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11 maggio, 2012

Orchestraverdi – concerto n°32


Rientra alla base Zhang Xian per questo concerto che accosta Ciajkovski e Beethoven.

La prima opera in programma è la Seconda Sinfonia di Ciajkovski, già diretta qui da Caetani precisamente un anno fa.

Strepitosa prestazione – alle mie orecchie - di Xian e dell’Orchestra: chiaroscuri ben scolpiti, con i temi delicati e languidi che emergevano come fiori dalle enfatiche perorazioni nei movimenti esterni; in quelli interni, sonorità rarefatte, e poi tempi stringati e nessuna caduta nella facile retorica. Insomma, questo Ciajkovski ancora immaturo reso con grande efficacia e sensibilità.

Veniamo ora all’Eroica. La novità – in un certo senso – di questa esecuzione è che viene impiegata la partitura riveduta-e-corretta da Gustav Mahler (che sia un’appendice alle celebrazioni dei 100 anni dalla scomparsa?) E lodevolissima è la precisazione fornita al riguardo dalla locandina de laVerdi. Poiché è bene che l’ascoltatore – quello esperto, ma anche quello naif – venga sempre informato del contenuto della merce che gli viene propinata. Proprio come si fa – per legge! – con qualunque altro prodotto di consumo.
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Della liceità, o opportunità, o tollerabilità, o criminalità degli interventi sulla carta delle opere musicali (come di qualunque altra opera dell’umano ingegno) si discute da sempre accanitamente, senza che si trovi una risposta univoca e definitiva alla questione. Perciò l’unica cosa seria da farsi è – appunto – chiarire all’utente in modo trasparente e senza infingimenti o manfrine qual è la natura del prodotto proposto: originale o manipolato.  

Ciò che è intollerabile (a mio modesto modo di vedere) è spacciare per originale qualcosa che non lo è. E questo, indipendentemente dal valore soggettivo che il compratore può attribuire al prodotto che gli viene venduto. Mi spiego: una falsa Lacoste o un falso Rolex potrebbero anche essere giudicati dall’acquirente intrinsecamente migliori della Lacoste autentica, o del Rolex autentico; fatto sta che il fabbricante e il venditore di quei prodotti contraffatti rischiano – codice penale alla mano – il carcere. E persino l’acquirente rischia una salatissima multa.

Perché lo stesso metro non si dovrebbe impiegare per giudicare – ed eventualmente sanzionare – produzioni artistiche che sono palesi contraffazioni (quand’anche… in meglio) dell’originale? Ora, sulle partiture la cosa per fortuna accade ancora di rado (almeno a livelli macroscopici) ma si pensi invece alle cento e mille autentiche contraffazioni che vengono giornalmente perpetrate dalle regìe teatrali moderne e post-moderne… Come gridava Bracardi? In galera!

Altro discorso invece è lasciare all’interprete – addirittura pretendere da lui – di portare il valore aggiunto della sua propria sensibilità (interpretativa, appunto) all’opera che esegue. Purtroppo il confine fra libertà interpretativa (sacrosanta) e adulterazione dell’originale (intollerabile, a meno che non venga apertamente dichiarata, come fatto da laVerdi per questa esecuzione) è spesso assai nebuloso e difficilmente tracciabile a priori.

Veniamo a Mahler. Come giustamente rileva Enzo Beacco: Mahler vuol fare di più. Cambia la partitura. Non è una cosa da poco, non è la cosmesi che in fondo tutti i grandi direttori operano sui classici sinfonici (e operistici, ndr), per lasciare il proprio segno. A suo modo è una provocazione.

E in effetti sappiamo come Mahler, il più grande Direttore dei tempi moderni, fu accanito sostenitore – e attivo praticante – della teoria secondo cui era non solo ammissibile, ma doveroso intervenire sulle partiture dei suoi predecessori, per adeguarle alle ultime conquiste della civiltà, o per meglio renderle fruibili impiegando strumenti di cui i compositori non avevano potuto disporre. O ancora, nel caso specifico di Beethoven, per ovviare a vere e proprie manchevolezze nella strumentazione, da Mahler attribuite allo stato di quasi totale sordità dell’Autore. Seguendo del resto l’esempio del suo idolo Wagner (che per primo aveva messo mano pesantemente e in modo scientifico alle sinfonie beethoveniane, e alla Nona in particolare) Mahler riorchestrò addirittura tutte le sinfonie del suo amato Schumann (ma oggi per fortuna c’è chi critica aspramente quegli interventi, come quelli di Rimski su Musorgski) e intervenne profondamente su Beethoven. Una delle sue manìe era il clarinetto piccolo, quello in MIb, usato fino ad allora solo nelle bande: lui non solo lo impiegò (legittimamente, ci mancherebbe!) in parecchie sue opere, ma appunto lo introdusse nell’organico orchestrale della Sinfonia in MIb di Beethoven (Mahler soffre di una malattia da clarinetto in MIb, ironizzò qualcuno sulla stampa del tempo) insieme ad abnormi rinforzi di corni e timpani, giustificati con la necessità di controbilanciare le masse continuamente crescenti degli archi.

Al proposito mi sento di proporre una riflessione che non mi pare peregrina: una musica composta per un’orchestra di 40 elementi (le dimensioni medio-massime ai tempi di Beethoven: diciamo 26 archi e 13 fiati più i timpani – ma alla prima del 1804 pare che gli archi fossero poco più di una dozzina!) viene di sicuro snaturata se, a parità di fiati, gli archi diventano 45, come erano già ai tempi di Mahler. Però se, seguendo la logica di Mahler, per bilanciare i 45 archi portiamo i fiati a 25 (quindi portando l’intera orchestra a 70 elementi) siamo sicuri di ripristinare il suono dell’orchestra beethoveniana? In fondo è lo stesso problema che si presenta quando Mahler (guarda caso!) trascrive per orchestra da camera (30-40 elementi) un Quartetto (4 elementi): qualcuno osa sostenere che – essendo rispettate le proporzioni fra violini, viole e violoncelli (con aggiunta magari di contrabbassi) - abbiamo lo stesso risultato sonoro del quartetto? Ecco, Mahler sosteneva di sì… o comunque riteneva inevitabile quella soluzione per poter eseguire un quartetto in una sala da concerto. Chi oggi gli dà ancora ragione?

Insomma, credo che non avessero tutti i torti i molti critici di fine ‘800 che accusavano sarcasticamente Mahler di narcisismo, nel pretendere di migliorare Beethoven, che non avrebbe avuto secondo lui la possibilità di realizzare tutte le sue intenzioni. (E in effetti, parlando di strumenti inesistenti o inconsueti ai tempi di Beethoven: perché allora non impiegare oggi anche i sassofoni, le tubette wagneriane e – magari nella Pastorale - pure chitarra e mandolino?)

Così scriveva nel 1893 – fra il sarcastico e l’indignato - dell’interpretazione mahleriana della Quinta beethoveniana tale Josef Sittard, critico di Amburgo (dove Mahler dirigeva ai tempi): Senza dubbio è essenziale oggi sottoporre le partiture di Beethoven a una revisione, conformemente ai moderni principi esecutivi. Ma si tratta di un problema assai grave. O Beethoven sapeva esattamente ciò che faceva, mentre componeva, oppure lui stesso non ha compreso nulla delle sue proprie idee. E sull’uso esagerato dei timpani nel finale, sempre della Quinta, aggiungeva: Mahler evidentemente considera quest’opera di Beethoven come musica di Giannizzeri. (!!!)

Mahler eseguì la sua Eroica anche nel 1898, per il suo insediamento a capo dei Wiener: ancor prima del concerto già si prendevano a pretesto i suoi interventi sulla partitura per fare commenti offensivi riguardo alla sua origine semita. Così accadde che uno dei pochi critici favorevoli all’esecuzione fu stranamente tale Eduard Hanslick, ben noto per il suo conservatorismo. Ma forse il critico immigrato da Praga, mezzo-ebreo pure lui, difendeva Mahler l’artista per difendere in realtà Mahler l’ebreo…    

Ecco invece come un critico presente ad un’esecuzione di Mahler dell’Eroica al Trocadero di Parigi nel giugno del 1900 ci descrive le sue impressioni: Certo, nella sala c’era il mondo intero, ma Beethoven era assente!

L’ironia sta poi nel fatto che invece, per le sue proprie opere, Mahler fu di una puntigliosità davvero degna di miglior causa, quanto ad indicazioni agogiche e dinamiche, infarcendo di descrizioni dettagliate (spesso pure strampalate e intraducibili in gesti concreti per i musicisti - vedi il bizzarro Altväterisch della Sesta…) e di segni di portamento ogni singola nota delle sue partiture, e pretendendo il massimo rispetto per quelle indicazioni! Ma datosi che chi di spada ferisce, di spada perisce, destino volle che anche lui fosse abbondantemente vittima di contrappasso, almeno a giudicare dai barbari tagli di cui le sue sinfonie furono fatte oggetto nel secolo scorso.

Questo è l’esempio più clamoroso dei mostruosi ritocchi apportati da Mahler al primo movimento dell’Eroica, nel punto di più alta drammaticità (ho riprodotto l’immagine da questo interessante studio); vi si vede anche (terzo rigo dall’alto) l’introduzione della parte di clarinetto piccolo, oltre a quelle dei tre corni addizionali, all’aggiunta di rintocchi di timpano e allo stravolgimento delle indicazioni esecutive; qui nessuno dovrebbe avanzare dubbi sul fasullo substrato romantico (per non dire tardo-romantico) di questo intervento:
Purtroppo la notorietà di Mahler ne fece un caposcuola anche per l’interpretazione beethoveniana, e così tutto il ‘900 è stato un fiorire del Beethoven (falsamente) romantico, suonato proprio à la Mahler e à la Wagner, fino ai giorni nostri (Christian Thielemann, gran wagneriano, è solo l’ultimo alfiere di questa pseudo-scuola).

Oggi per fortuna possiamo però ascoltare le sinfonie beethoveniane nella loro forma più autentica, grazie ai seri studi portati avanti negli ultimi decenni; primo fra tutti quello di Jonathan Del Mar, che ha prodotto un’edizione critica unanimemente giudicata di grandissimo pregio, e che viene adottata da un sempre maggior numero di direttori.

C’è poi chi sembra tenere i piedi in due scarpe, adottando un approccio intermedio (fra Mahler e Del Mar): si tratta di Aldo Ceccato, che ha di recente pubblicato un libricino – introdotto da Quirino Principe - contenente tutte le sue annotazioni (e interventi) sulle partiture beethoveniane: in sostanza Ceccato introduce sue proprie varianti in quei punti della partitura dove risulta (o risulterebbe, secondo lui) evidente la costrizione subita da Beethoven a causa dei limiti degli strumenti del suo tempo (l’estensione dei flauti, ad esempio) con conseguenti salti mortali (esteticamente bizzarri, ma obbligati) che Beethoven avrebbe dovuto compiere per aggirare quei limiti; salti mortali evitabili oggi, stando a Ceccato, impiegando gli strumenti moderni. Ma il nostro adotta anche parecchie modifiche a suo tempo proposte da Mahler (da lui richiamato, con Wagner, nell’introduzione al suo scritto): ad esempio nell’estensione delle parti dei timpani. Peraltro non sembra seguire Mahler fino alle estreme conseguenze: niente clarinetto piccolo (smile!)
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Già il colpo d’occhio dell’orchestra è spaventevole: si direbbe che debba essere suonata la Totenfeier, mica l’Eroica! Dopodiché ciò che si deve ascoltare fa accapponare la pelle: a volte par di sentire la batteria dei corni dei cacciatori della Alpensinfonie; la marcia funebre assomiglia maledettamente a quella di Sigfrido; il clarinetto piccolo squittisce come nella Fantastica; i corni a volte creano un magma sonoro volgare, che distrugge i mirabili temi beethoveniani; gli strumentini suonano quasi sempre con la campana in alto, creando sonorità impertinenti e fastidiose; altre volte le trombe (che sembrano proprio quelle di Gerico, come sarcasticamente affermavano i detrattori antisemiti di Mahler) portano in primo piano linee che dovrebbero starsene in sottofondo. Insomma, un supplizio per le orecchie!

E devo dire che l’esecuzione di Xian e dell’Orchestra non mi è parsa nemmeno di alto livello tecnico, forse proprio a causa dell’inconsueta circostanza. Certo, alla fine gli applausi non sono mancati, anche quelli ritmati dal calpestio dei professori.

I miei (scarsi) clap sono andati agli interpreti e – ça va sans dire – all’Autore. Per l’arrangiatore – e lo confessa uno che si sente mahleriano fino al midollo – lascio la parola a… Bracardi (smile!)

(per pietà, non fatelo più)


Ancora Mahler (l’ultimo) e guarda caso ancora con Beethoven (però non arrangiato, strasmile!) e ancora Xian sul podio per il prossimo appuntamento.

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