Una vera Indigestione di Rachmaninov (in prima e per interposta
persona…) nel concerto di ieri sera della Filarmonica
della Scala. E con tre giovani (o giovanissimi) protagonisti: il ragazzino Andrea Battistoni (25 anni) il suo quasi
coetaneo Alexander Romanovsky (28) e il loro fratello
maggiore Matteo Franceschini (33).
Del quale ultimo (cui l’opera è stata commissionata dall’Orchestra) si inizia con una prima assoluta:
Ja sam.
Dato che l’Autore afferma di voler impiegare il coro di voci bianche come
fosse uno strumento dell’orchestra, ecco che ad esso viene riservato uno spazio
sulla destra del palco (per chi guarda) spostando per l’occasione i
contrabbassi a sinistra.
Cosa c’entra qui Rachmaninov? C’entra come ispiratore del brano (una cosa
corposa, quasi mezz’ora, come un poema sinfonico di Strauss, per dire…) con la
sua Prima Sonata per pianoforte in RE
minore (in particolare l’iniziale Allegro moderato). Che
Franceschini prende a modello rispettandone la struttura di forma-sonata fino
nei dettagli quantitativi (357 battute e relativa suddivisione in esposizione-sviluppo-ripresa).
Non ci si aspetti però di trovare nella sua composizione delle citazioni
letterali e nemmeno vaghe (almeno io al primo ascolto non le ho percepite…)
Come ammette l’Autore stesso (nelle note pubblicate sul programma di sala) la Sonata del russo è stata essenzialmente di
stimolo per la sua creatività.
Successo – come si dice in queste circostanze – di stima, con ripetute chiamate per Autore e Interprete. Meritatissimi
gli applausi per le ragazzine del coro e il loro Maestro Casoni.
Poi arriva Alexander Romanovsky, immigrato ucraino e oggi cittadino italiano (cosa che immagino infastidirà
i residui leghisti, smile!) per
proporci le Variazioni su un tema di Paganini dello sdolcinato Sergei.
Il quale –
imitatore e scimmiottature di natura (Ciajkovski ne sa qualcosa) – compì un’operazione
analoga a quella già inventata da Liszt con la campanella e da Brahms con il medesimo tema sull’ultimo dei 24
capricci del genovese: comporvi un pezzo velleitario, una specie di concerto in 24 variazioni. Nel quale
immancabilmente infila, indovinate un po’… anche il Dies Irae (un’autentica fissazione la sua!)
Romanovsky mostra
qui tutta la sua grande tecnica e propone – alle mie orecchie perlomeno – una specie
di coca-cola-light del brano,
togliendogli parecchio dello zucchero. Assecondato da Battistoni, che ad
esempio non calca per nulla la mano nel celebre quanto volgare Andante cantabile (n°18) in REb maggiore.
Gran
successo per Romanovsky, che si cimenta anche in un paio di bis.
Ha chiuso
la pesante razione di Rachmaninov la Seconda Sinfonia, che a Milano si è
potuta ascoltare con una certa (direi preoccupante, smile!) frequenza negli ultimi tempi: dalla stessa Filarmonica con Pappano,
poi da laVerdi con Xian, indi ancora da Noseda all’Arcimboldi con l’Orchestra
del Regio di Torino.
A me è
parsa un’esecuzione più che accettabile, con un’orchestra in buona forma e un
Direttore che sarà pure giovane e magari, come si dice in gergo, se la tira un po’ troppo (mai un
sorriso, accipicchia, e atteggiamenti iper-formali) però non sembra proprio un
tipo catapultato da qualcuno sul podio, e che cerca di seguire col gesto un’orchestra
che tanto suona per i fatti suoi…
Al
contrario, a me dà l’impressione di uno che conosce bene il suo mestiere (poi
bisognerebbe chiedere ai professori se lo trovano una guida carismatica o soltanto
un montato). Certe stroncature lette
dopo le sue Nozze a me sembrano il
classico contrappasso fatto pesare su un incolpevole per controbilanciare peana
sconsiderati rivolti in precedenza ad altri giovani più o meno meritevoli (e/o
raccomandati) di lui.
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