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08 maggio, 2012

Rachmaninov per giovani con la Filarmonica della Scala


Una vera Indigestione di Rachmaninov (in prima e per interposta persona…) nel concerto di ieri sera della Filarmonica della Scala. E con tre giovani (o giovanissimi) protagonisti: il ragazzino Andrea Battistoni (25 anni) il suo quasi coetaneo Alexander Romanovsky (28) e il loro fratello maggiore Matteo Franceschini (33).

Del quale ultimo (cui l’opera è stata commissionata dall’Orchestra) si inizia con una prima assoluta: Ja sam.

Dato che l’Autore afferma di voler impiegare il coro di voci bianche come fosse uno strumento dell’orchestra, ecco che ad esso viene riservato uno spazio sulla destra del palco (per chi guarda) spostando per l’occasione i contrabbassi a sinistra.

Cosa c’entra qui Rachmaninov? C’entra come ispiratore del brano (una cosa corposa, quasi mezz’ora, come un poema sinfonico di Strauss, per dire…) con la sua Prima Sonata per pianoforte in RE minore (in particolare l’iniziale Allegro moderato). Che Franceschini prende a modello rispettandone la struttura di forma-sonata fino nei dettagli quantitativi (357 battute e relativa suddivisione in esposizione-sviluppo-ripresa).

Non ci si aspetti però di trovare nella sua composizione delle citazioni letterali e nemmeno vaghe (almeno io al primo ascolto non le ho percepite…) Come ammette l’Autore stesso (nelle note pubblicate sul programma di sala) la Sonata del russo è stata essenzialmente di stimolo per la sua creatività.

Successo – come si dice in queste circostanze – di stima, con ripetute chiamate per Autore e Interprete. Meritatissimi gli applausi per le ragazzine del coro e il loro Maestro Casoni.

Poi arriva Alexander Romanovsky, immigrato ucraino e oggi cittadino italiano (cosa che immagino infastidirà i residui leghisti, smile!) per proporci le Variazioni su un tema di Paganini dello sdolcinato Sergei.

Il quale – imitatore e scimmiottature di natura (Ciajkovski ne sa qualcosa) – compì un’operazione analoga a quella già inventata da Liszt con la campanella e da Brahms con il medesimo tema sull’ultimo dei 24 capricci del genovese: comporvi un pezzo velleitario, una specie di concerto in 24 variazioni. Nel quale immancabilmente infila, indovinate un po’… anche il Dies Irae (un’autentica fissazione la sua!)

Romanovsky mostra qui tutta la sua grande tecnica e propone – alle mie orecchie perlomeno – una specie di coca-cola-light del brano, togliendogli parecchio dello zucchero. Assecondato da Battistoni, che ad esempio non calca per nulla la mano nel celebre quanto volgare Andante cantabile (n°18) in REb maggiore.

Gran successo per Romanovsky, che si cimenta anche in un paio di bis.

Ha chiuso la pesante razione di Rachmaninov la Seconda Sinfonia, che a Milano si è potuta ascoltare con una certa (direi preoccupante, smile!) frequenza negli ultimi tempi: dalla stessa Filarmonica con Pappano, poi da laVerdi con Xian, indi ancora da Noseda all’Arcimboldi con l’Orchestra del Regio di Torino.

A me è parsa un’esecuzione più che accettabile, con un’orchestra in buona forma e un Direttore che sarà pure giovane e magari, come si dice in gergo, se la tira un po’ troppo (mai un sorriso, accipicchia, e atteggiamenti iper-formali) però non sembra proprio un tipo catapultato da qualcuno sul podio, e che cerca di seguire col gesto un’orchestra che tanto suona per i fatti suoi…

Al contrario, a me dà l’impressione di uno che conosce bene il suo mestiere (poi bisognerebbe chiedere ai professori se lo trovano una guida carismatica o soltanto un montato). Certe stroncature lette dopo le sue Nozze a me sembrano il classico contrappasso fatto pesare su un incolpevole per controbilanciare peana sconsiderati rivolti in precedenza ad altri giovani più o meno meritevoli (e/o raccomandati) di lui.  

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