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11 giugno, 2014

La… Herlitzius di Strauss alla Scala

 

Ieri la Scala – in un teatro non propriamente esaurito - ha ospitato l’ultima recita di Elektra, accolta in precedenza da consensi praticamente unanimi, sia per la prestazione musicale di Salonen&C che per la messinscena del compianto Patrice Chéreau.


Devo dire del tutto serenamente che – a giudicare da quest’ultima recita – lo spettacolo è stato salvato quasi esclusivamente dalla Evelyn Herlitzius e – solo in parte – da Salonen. Per il resto siamo in una risicata sufficienza (la Pieczonka, discreta nell’ottava alta ma deficitaria sotto) o addirittura in una desolante nullità (spiace che tocchi alla grande Waltraud Meier, ma quando dal loggione non si riesce a sentire distintamente una sola sillaba di ciò che canta… è detto tutto). Si aggiunga a tutto ciò che il povero Pape è stato in pratica costretto a cantare con mezza voce (e se ne è scusato con eloquenti gesti alla chiamata singola) e il quadro è completo. Tutti gli altri interpreti su un piano di dignitosa routine.

Salonen da parte sua ha fatto suonare assai bene l’orchestra scaligera, però come se in programma ci fosse la… Alpensinfonie! E così le voci (Herlitzius esclusa) già poco o tanto deficitarie di loro, sono state spesso e volentieri coperte dai suoni provenienti dalla buca.

Invece è proprio la straordinaria prestazione della Herlitzius che mi dà lo spunto per sollevare il problema (annoso nella fattispecie) dei tagli che vengono tradizionalmente apportati a questa partitura e che - almeno una volta tanto, quando si dispone come qui del miglior interprete sul mercato - avrebbero potuto essere riaperti, consegnando al pubblico l’opera nella sua splendida interezza. Peccato che così non sia stato: una bella occasione perduta.

In questa produzione ne sono stati praticati cinque (diciamo: statisticamente nella media dei vari allestimenti e incisioni). In termini di durata siamo attorno ai 6-7 minuti, poca roba, che di per sé non giustificherebbe di certo l’operazione. Essendo quasi tutti però sulla parte della protagonista, è comune supposizione che siano fatti per… risparmiarle la voce: spiegazione abbastanza di comodo, direi; e che - fossi nella strepitosa Evelyn - tenderei a respingere decisamente.

Certo, per chi conosce poco il testo e meno ancora sa cavarsela con il tedesco, possono sembrare tagli innocui (se non addirittura… benefici!) ma in realtà innocui non sono proprio per nulla. E che lo stesso Strauss ai suoi tempi li avesse magari tollerati non è un buon motivo per continuare a perpetrarli, specie in produzioni che si vogliono e si definiscono epocali. Purtroppo si tratta di mutilazioni che, piccolo o grande, qualche danno lo fanno: alla musica, privandoci del ritorno di molti dei temi dell’opera, ed anche alla drammaturgia, nascondendoci alcuni interessanti squarci sulla personalità di Elektra. Vediamoli in dettaglio (testi in italiano, traduzione di Franco Serpa per la Scala, con le parti tagliate evidenziate in giallo). Ho indicato i tempi con riferimento ad una delle (due sole?) incisioni complete disponibili sul mercato (Solti/Nilsson).

1. Scontro Elektra-Klytämnestra: dal #240 a #255 della partitura, per un totale di 94 battute (circa 2’10”). È sicuramente il più pernicioso, in quanto devasta letteralmente uno dei momenti topici del dramma, quello in cui Elektra, che ha convinto la madre della necessità di un sacrificio umano (una donna) per esorcizzare i suoi incubi notturni, le annuncia che la vittima sarà proprio lei stessa.

Elettra (balza dal buio verso Clitennestra, sempre più le si accosta facendosi sempre più terrificante)
Quale sangue? Il sangue del tuo collo,
quando t’abbia agguantato il cacciatore!
Sento che corre per le stanze, sento
che alza la tenda del letto: chi scanna
la vittima nel sonno? Egli ti stana,
scappi gridando, e sempre ti è alle spalle:
ti incalza per la casa! Fuggi a destra,
c’è il letto! A sinistra, il bagno fuma
sangue! Dal buio e dalle torce cade
su te rete mortale nero-rossa –
(Clitennestra, sconvolta da muto orrore, vuole rientrare. Afferrandola per la veste, Elettra la trascina in avanti. Clitennestra arretra verso il muro. Ha gli occhi sbarrati, dalle mani tremanti le cade il bastone.)
Giù per le scale lungo i corridoi,
va di portico in portico la caccia –
ed io! io! io che l’ho lanciata,
io sono come un cane sui tuoi passi,
cerchi una tana, addosso mi ti avvento
da un lato, così ancora ti incalziamo –
fino a un muro e lì tutto si chiude,
pur nel profondo buio io lo vedo,
un’ombra, poi le membra e del suo occhio
il bianco vedo, là ci attende il padre:
nulla osserva, ma tutto deve compiersi:
presso i suoi piedi noi ti costringiamo –
Vorresti urlare, ma l’aria ti strozza
l’urlo incompiuto e l’abbandona a terra
giù senza suono. Come ossessa il collo
offri nudato, senti nella sede
della vita vibrare il taglio, invece
egli il colpo trattiene: non è il rito
perfetto. Nel silenzio ascolti il cuore
in petto martellarti: quel momento
– ti si stende davanti come un fosco
golfo di anni. – Il momento ti è dato
per provare quel che il naufrago sente,
quando si perde l’urlo tra le nubi
di caligine e morte, quel momento
ti è dato perché tu possa invidiare
ogni inchiodato al muro della cella,
chi dal fondo di un pozzo invoca morte
come salvezza – perché tu a te stessa,
tu sei tanto inchiodata, come fossi
nel ventre arroventato di una bestia
di bronzo – e come ora non hai grido!
Qui sto io davanti a te, con l’occhio fisso leggi
la tremenda parola che sul volto m’è impressa:
pende dal cappio che tu stessa hai teso,
l’anima, scende l’ascia sibilando,
ed io ci sono e finalmente vedo
la tua morte! Finiscono i tuoi sogni,
né io sognerò più, e chi ancora è vivo
trionfa e della vita può bearsi!

Come si può constatare, il taglio ci priva del racconto dei macabri particolari dell’autentica caccia-alla-donna di cui la regina sarà vittima (secondo le allucinate visioni della figlia) e delle terrificanti pressioni psicologiche prima ancora che delle ferite materiali cui verrà sottoposta.

Soprattutto non ci chiarisce fino in fondo chi dovrebbero essere i giustizieri della regina: il testo mutilato infatti lascia in campo soltanto Elektra e il cacciatore (Orest, come si deduce dal contesto e dai suoi temi musicali) ma non permette di riconoscervi (anche a mezzo della musica!) lo spettro di Agamemnon.

E appunto la musica che si perde è tutt’altro che puro riempitivo: è un drammatico declamato della protagonista, accompagnato da almeno una dozzina di Leit-motive dell’Opera, che come sempre ci chiariscono ciò che nemmeno le parole possono spiegare.  

2. Confronto Elektra-Chrysothemis: sono precisamente tre tagli, a breve distanza uno dall’altro, alla scena in cui – dato per morto Orest - Elektra cerca in tutti i modi di convincere la sorella ad essere sua complice nella vendetta.   

a) da #59a a #68a della partitura, per un totale di 72 battute (circa 1’).

Elettra
Tu! Tu!
Sei forte!
(attaccata a lei)
Sei così forte! T’hanno
fatto robusta le virginee notti.
In ogni membro hai forza!
I tuoi tendini sono di un puledro,
agili sono i piedi.
Come agili e flessuosi –
senza sforzo li abbraccio –
sono i tuoi fianchi!
Nei pertugi ti insinui, tu sai sollevarti
per le finestre! Ch’io ti senta le braccia:
come sono fresche e forti! Se mi respingi,
sento che braccia sono queste. Ciò che stringi
a te, tu potresti schiacciarlo. Tu potresti
soffocare me o un uomo tra le tue braccia.
C’è forza in ogni membro!
Erompe come un freddo
sotterraneo torrente dalla roccia. Scorre
nell’onda dei capelli sulle salde spalle.
Sento dalla freschezza della pelle
il calore del sangue, con la guancia
sfioro il tenue velluto delle braccia!
Sei solo forza e sei bella,
sei un frutto nei giorni del raccolto.
Crisotemide
Lasciami!

b) da #89a a #102a della partitura, per un totale di 120 battute (circa 1’45”).

Crisotemide (chiude gli occhi)
No, sorella.
Non dire queste cose in casa nostra.
Elettra
Oh sì! Più che sorella io ti sono
da questo giorno in poi: io t’ubbidisco
come una schiava. Quando avrai le doglie,
presso al tuo letto resto giorno e notte,
scaccio le mosche, attingo l’acqua fresca,
e quando a un tratto una creatura viva
sul nudo grembo sta, nostro sgomento,
in alto la sollevo, così in alto
che il suo sorriso giù fino al profondo
segreto abisso del tuo cuore scenda
e lì per questa luce il freddo orrore,
l’ultimo, si discioglie e in chiare stille
puoi sfogare il tuo pianto.
Crisotemide
Andiamo via!
In questa casa muoio!
Elettra (ai suoi ginocchi)
Bello hai il labbro,
quando si schiude all’ira! Dalla bocca
pura, forte, tremendo un grido certo
risplende, tremendo come il grido
della dea della morte, se ai tuoi piedi
si giace come io ora.
Crisotemide
Di che parli?
Elettra (si alza)
Prima che me tu lasci
e questa casa, devi farlo!
Crisotemide (vuole parlare)
Elettra (le chiude la bocca)
Altra
strada non c’è che questa. Non ti lascio,
se prima bocca a bocca non mi giuri
che lo farai.

c) da #104a a #108a della partitura, per un totale di 36 battute (circa 30”).

Crisotemide (si divincola)
Lasciami stare!
Elettra (la riafferra)
Giura,
verrai stanotte ai piedi della scala,
quando è silenzio tutto!
Crisotemide
Lascia!
Elettra (la tiene per l’abito)
Donna,
non rifiutarti! Il corpo tuo di sangue
non macchierai: dall’abito imbrattato
nelle vesti nuziali intatta entri.
Crisotemide
Lasciami!
Elettra (sempre più incalzante)
Non esser vile! Se ora
il tuo brivido vinci, avrai compenso
di brividi d’amore notti e notti –
Crisotemide
Non posso!
Elettra
Sì, verrai!
Crisotemide
Non posso!
Elettra
Guarda,
giaccio davanti a te, ti bacio i piedi!
Crisotemide
Non posso!
(Scappa dentro la porta della casa.)
Elettra (le urla dietro)
Maledetta!

Questi tre tagli sul piano strettamente musicale ci privano di alcuni splendidi passaggi, e al contempo mutilano non poco l’evocazione della morbosa, quanto interessata, attitudine di Elektra verso la sorella minore: ci troviamo ammirazione quasi erotica, perfida adulazione e promesse di felicità e di aiuto, in cambio della complicità nell’uccisione di madre e concubino. Insomma, tutte caratteristiche salienti della complessa personalità della protagonista che questa amputazione fa abbastanza sfumare, se non proprio scomparire. Fra l’altro, sul piano drammatico, la stessa imprecazione finale di Elektra finisce per diventare affrettata e meno giustificata, in assenza di tutto quel crescendo di pressione cui invano la sorella era stata sottoposta.

3. Incontro Elektra-Orest: da 7 battute dopo #166a a #171a, per un totale di 33 battute (circa 1’5”).

Elettra (con un grido)
Oreste!
(pianissimo, tremante)
Oreste! Oreste! Oreste!
Non si muove nessuno! Gli occhi tuoi
lascia ch’io guardi, sogno, visione
a me donata, più bella dei sogni!
. . .
Vedi, fratello? Tutto ciò che ero,
io l’ho sacrificato. Il mio pudore
l’ho offerto, il pudore che è più dolce
di tutto, che come un velo lunare
di argenteo chiarore cinge ogni donna
e lei difende e l’anima sua
da ogni vergogna. Vedi, fratello?
Donare al padre ho dovuto la dolce
trepidazione. Non credi che quando
gioivo del mio corpo, non salivano
i suoi sospiri, non saliva il gemito
fino al mio letto?
(con mestizia)
Sì, sono gelosi
i morti: ed egli mi ha mandato l’odio,
l’odio dagli occhi vuoti, come sposo.
Così mi sono fatta profetessa
e da me, dal mio corpo nulla ho tratto,
nulla se non imprecazioni e angoscia!
Perché mi fissi spaventato? Parla!
Parlami dunque! Tremi in tutto il corpo?

Qui perdiamo invece un particolare importante del morboso e ambiguo rapporto di Elektra col padre, che spiega i disturbi psicotici della donna (che erano studiati dalla psicanalisi proprio negli anni della composizione dell’opera) e soprattutto l’immanente presenza (sia pure soltanto in… musica!) di Agamemnon in ogni angolo dell’opera. E lo stesso regista - alla fine delle sue note apparse sul programma di sala - cita il passaggio tagliato (e con apparente rammarico!) proprio per sottolinearne la valenza psicologica.
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Ciò mi dà lo spunto per qualche considerazione sulla regìa. Della professionalità e delle indiscusse capacità di Chéreau di creare emozioni non è certo il caso di discutere. È invece lecito avanzare qualche dubbio su certe sue, diciamo, trovate, che paiono della serie famola strana.

Allora: il sangue. Chéreau, già prima che incominci la musica, ne fa sparire anche le ultime labili tracce, sparse in giro su scale e cortile, mostrandoci le serve che le cospargono di sabbia. Nessuno pretende di vedere (come è capitato altre volte) scene raccapriccianti con docce di sangue sul palcoscenico, e del resto basta leggere il libretto per constatare come di sangue soltanto si parli, ma non lo si veda giammai. Ecco che invece il regista decide di mostrarci i due omicidi (di cui nel libretto abbiamo soltanto notizia da urla strazianti di Klytämnestra ed Aegisth provenienti dall’interno del palazzo) in primo piano: col cadavere della regina trascinato all’aperto da Orest e poi con il truce, disgustoso e verista accoltellamento dell’usurpatore da parte del precettore (?) del medesimo Orest. Davvero non è un bel servizio fatto alla coppia Hofmannsthal-Strauss!

Che dire della scure (quella con cui fu assassinato Agamemnon) che Elektra ha gelosamente conservato - come ha rivelato alla sorella - seppellendola vicino ad una delle porte della reggia? Il relativo Leit-motiv si ode nientemeno che all’undicesima battuta della partitura, però come per il sangue, anche della scure sentiamo soltanto parlare a più riprese da Elektra ma mai la vediamo. Nemmeno allorquando lei cerca di disseppellirla (allo scopo di usarla personalmente contro madre e concubino) dopo il rifiuto della sorella a farsi complice della vendetta e si mette furiosamente a scavare proprio mentre arriva Orest. Distratta dall’intrusione del (non ancora agnito) fratello, lei dimentica l’ascia e se ne ricorda quando è troppo tardi (Ich habe ihm das Beil nicht geben können!Invece Chéreau, in un impeto didascalico, ci mostra Elektra che recupera la scure, la libera dalle bende in cui era avvolta in modo che tutti la possano chiaramente vedere, e però subito la rinasconde (mah…)

Un’altra gratuita libertà che Chéreau si prende riguarda l’arrivo di Orest presso Elektra: nell’originale ciò avviene solo al termine del confronto fra le due sorelle, chiuso dal disperato Sei verflucht! Nun denn, allein! della protagonista. Invece il regista ci mostra Orest, seduto nella penombra, assistere a pochi metri di distanza a tutto il dialogo fra le sorelle, dal quale dovrebbe a questo punto ed in modo inequivocabile scoprire l’identità di Elektra, il cui nome viene ripetutamente fatto da Chrysothemis. Ma ciò contrasta in pieno con quello che accade subito dopo, quando Orest – come da libretto - mostra di non riconoscere per nulla Elektra!  

Anche il finale lascia perplessi: Orest nell’originale non si vede proprio, ma in compenso Chrysothemis ce ne parla come di un eroe portato in trionfo e letteralmente issato sulle spalle dai suoi fedeli. Chéreau invece lo fa entrare in scena e poi uscire da solo, con atteggiamento disgustato, ignorato da tutti. (?)

Quanto ai singoli personaggi, al di là della maestrìa con cui il regista li fa muovere, mi sentirei di criticare la sua Klytämnestra. Ecco come Hofmannsthal ce la presenta:  La regina è sovraccarica di gemme e talismani. Le braccia sono piene di monili. Le dita sono rigide di anelli. E Strauss letteralmente si supera nell’evocare tutto ciò in musica: il Leit-motif dei talismani magici erompe al #177 della partitura, subito prima dell’esternazione della regina (Ich habe keine guten Nächte). È il flauto, accompagnato dai tintinnii del glockenspiel e dagli accordi arpeggianti delle… arpe (qui si anticipa il Rosenkavalier!) a presentarci l’assurda quanto appariscente bardatura di Klytämnestra. Che però Chéreau minimizza, limitandosi ad una collana da bigiotteria elegante e a diversi anelli, su un abito altrettanto sobrio indossato da una donna dai tratti nobili ed apparentemente equilibrata; ed eliminando il bastone su cui si dovrebbe sorreggere la barcollante e nevrotica regina nell’originale.

Se devo citare invece il  momento più riuscito di tutta la rappresentazione, questo è la scena dell’incontro fra madre e figlia che per un momento – splendidamente sottolineato dalla musica di Strauss – esternano i reciproci sentimenti, e dove Elektra ha l’unico sussulto di amor filiale: perché, come acutamente scrisse uno dei massimi esegeti straussiani, Richard Specht, nel suo saggio sull’opera (1921) l’odio di Elektra (verso la madre) è amore pervertito.
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Peduzzi mi sembra uno che porta sempre lo stesso abbigliamento a Capodanno, Pasqua, Ferragosto e SanMartino: ha al massimo il 50% di probabilità di azzeccarci con la stagione. Così le sue scene vanno bene per questa Elektra, come andarono benissimo per la Casa di morti; ridicole invece furono per Tristan, Carmen e Tosca, per citare solo opere viste qui al Piermarini.

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Allego infine un saggio del sommo Quirino Principe su Strauss (una specie di bigino del ponderoso volume dello stesso Autore) apparso su Musica&Dossier del marzo 1988.


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