18 gennaio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.12 - Tjeknavorian

Alla ripresa della stagione principale, dopo le fatiche del Concerto di Capodanno (quattro serate in Auditorium più una al KKL di Lucerna) l’Orchestra Sinfonica di Milano propone, sempre sotto la guida di Emmanuel Tjeknavorian, un programma otto-novecentesco che ci porta da Schumann a Shostakovich.

Del romantico di Zwickau si ascolta il Concerto per violoncello, spesso criticato (come tanta sua altra musica) come difficile, contorto e, soprattutto, male orchestrato. Al punto che uno dei suoi interpreti più famosi, Mstislav Rostropovich, dopo averlo più volte suonato, chiese all’amico Shostakovich (che di ri-orchestrazioni se ne intendeva… Musorgski ne sa qualcosa) di rimetterlo a nuovo.

Il solerte Dmitry, che già nel 1959 gli aveva dedicato il suo primo, lo accontentò subito (1963). E pochi anni dopo (1966) gliene dedicherà anche un secondo! L’ascolto del concerto riorchestrato permette di percepire alcune delle novità introdottevi da Shostakovich: una chiara sovraesposizione degli strumentini (con impiego dell’ottavino) e delle trombette; l’aggiunta dell’arpa al Langsam centrale e, nel finale, alcune scariche, tipicamente novecentesche, dei timpani.

Ma curiosamente Rostropovich, dopo averne sperimentato questa versione russa, tornò… all’ovile di Schumann! Del quale oggi vengono sempre di più rivalutati anche gli originali delle Sinfonie, che tale Mahler si era permesso di… correggere, nell’intento di migliorarne l’appeal verso il pubblico.

È Jeremias Fliedl, un conterraneo e amico del Direttore e, come lui, poco più che un ragazzo (classe ’99) ad interpretare l’Op.129 così come lasciataci dal suo Autore (qui una sua recente esibizione).

Tecnica sopraffina e grande qualità del suono del suo strumento (targato Stradivari) hanno davvero restituito a questo brano tutto il suo struggente contenuto romantico, conquistando il pubblico, anche ieri assai folto e caloroso, a testimonianza che il Tjek – con gli amici che si porta dietro – sta già imprimendo un chiaro salto di quantità alle presenze in sala. Il Direttore ha chiesto uno speciale applauso anche per il primo violoncello Mario Shirai Grigolato, al cui strumento Schumann organizza un simpatico rendez-vous con quello del solista.

Grandi applausi per tutti, e così il ragazzino Jeremias si commiata ringraziando Milano per l’accoglienza con… Bach.

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Del compositore russo (scomparso proprio mezzo secolo fa) ascoltiamo poi l’enigmatica Decima Sinfonia (qui alcune mie note illustrative in proposito). Come accade anche per altri lavori legati in qualche modo a contenuti extra-musicali (nella fattispecie i difficili e altalenanti rapporti di Shostakovich con il potere sovietico, piuttosto che la sua bizzarra relazione con l’allieva azera) personalmente tendo a gustare la musica solo per se stessa, cercando se possibile di ignorare quei legami.

E se non è proprio possibile, quando si incontra, come nel finale, un’autentica gragnuola di DSCH (RE-MIb-DO-SI, la carta d’identità del compositore) beh, accettiamola come un giustificabile sfogo da parte di un uomo che – a Stalin defunto – ci teneva a ricordarci tutti i torti subiti dal regime, ecco.

laVerdi ha una tale dimestichezza con questa musica (acquisita fin dai tempi in cui incise tutte le 15 Sinfonie con Oleg Caetani) che la resa dell’esecuzione è sempre garantita, ma certo che il Tjek ancora una volta ha stupito, dirigendo a memoria questo mostro: cosa non ha saputo cavare dal finale a dir poco travolgente, aizzando il pubblico ad un vero e proprio tumulto! 


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