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23 maggio, 2012

Alla Scala il Peter Grimes di Jones-Ticciati


La Scala ripropone di questi tempi Peter Grimes di Benjamin Britten, affidata alla coppia londinese di regista-direttore formata da Richard Jones e Robin Ticciati. Dirò subito che il giovane maestro ha dato gran prova di sé, mentre il regista mi ha lasciato tra il perplesso e l’insoddisfatto.

Tanto per cominciare, l’ambientazione. Jones porta tutto ai giorni nostri, ma sempre in Inghilterra (o comunque in un Paese, diciamo così, civilizzato). Orbene, è pur vero che anche nelle nostre società cosiddette avanzate permangono sacche di schiavitù più o meno mascherata, ma – che so – si dovrebbe trattare del solito cinese che fa lavorare bambini per 20 ore al giorno in qualche scantinato, oppure di un grosso amministratore di condomini che schiavizza fino alla consunzione dei poveri co-co-co… Ma che nell’Inghilterra di oggi ancora ci siano pescatori in proprio che sfruttano poveri orfanelli, come due secoli fa beh, mi pare proprio un’idea bizzarra! Di sicuro è fra quelle suggerite in questo manuale del regista d’avanguardia (smile!)

Essendo portata ai giorni nostri, la taverna di zia Auntie (così come la sala civica nel terzo atto) è trasformata in discoteca. Da esse escono i vendicativi borgatari per dare la (seconda) caccia a Grimes, in puro stile musical di Broadway, con i coristi che ballano come al carnevale di Rio, mentre cantano – ohibò – La nostra maledizione cadrà sul suo giorno malvagio. Noi domeremo la sua arroganza. Faremo pagare all’assassino il suo crimine. Una vera parodia, complimenti. 

Abbastanza banale l’ambientazione della baracca di Grimes e patetico il suo gesto di accendere la TV – che trasmette un cartone animato di contenuto marinar-piratesco, ma di quelli per bambini da scuola materna (smile!) - per tranquillizzare il ragazzo, prima della di lui caduta nel precipizio… della buca del suggeritore (mah!)   

Discutibile la scelta di presentare il ritorno finale di Grimes dentro la sala civica, in piena luce, il che toglie gran parte delle suggestioni che la scena dovrebbe avere, se correttamente ambientata al buio e nella nebbia (così anche il Fog-Horn qui pare fuori posto!) Certo, il regista si è risparmiato con questa trovata un cambio di scena in vista del suo finale, ma il risultato è deludente.

E appunto per l’ambientazione della scena finale - che nell’originale è pari-pari, musica compresa, in LA maggiore, quella dell’inizio dell’atto primo – il regista ne ha proprio combinata una delle sue. Così, invece di mostrarci il ritorno del borgo alla vita un po’ sonnolenta e monotona, come nulla fosse successo, lui ci riporta al prologo, mostrandoci un nuovo processo, intentato ora ad Ellen, evidentemente ritenuta complice di Grimes. Questa non solo è un’invenzione bella e buona, ma per di più è totalmente strampalata. Chè, se Jones ci voleva significare che il borgo è sempre in cerca di qualche diverso da eleggere a capro espiatorio (cosa del tutto plausibile) ha proprio sbagliato personaggio. Poiché  né Ellen né del resto Balstrode (che allora potrebbe essere pure lui la prossima vittima) hanno alcunché delle caratteristiche di diversi che il borgo possa prendere a pretesto per farne, appunto, dei capri espiatori: sono onesti e tranquilli pensionati che non potrebbero materialmente far male ad una mosca. A meno che Jones non voglia insinuare che nella società di oggi si prendano per diversi coloro che mostrano semplicemente di avere un po’ di sale in zucca… ma questa mi sembrerebbe davvero una forzatura di bassa lega.

Alcuni spunti della regìa sembrano mutuati da quella di Willy Decker, autore dell’edizione presentata tempo fa al Regio di Torino: ad esempio il mare che non si vede mai, poiché secondo Jones sul mare sta il pubblico, che da lì osserva ciò che accade sulla riva (e questa è una trovata plausibile); oppure Grimes che si vede – a fine secondo atto – trascinare il ragazzino morto verso casa (qui siamo però ad un didascalismo quasi offensivo per le capacità cognitive dello spettatore). E anche l’apertura del primo atto, con borgatari seduti come fossero in platea a guardare il mare, tutti perfettamente allineati e composti, ricorda vagamente quella di Decker.

Per fortuna la caratterizzazione dei personaggi è in generale apprezzabile: quello che vediamo è il Grimes di Britten-Pears-Slater, e non quello di Crabbe… ed è già qualcosa! Qualche riserva, come detto, sul  modo un po’ troppo da avanspettacolo con il quale ci vengono presentate certe esternazioni, soprattutto del popolo. Intelligenti le scene e le luci, a parte… l’ambientazione moderna (il che coinvolge anche i costumi).  

Ma tutto sommato, quale valore aggiunto apporti all’originale questo allestimento, resta per me un mistero.  
___  
Come detto, buone se non proprio ottime notizie invece sul fronte musicale. Merito di Ticciati, giovane ma evidentemente assai preparato ed autorevole sul podio, e di Bruno Casoni, che ha riportato il coro al livello che gli compete.

John Graham-Hall è un Grimes efficace, pur faticando parecchio sulle note alte, come qui al momento di prendere la drammatica decisione che lo porterà alla rovina:
(Poi, nell’esternazione finale, il regista lo fa esibire su un tavolo e accucciato sulle punte dei piedi, posizione credo infelice per il canto…) In ogni caso si prende grandi applausi. Più grandi ancora (ma forse alle mie orecchie non così meritati) quelli andati a Susan Gritton, una Ellen che mi è parsa discontinua e in difficoltà nell’ottava bassa.

Christopher Purves è un ottimo Balstrode, e ancor meglio di lui fa Peter Hoare come Boles (pur penalizzato sul lato scenico da eccessivo macchiettismo). Felicity Palmer è una Auntie di gran livello. Nettamente al di sotto Catherine Wyn-Rogers (Sedley) Christopher Gillett (Adams) e Stephen Richardson (Hobson). Un poco meglio George von Bergen come Keene (e non Keen come scritto sulle locandine!) e lo Swallow di Daniel Okulitch. Anonime le nipotine e le due altre parti minori.     

Successo abbastanza caloroso, ma francamente nulla di epocale.

4 commenti:

Amfortas ha detto...

Caro daland, non so in Inghilterra, ma ti assicuro che in Italia ci sono ancora oggi situazioni di sfruttamento lavorativo tra gli addetti alla pesca. Magari non saranno orfanelli, ecco :-)
Io aspetto di vedere la diretta in TV domani, la tua recensione mi sarà utile come sempre.
Ciao!

daland ha detto...

@Amfortas

Che in giro ci sia ancora oggi dello sfruttamento l’ho scritto io per primo, e non c’è bisogno che ce lo ricordi Jones… Ma quello cui si riferisce l’opera – testo e musica – è proprio specifico di una data epoca, che era comunque lontana di un secolo già nel 1945 quando l’opera fu rappresentata per la prima volta.

Domanda: perché Britten, invece di scegliere un testo e una vicenda “dei suoi tempi”, scelse Crabbe? Jones forse non se lo è nemmeno chiesto, nella foga di “differenziarsi”. Ecco perché io penso che la sua ambientazione sia un affronto all’intelligenza degli stessi autori dell’opera.

Insomma: o il regista per coerenza con la sua ambientazione cambia anche il testo (come minimo!) e parte della vicenda, oppure fa qualcosa che sta fra il ridicolo e l’insensato.

Ciao!

Amfortas ha detto...

No no, il mio commento non era pro domo Jones, era solo una considerazione generale, perché sull'argomento "pesca e dintorni" sono piuttosto informato.
Ciao.

daland ha detto...

@Amfortas
Non solo lo immaginavo, ma lo sapevo! (grazie a tuoi scritti in giro per il web).
Però anch'io sono - di adozione - al livello del mare (smile!)

Buon divertimento per domani sera!
Ciao.