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07 maggio, 2012

Un apprezzabile Rosenkavalier allieta il Maggio fiorentino


Ieri pomeriggio al Maggio – in una Firenze intristita dalla pioggia - seconda delle quattro recite del capolavoro straussiano. L’ascolto radiofonico della prima di venerdi aveva lasciato una buona impressione (parlo dell’opera e non certo dei deplorevoli interventi dei conduttori di Radio3) che ieri si è confermata in pieno, almeno ai miei occhi e alle mie orecchie.  

Teatro Comunale che presentava qualche vuoto di troppo (ci si aspetterebbe un tutto esaurito da titoli come questo). La crisi, i prezzi dei biglietti, i costi di trasferta per chi deve venire da fuori, forse il titolo stesso che (in Italia, ancor oggi) a molti purtroppo non dice molto, il cast (peraltro notevole) con nomi (in Italia, sempre) poco o punto conosciuti… o magari proprio il tempo uggioso, chissà… Di sicuro è uno spettacolo che merita anche qualche sacrificio materiale, di cui non ci si pentirebbe proprio!

Innanzitutto per la parte musicale. Che Zubin Mehta e l’Orchestra ci hanno sciorinato con grande cura e passione. Mi sento di fare solo un piccolo appunto al Maestro: aver alzato di una tacca di troppo il volume nelle ultime battute del delizioso terzetto finale, andando un filino a coprire le voci. Come contrappasso, il pubblico ha coperto lui a fine di second’atto, cominciando ad applaudire – a chiusura di sipario - quando ancora l’orchestra doveva esalare le ultime, mirabili, quattro battute in MI maggiore… così a lui non è restato che alzare le braccia verso i suoi professori, in segno di resa! (Forse da noi sarebbe bene contraddire la partitura e lasciare il sipario alzato fino a che il direttore non posa la bacchetta.)

Per il resto, una direzione accuratissima e un’interpretazione – per me – perfettamente in linea con lo spirito, oltre che con la lettera, della partitura. Perdonabili sono i diversi tagliuzzamenti - soprattutto della parte di Ochs nell’atto conclusivo - di cui fatico sempre a comprendere la ragione: che Strauss medesimo qua e là li abbia autorizzati o tollerati non li giustifica automaticamente. Ma tant’è.  

La compagnia di canto non sarà proprio stellare, ma mi è parsa benissimo assortita e all’altezza del compito. Angela Denoke impersona - nel canto e nel portamento scenico – la Feldmarschallin in modo egregio e commovente: il suo finale del primo atto è proprio una cosa sbudellante (ovviamente grazie al birraio bavarese!) Caitlin Hulcup è a sua volta un’efficace Octavian, bella voce che passa tranquillamente e si complementa a meraviglia con quella della Denoke, nei diversi momenti di dialogo fra le due. Forse meno pulita la Sophie di Sylvia Schwartz, una voce squillante… fin troppo (negli acuti a volte un filino pigolati). Però il duetto finale è stato un vero gioiellino… Kristinn Sigmundsson è un Ochs praticamente perfetto nella parte scenica, non certo nel canto, dove le parti in piano e nella cosiddetta ottava bassa lasciano un poco a desiderare. Eike Wilm Schulte è un onesto Faninal, anche lui meglio nel lato attoriale. Mi ha ben impressionato Ingrid Kaiserfeld, una Duenna altrettanto efficace come attrice che come canto, una bella voce, intonata e sempre pulita in tutta la gamma.

Rimando alla locandina per gli altri interpreti (cosiddetti minori) che hanno tutti ben meritato. Solo un cenno speciale per Celso Albelo, data la rilevanza qualitativa (non certo quantitativa) della sua particina: che lui ha compitato in maniera apprezzabile, mancandogli forse un tocco di espressività… I Cori del Maggio (Piero Monti) e di Fiesole (Joan Yakkei) hanno egregiamente svolto il loro non improbo compito.   

Per tutti – orchestra compresa, salita sul palco con Mehta - alla fine un gran trionfo con minuti e minuti di applausi e ripetute chiamate.

Quanto alla regìa di Eike Gramms devo dire che non mi ha convinto del tutto. Il regista medesimo, nelle note sul Programma di sala, ammette di avere ambientato l’opera tra la metà del XVIII secolo e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Ora, a parte le scene che richiamano vagamente il settecento, il resto (i costumi, ad esempio) sono invece più da inizio novecento. Un po’ come nella regìa di Herbert Wernike ripresa tempo fa alla Scala, sui cui avevo manifestato le mie personali perplessità.

Della quale regìa Gramms ha persino copiato alcuni dettagli: come il parrucchino di Ochs (che non ha alcun significato, salvo quello di rendere vagamente plausibile – in realtà incomprensibile - il riferimento che vi fa il Commissario) al posto della parrucca (simbolo preciso della nobiltà settecentesca); oppure la pletora di ragazzini (in luogo dei quattro prescritti) sedicenti figli del medesimo Ochs, che trasforma in parodia ciò che per il librettista era un aspetto grottesco sì, ma serio!

Per fortuna Gramms non copia da Wernike il sottofondo pessimistico generale; ad esempio sottolineato dall’uscita di scena finale di Marie-Therese e di Faninal (in direzioni opposte) per la quale Gramms invece rispetta in pieno il libretto (facendoli uscire sottobraccio, il che ha un precisissimo e positivo significato sociologico, oltre che esistenziale!)

Per il resto, quanto a rispetto del libretto e delle didascalie di cui abbonda la partitura, soprattutto nei movimenti e nelle posture dei personaggi, va dato atto a Gramms di averne molto: sempre a differenza di Wernike, tanto per fare un esempio banale, noi vediamo Rofrano ferire il barone al braccio destro, non ad una natica (smile!) Utile anche l’esplicitazione sceneggiata del passaggio di campo (da Ochs a Rofrano) di Valzacchi-Annina nell’atto secondo.

In conclusione: uno spettacolo complessivamente apprezzabile, di quelli che in Italia – credo io - andrebbero programmati più di frequente (*).

(*) Ps: come concorda anche Amfortas

3 commenti:

Giuseppe Sottotetti ha detto...

Capitolo dolente quello dei tagli in Strauss. Il taglio del monologo di Ochs nel primo atto mi risparmia una musica - e pure un testo - che mi ha sempre infastidito, ma il secondo e soprattutto il terzo atto vengono normalmente martoriati così che diventa - specie nel finale - difficile seguire lo sviluppo dell'azione (e poi, come è bella la musica che presenta l'enrata di Sophie nel terzo atto)

daland ha detto...

@Unknown
Dato che fu Strauss stesso - per motivi più o meno condivisibili - a tollerare o addirittura suggerire i tagli alle sue opere (la Frau ad esempio è normalmente più tagliata ancora del RK, ed anche Elektra non scherza...) c'è poco da prendersela con i Kapellmeister. Personalmente li riaprirei tutti (anche quello di Ochs nel primo atto!) Però a onor del vero non mi pare che pregiudichino più di tanto la comprensione dell'azione.
Grazie, a presto!

Amfortas ha detto...

Sono sostanzialmente d'accordo con la tua recensione, l'ho linkata anche da me.
Ci si chiedeva, a fine opera, dei tagli, ma effettivamente a me non sono sembrati tali da scandalizzare.
In altre occasioni (penso alla Sonnambula veneziana, per esempio) sono stati assai più pesanti e perniciosi.
Ciao!