Per il penultimo appuntamento della stagione principale torna sul podio Zhang Xian. Che apre la serata (invertendo l’ordine dei due brani
originariamente previsto) con la mozartiana Jupiter.
Che la cinesina prosciuga di note (saltando ogni ritornello, Minuetto escluso) ma arricchisce di sfumature, a volte persino eccessive nella dinamica, come nel centrale Andante. Insomma, un Mozart ristretto, ma come un eccellente brodo con cui aprire la cena.
Che la cinesina prosciuga di note (saltando ogni ritornello, Minuetto escluso) ma arricchisce di sfumature, a volte persino eccessive nella dinamica, come nel centrale Andante. Insomma, un Mozart ristretto, ma come un eccellente brodo con cui aprire la cena.
Il cui piatto forte
è la Quinta
di Shostakovich. Opera emblematica
dell’indecifrabilità dei comportamenti del suo autore, da sempre oggetto di
contrastanti giudizi sul piano umano e su quello artistico. Il sottotitolo di
un recente, acuto e già controverso libro di Piero Rattalino recita: Continuità nella musica, responsabilità nella tirannide.
Insomma, Shostakovich dissidente dentro e connivente fuori? Prima nel mirino di
Stalin-Zdanov e poi apologeta del regime a New York? Artista sovietico contrito, che ritira la Quarta sinfonia (che nessuno aveva ancora ascoltato!) temendo di
finire in un Gulag (come minimo…) per comporre in fretta e furia la Quinta, in risposta alle giuste critiche del regime alla sua Lady? O artista libero dentro, che si piegava apparentemente alla brutalità del
regime mentre in realtà lo metteva alla berlina usando le sue stesse armi?
Ecco, la Quinta – se la giudichiamo da una
prospettiva extra-musicale – è proprio lo specchio di questa ambiguità. Così
Shostakovich la descriveva in una sua esternazione pubblica: II soggetto della mia Sinfonia è il
divenire, è la realizzazione dell'uomo. Perché è lui, l'individuo umano con
tutte le sue emozioni e le sue tragedie che io ho posto al centro della
composizione (…) Il mio nuovo lavoro può esser definito una sinfonia
liricoeroica. La sua idea principale si fonda sulle esperienze emozionali
dell'uomo e sull'ottimismo che vince ogni cosa.
Insomma, se
non è il sol dell’avvenir, poco ci
manca! Ma ecco cosa ne diceva poi in privato: Ritengo sia chiaro a tutti quel che "accade" nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di
costrizione, esattamente come nel Boris
Godunov. È
come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: "II
tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare" e tu ti rialzi
con le ossa rotte, tremando, e riprendi a marciare, bofonchiando: "II
nostro dovere è di giubilare". Si può dunque definirla un'apoteosi quella
della Quinta? Bisogna esser completamente sordi per
crederlo.
Ergo: ma quale sol dell’avvenir! Qui
siamo al mangiar la minestra per non
saltar dalla finestra…
E il colmo è che doveva
essere proprio la Quarta, nelle
intenzioni dell’autore, a rappresentare la nuova arte sovietica! Mentre se ascoltiamo
la Quinta senza troppi pregiudizi e
incrostazioni extra-musicali, magari scopriamo che è una degnissima sinfonia
di… Mahler! Soltanto arrivata con 30
anni di ritardo.
C’è qualcosa che non va?
Forse che Strauss non continuò a scrivere musica ottocentesca ben oltre lo
Shostakovich del 1937? E allora possiamo anche godercela in santa pace, questa
sinfonia, dimenticando che era piaciuta anche a… Stalin! Soprattutto se i
ragazzi de laVerdi ce la propongono,
per tramite della Xian, con
eccezionale efficacia. Meritato quindi il grande successo di pubblico, con
applausi ritmati e prime parti chiamate ad alzate singole, con particolari
ovazioni per il Konzertmeister
Dellingshausen e i fiati, ottoni in testa, che nel finale – insieme alle terrificanti
bordate della Viviana, tanto brava quanto
pettoruta - han messo a dura prova la resistenza
delle robuste strutture dell’Auditorium.
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