-SOL:
Un'impresa non proprio facile, poiché il timpano non è certo un pianoforte, né un violino! Inutile dire che la bravissima Viviana Mologni lo ha eseguito in modo impeccabile, muovendo evidentemente alla perfezione anche i piedi, oltre che le braccia.
Nel Finale ascoltiamo un tema che richiama da vicino una rumba, El Cumbanchero, che il portoricano Rafael Hernandez Marìn aveva lanciato proprio nel 1943 e che faceva furore fra gli ispanici, e non solo, di New York, dove nacque il Concerto:
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Qui lo si sente esposto per primo dalla tromba, a 3'12" del filmato (sempre Pappano).
Meritatissimi applausi all'Orchestra, anzi ai singoli Professori, ma anche al maestro Morlot, che ha mostrato di avere grande dimestichezza con quest'opera assai difficile.
Dopo la pausa, ecco la Quinta di Beethoven, sesta in ordine di esecuzione stagionale dell'integrale, che si completerà fra fine maggio e primi di giugno (con prima, quarta e terza, tutte dirette da Xian Zhang).
Qui magari chi ha nelle orecchie Karajan o Kleiber o Abbado con orchestre come i Berliner, o i Wiener, sarà portato a fare confronti ingenerosi… ma oggi di grandi alternative ai CD di quei mostri non ce ne sono in giro poi molte, e una cosa è certa: Morlot e laVerdi non ci hanno fatto rimpiangere di non essercene rimasti a casa con le cuffie in testa!
Morlot la fa proprio lunga, eseguendo non solo il ritornello dell'iniziale Allegro con brio (cosa più che legittima e normale) ma anche quello del Finale (cosa invece assai discutibile, chè appesantisce inutilmente la narrativa di questo capolavoro). Comunque il pubblico gli tributa alla fine un gran trionfo, che il Maestro giustamente condivide con gli orchestrali, chiamati ad alzarsi quasi uno ad uno.
La prossima settimana torna all'Auditorium il venerabile Rudolf Barshai.
2 commenti:
Questa del Tristano non la sapevo, ma è bello cogliere queste somiglianze, il più delle volte involontarie.
La musica la leggo a malapena (o meglio, la leggevo...), però in anni ormai lontani avevo fatto tutto il Czerny e gli esercizi "per le dita" del Longo: c'è più musica lì dentro che in cinquant'anni di Festival di Sanremo (e dintorni).
Tutto questo per dire che i grandi potevano anche scrivere per caso motivi simili, ma nella musica leggera di somiglianze fortuite non ne esistono: si copia a man bassa.
Alla gente piace, perché è sempre la stessa canzone ma non se ne accorge nessuno...
Un po' fuori testo, mi scuso: ma quando penso che c'è gente che prende i diritti d'autore per quattro note sui tasti bianchi!
Mah, beati loro.
@Giuliano
guarda, il mio è un accostamento del tutto superficiale, arbitrario e anche strampalato.
Ma mi è venuto così irresistibimente in testa moltissimi anni fa quando, conoscendo la Forza ma non (ancora) il Tristan, ascoltando quest'ultimo fui colpito da questa vaga rassomiglianza.
Sì, una delle differenze fra la musica cosiddetta "colta" e quella cosiddetta "leggera" è che per la prima si parla di "citazioni" o di "reminiscenze". La seconda è più spocchiosa: te lo immagini Marco Mengoni proporre una canzone basata su "reminiscenze da Pierdavide Carone"?
Ps: sono appena reduce da un bel Grimes al Regio di Torino.
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