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07 giugno, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°37

  

Per il penultimo appuntamento della stagione principale torna sul podio Zhang Xian. Che apre la serata (invertendo l’ordine dei due brani originariamente previsto) con la mozartiana Jupiter.

Che la cinesina prosciuga di note (saltando ogni ritornello, Minuetto escluso) ma arricchisce di sfumature, a volte persino eccessive nella dinamica, come nel centrale Andante. Insomma, un Mozart ristretto, ma come un eccellente brodo con cui aprire la cena.

Il cui piatto forte è la Quinta di Shostakovich. Opera emblematica dell’indecifrabilità dei comportamenti del suo autore, da sempre oggetto di contrastanti giudizi sul piano umano e su quello artistico. Il sottotitolo di un recente, acuto e già controverso libro di Piero Rattalino recita: Continuità nella musica, responsabilità nella tirannide. Insomma, Shostakovich dissidente dentro e connivente fuori? Prima nel mirino di Stalin-Zdanov e poi apologeta del regime a New York? Artista sovietico contrito, che ritira la Quarta sinfonia (che nessuno aveva ancora ascoltato!) temendo di finire in un Gulag (come minimo…) per comporre in fretta e furia la Quinta, in risposta alle giuste critiche del regime alla sua Lady? O artista libero dentro, che si piegava apparentemente alla brutalità del regime mentre in realtà lo metteva alla berlina usando le sue stesse armi?

Ecco, la Quinta – se la giudichiamo da una prospettiva extra-musicale – è proprio lo specchio di questa ambiguità. Così Shostakovich la descriveva in una sua esternazione pubblica: II soggetto della mia Sinfonia è il divenire, è la realizzazione dell'uomo. Perché è lui, l'individuo umano con tutte le sue emozioni e le sue tragedie che io ho posto al centro della composizione (…) Il mio nuovo lavoro può esser definito una sinfonia liricoeroica. La sua idea principale si fonda sulle esperienze emozionali dell'uomo e sull'ottimismo che vince ogni cosa.

Insomma, se non è il sol dell’avvenir, poco ci manca! Ma ecco cosa ne diceva poi in privato: Ritengo sia chiaro a tutti quel che "accade" nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di costrizione, esattamente come nel Boris Godunov. È come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: "II tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare" e tu ti rialzi con le ossa rotte, tremando, e riprendi a marciare, bofonchiando: "II nostro dovere è di giubilare". Si può dunque definirla un'apoteosi quella della Quinta? Bisogna esser completamente sordi per crederlo. Ergo: ma quale sol dell’avvenir! Qui siamo al mangiar la minestra per non saltar dalla finestra…

E il colmo è che doveva essere proprio la Quarta, nelle intenzioni dell’autore, a rappresentare la nuova arte sovietica! Mentre se ascoltiamo la Quinta senza troppi pregiudizi e incrostazioni extra-musicali, magari scopriamo che è una degnissima sinfonia di… Mahler! Soltanto arrivata con 30 anni di ritardo. 

C’è qualcosa che non va? Forse che Strauss non continuò a scrivere musica ottocentesca ben oltre lo Shostakovich del 1937? E allora possiamo anche godercela in santa pace, questa sinfonia, dimenticando che era piaciuta anche a… Stalin! Soprattutto se i ragazzi de laVerdi ce la propongono, per tramite della Xian, con eccezionale efficacia. Meritato quindi il grande successo di pubblico, con applausi ritmati e prime parti chiamate ad alzate singole, con particolari ovazioni per il Konzertmeister Dellingshausen e i fiati, ottoni in testa, che nel finale – insieme alle terrificanti bordate della Viviana, tanto brava quanto pettoruta - han messo a dura prova la resistenza delle robuste strutture dell’Auditorium.

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