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Il venerabile Georges è tornato alla Scala (vuoti alcuni palchi e posti di platea, a dispetto della disponibilità zero che compare in internet su tutti i 3 concerti) con la Quinta di Mahler. Al termine lo ha accolto un’ovazione, seguita da un lungo applauso ritmato: un vero e proprio oscar alla carriera, direi.
A 85 anni non si fanno balzi - nè si emettono grugniti - alla Oren, non si agitano braccia e chiome, alla Dudamel: è già molto se si resta in piedi, senza chiedere uno sgabellone su cui appoggiare di tanto in tanto le sacre chiappe. Tuttavia, a dispetto dell’età, o forse perchè il gran vecchio è certo che gli si perdonerà tutto, il maestro non ha lesinato gigionerìe e ritocchi alla partitura.
Ad esempio: l’incipit, dopo gli squilli della trombetta d’ordinanza, è stato da marcia funebre sì, ma su una salita con pendenza 20%... da far sembrare Klemperer un velocista. Poi il secondo tema viene invece attaccato con un cambio di velocità di cui non v’è traccia sul pentagramma. Stessa cosa nel corale che chiude il secondo tempo. Si dirà: non facciamo troppo gli schizzinosi, certo. Però qui si parla di Mahler, uno che sulle partiture scriveva anche con quale dito girare le pagine, figuriamoci...
L’orchestra (rinforzate di un’unità le sezioni dei corni e dei clarinetti - ma ce n’era proprio bisogno? il settimo cornista ha addirittura sonnecchiato per il 90% del tempo) non mi è parsa in una delle migliori serate: in particolare i corni (siamo alle solite) che, dopo aver resistito strenuamente fino a metà dello scherzo, sono progressivamente scivolati in una serie di evidenti défaillances. Anche il primo corno (ottimo peraltro nell’obbligato dello scherzo) non è stato esente da imprecisioni. Una doverosa citazione invece per oboi e clarinetti, che Mahler costringe spesso e volentieri a suonare con campana all’insù, quindi in posizione assai precaria (testa all’indietro, e occhi puntati sul loggione anzichè sulla parte...)
Prêtre ha dato briglia sciolta alle percussioni, quasi a voler ribadire che questa è una sinfonia per batteria e orchestra, come l’aveva subito etichettata la giovane, bella e musicalissima Alma. Intelligente la scelta di insediare l’arpa in avanti, nel bel mezzo degli archi, proprio sotto lo sguardo del maestro: in modo da fare concerto nell’Adagietto tanto caro a Visconti (durata: 10 minuti, qui siamo stati effettivamente nella media).
In definitiva: una quinta non proprio da antologia, certamente migliorabile con qualche prova in più, per le serate di mercoledì e giovedì.
A 85 anni non si fanno balzi - nè si emettono grugniti - alla Oren, non si agitano braccia e chiome, alla Dudamel: è già molto se si resta in piedi, senza chiedere uno sgabellone su cui appoggiare di tanto in tanto le sacre chiappe. Tuttavia, a dispetto dell’età, o forse perchè il gran vecchio è certo che gli si perdonerà tutto, il maestro non ha lesinato gigionerìe e ritocchi alla partitura.
Ad esempio: l’incipit, dopo gli squilli della trombetta d’ordinanza, è stato da marcia funebre sì, ma su una salita con pendenza 20%... da far sembrare Klemperer un velocista. Poi il secondo tema viene invece attaccato con un cambio di velocità di cui non v’è traccia sul pentagramma. Stessa cosa nel corale che chiude il secondo tempo. Si dirà: non facciamo troppo gli schizzinosi, certo. Però qui si parla di Mahler, uno che sulle partiture scriveva anche con quale dito girare le pagine, figuriamoci...
L’orchestra (rinforzate di un’unità le sezioni dei corni e dei clarinetti - ma ce n’era proprio bisogno? il settimo cornista ha addirittura sonnecchiato per il 90% del tempo) non mi è parsa in una delle migliori serate: in particolare i corni (siamo alle solite) che, dopo aver resistito strenuamente fino a metà dello scherzo, sono progressivamente scivolati in una serie di evidenti défaillances. Anche il primo corno (ottimo peraltro nell’obbligato dello scherzo) non è stato esente da imprecisioni. Una doverosa citazione invece per oboi e clarinetti, che Mahler costringe spesso e volentieri a suonare con campana all’insù, quindi in posizione assai precaria (testa all’indietro, e occhi puntati sul loggione anzichè sulla parte...)
Prêtre ha dato briglia sciolta alle percussioni, quasi a voler ribadire che questa è una sinfonia per batteria e orchestra, come l’aveva subito etichettata la giovane, bella e musicalissima Alma. Intelligente la scelta di insediare l’arpa in avanti, nel bel mezzo degli archi, proprio sotto lo sguardo del maestro: in modo da fare concerto nell’Adagietto tanto caro a Visconti (durata: 10 minuti, qui siamo stati effettivamente nella media).
In definitiva: una quinta non proprio da antologia, certamente migliorabile con qualche prova in più, per le serate di mercoledì e giovedì.
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3 commenti:
Non parlo mai di cose che non ho ascoltato,ma posso dire che in passato ho sentito piú volte Pretre dirigere Mahler e l´ho sempre trovato pacchiano e gigione oltre il lecito.
@mozart2006
So benissimo di avere un atteggiamento, diciamo un po’... rigido (stavo per scrivere talebano ma, in effetti, con i princìpi si dovrebbe avere molta cautela) ed anche abbastanza refrattario ai facili entusiasmi.
Fatta questa ammenda, trovo i commenti finora apparsi sul blog della vocedelloggione francamente berlusconiani, cioè della serie “questo è il meglio del massimo dell’assoluto”.
Intendiamoci: non rimpiango affatto di non esser rimasto a casa, e non solo perchè al Piermarini c’è l’aria condizionata (fuori, 30 gradi, alle 8 di sera!): un Mahler bistrattato è pur sempre meglio - per orecchie e ventricoli - di un perfettamente eseguito John Cage!
Ben detto, Daland!
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