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22 novembre, 2007

Il Tristan di Chéreau/Peduzzi/Bickel

Si sa poco ancora della regia, ma qualcosa comincia almeno a trapelare su scene e costumi.

Un paio di servizi del TGR Lombardia hanno presentato - con immagini dall’Ansaldo - le strutture generali delle scene di Peduzzi per i tre atti del dramma e alcune idee sui costumi della Bickel.

Scene:
1. un muro romano (proprio copiato, con tanto di calco, da un edificio di Roma);
2. una pietra liscia e piatta;
3. una diga, o sbarramento marino.

Come interpretarli?

Il muro (ma perchè proprio romano?) del primo atto non può che rappresentare - per l’appunto - il muro di incomunicabilità che separa Tristan e Isolde. I due si amano fin dal momento dello sguardo, ma i rispettivi complessi (presunzione, superiorità, costrizione psichica, schizofrenia, insomma) gli impediscono di dichiararsi il reciproco amore. Anzi, la frustrazione che da ciò si crea nelle rispettive psiche, li porta dall’amore all’odio, e ai propositi di distruzione (di sè e/o dell’altro).

Se l’interpretazione è corretta, ci sarebbe da aspettarsi che - bevuto il filtro da parte dei due protagonisti - il muro si volatilizzi, oppure si trasformi - sdraiandosi - in un ponte che permette ai due di riunirsi.

La pietra piatta e liscia del secondo atto potrebbe rappresentare l’assenza totale di freni inibitori, che ormai caratterizza i rapporti fra i due. La nuda esposizione delle loro anime, che progressivamente e reciprocamente si spogliano di tutte le incrostazioni e le sovrastrutture che caratterizzavano la loro precedente dimensione mondana.

Lo sbarramento marino dell’atto finale ripropone, in certa misura, il concetto di ostacolo, che ancora torna a frapporsi fra i due amanti; forse non è più il muro - artificiale e artificioso - di incomunicabilità, ma un quasi naturale impedimento a che il mare (l’infinito...) li possa accogliere, finalmente uniti, per l’eternità.

La venerabile Moidele Bickel pare abbia pensato a costumi fuori da ogni contesto storico, e ciò sarebbe assolutamente condivisibile: non siamo nè a Gottfried von Straßburg, nè a Ibsen... ma nel regno della sehnsucht, al di là del tempo e dello spazio. Quindi: colori anonimi (nero e molto grigio... a parte un gran drappo rosso per Isolde Atto II) e forme decontestualizzate.

Il peggior torto che si può fare allo spettatore del Tristan è di distrarlo dal dramma - tutto interiore - con la spettacolarizzazione di scene e costumi.

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