Forse perché
sono ancora da ammortizzare i costi dell’allestimento (altre serie ragioni non se
ne vedrebbero, perlomeno…) la Scala ripropone anche in questa stagione la
deplorevole Tosca
di Luc Bondy, che già fece i suoi
danni poco
più di un anno fa. E, a differenza di allora, è
pure inserita nel programma in abbonamento, così – avendola già pagata – un
abbonato non può esimersi dal risorbirsela (d'altronde sarebbe azione quanto
mai disdicevole, da parte dell’abbonato medesimo, deleteria per la promozione
dell’opera lirica, nonchè punitiva verso un amico, prestargli la tessera
d’abbonamento per l’occasione, smile!)
In realtà qualcosa di buono nel frattempo è accaduto
poichè,
essendo il regista svizzero contumace, in questa ripresa la brava Lorenza Cantini fa del suo meglio per
smussare, se non proprio per cancellare del tutto (cosa impossibile) le sue
principali efferatezze, in specie quelle del secondo atto. Insomma: una
produzione che resta semplicemente sconcia, ma non più da codice penale (ri-smile!)
Per le prime
due rappresentazioni si è ripetuto un copione ormai quasi obbligato al
Piermarini: buh e grida di vergogna alla prima e poi quasi un trionfo
alla seconda, oltretutto col cast
alternativo. E anche certe reazioni sono state fedeli a quel copione: chi ha
assistito alla seconda recita (e non alla prima) crede di aver la prova provata
che l’insuccesso di quella fosse opera dei soliti sabotatori di professione;
chi ha assistito alla prima (e non alla seconda) si dice certo che il successo
di quest’ultima sia da ascriversi all’ignoranza del pubblico bue. Insomma: dispute
da bar-sport, ma proprio di quelli
che espongono il cartello vietato
l’ingresso ai cani e alla logica…
Insomma,
eccomi puntuale in prima galleria a risentirmi (guardando il meno possibile…) questa
straordinaria espressione del genio italico, una storia tutta fuoco e passioni
come di più e meglio non potrebbe uscire dallo scenario della Roma papaloide di
fine ‘700, mirabilmente descritta con gli strumenti musicali di fine ‘800.
Devo dire
che, date le premesse, mi aspettavo di molto peggio. Invece devo ammettere che
si è trattato di una prestazione complessiva tutto sommato sopra la sufficienza
(certo non si parla né di dieci, né di lodi!)
Di Luisotti si dice sia un esperto pucciniano:
non so di preciso cosa significhi, ma devo dire che la sua direzione mi è parsa
equilibrata (gli perdono qualche eccesso di fracasso in alcuni momenti topici)
e rispettosa di chi sta sul palco a cantare. Con lui anche l’Orchestra mi è
parsa suonare dignitosamente, inclusi i sempre criticati ottoni.
Martina Serafin è stata una Tosca per
nulla disprezzabile (suo l’unico applausetto a scena aperta, dopo un Vissi d’arte peraltro non memorabile).
Qualche problema, mi è parso, di intonazione sugli acuti, ma in complesso una
prestazione onorevole.
Marcelo Álvarez non ha fatto
rimpiangere per nulla – alle mie orecchie perlomeno – il bel Jonas della scorsa edizione: voce ancora sicura e soprattutto
senza interventi di naso e gola, così caratteristici del commerciante crucco.
Su George Gagnidze (Scarpia) andrebbe stabilito se: a) lui canta male perché costretto dalla
regìa a digrignare continuamente i denti e strabuzzare gli occhi, oppure se: b) lui digrigna i denti e strabuzza gli
occhi perché non sa cantare (smile!)
Deyan Vatchkov era già stato un
discreto Angelotti lo scorso anno, e mi pare abbia confermato quella
prestazione.
Il sagrestano di Alessandro Paliaga ha fatto il suo
dovere, facendosi almeno udire chiaramente fin su al loggione. Altrettanto non
mi sentirei di dire per Massimiliano
Chiarolla (uno Spoletta dimesso). Davide
Pelissero (Sciarrone) ed Ernesto
Panariello (carceriere) hanno ripetuto le loro oneste prestazioni, come
nella precedente edizione. La voce in lontananza
del pastore era di Elena Caccamo, che
la locandina online del teatro ignora bellamente, insieme ai cori di Casoni.
Alla fine moderati applausi per
tutti, con una punta (toh!) proprio per Gagnidze!
Insomma, mettiamola così: se
non si fosse nell’indiscusso tempio della
lirica (come recita con grande modestia la pubblicità Rolex e come ripete ogni giorno il modestissimo Lissner) si potrebbe persino tornare a
casa soddisfatti.
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