La prima
opera in programma è la Seconda Sinfonia di Ciajkovski, già diretta qui da Caetani
precisamente un anno fa.
Strepitosa
prestazione – alle mie orecchie - di Xian e dell’Orchestra: chiaroscuri ben
scolpiti, con i temi delicati e languidi che emergevano come fiori dalle enfatiche perorazioni nei movimenti esterni; in quelli interni, sonorità rarefatte, e poi tempi stringati e nessuna caduta nella facile retorica.
Insomma, questo Ciajkovski ancora immaturo reso con grande efficacia e
sensibilità.
Veniamo
ora all’Eroica. La novità – in un certo senso – di questa esecuzione è
che viene impiegata la partitura riveduta-e-corretta
da Gustav Mahler (che sia un’appendice
alle celebrazioni dei 100 anni dalla scomparsa?) E lodevolissima è la
precisazione fornita al riguardo dalla locandina de laVerdi. Poiché è bene che l’ascoltatore – quello esperto, ma anche
quello naif – venga sempre informato del contenuto della merce che gli viene
propinata. Proprio come si fa – per
legge! – con qualunque altro prodotto di consumo.
___
Della liceità, o opportunità, o tollerabilità, o
criminalità degli interventi sulla carta
delle opere musicali (come di qualunque altra opera dell’umano ingegno) si
discute da sempre accanitamente, senza che si trovi una risposta univoca e
definitiva alla questione. Perciò l’unica cosa seria da farsi è – appunto –
chiarire all’utente in modo trasparente e senza infingimenti o manfrine qual è
la natura del prodotto proposto: originale o manipolato.
Ciò che è intollerabile (a mio modesto modo di vedere) è
spacciare per originale qualcosa che non lo è. E questo, indipendentemente dal
valore soggettivo che il compratore può attribuire al prodotto che gli viene
venduto. Mi spiego: una falsa Lacoste o un falso Rolex potrebbero anche essere
giudicati dall’acquirente intrinsecamente migliori della Lacoste autentica, o
del Rolex autentico; fatto sta che il fabbricante e il venditore di quei
prodotti contraffatti rischiano – codice penale alla mano – il carcere. E
persino l’acquirente rischia una salatissima multa.
Perché lo stesso metro non si dovrebbe impiegare per
giudicare – ed eventualmente sanzionare – produzioni artistiche che sono palesi
contraffazioni (quand’anche… in meglio) dell’originale? Ora, sulle partiture la
cosa per fortuna accade ancora di rado (almeno a livelli macroscopici) ma si
pensi invece alle cento e mille autentiche contraffazioni che vengono
giornalmente perpetrate dalle regìe teatrali moderne e post-moderne… Come
gridava Bracardi? In galera!
Altro discorso invece è lasciare all’interprete –
addirittura pretendere da lui – di
portare il valore aggiunto della sua
propria sensibilità (interpretativa, appunto) all’opera che esegue. Purtroppo
il confine fra libertà interpretativa (sacrosanta) e adulterazione
dell’originale (intollerabile, a meno che non venga apertamente dichiarata,
come fatto da laVerdi per questa
esecuzione) è spesso assai nebuloso e difficilmente tracciabile a priori.
Veniamo a Mahler. Come giustamente rileva Enzo Beacco: Mahler vuol fare
di più. Cambia la partitura. Non è
una cosa da poco, non è la cosmesi che in fondo tutti i grandi direttori
operano sui classici sinfonici (e
operistici, ndr),
per lasciare il proprio segno. A suo modo è una provocazione.
E in effetti sappiamo come Mahler, il più grande
Direttore dei tempi moderni, fu accanito sostenitore – e attivo praticante –
della teoria secondo cui era non solo ammissibile, ma doveroso intervenire sulle partiture dei suoi predecessori, per
adeguarle alle ultime conquiste della civiltà, o per meglio renderle fruibili
impiegando strumenti di cui i compositori non avevano potuto disporre. O
ancora, nel caso specifico di Beethoven, per ovviare a vere e proprie manchevolezze nella strumentazione, da Mahler
attribuite allo stato di quasi totale sordità dell’Autore. Seguendo del resto
l’esempio del suo idolo Wagner (che per primo aveva messo mano pesantemente e
in modo scientifico alle sinfonie
beethoveniane, e alla Nona in
particolare) Mahler riorchestrò addirittura tutte le sinfonie del suo amato Schumann (ma oggi per fortuna c’è chi
critica aspramente quegli interventi, come quelli di Rimski su Musorgski) e
intervenne profondamente su Beethoven. Una delle sue manìe era il clarinetto piccolo, quello in MIb, usato
fino ad allora solo nelle bande: lui non solo lo impiegò (legittimamente, ci
mancherebbe!) in parecchie sue opere, ma appunto lo introdusse nell’organico
orchestrale della Sinfonia in MIb di Beethoven (Mahler soffre di una malattia da clarinetto
in MIb, ironizzò qualcuno sulla stampa del tempo) insieme ad abnormi
rinforzi di corni e timpani, giustificati con la necessità di controbilanciare
le masse continuamente crescenti degli archi.
Al
proposito mi sento di proporre una riflessione che non mi pare peregrina: una
musica composta per un’orchestra di 40 elementi (le dimensioni medio-massime ai tempi
di Beethoven: diciamo 26 archi e 13 fiati più i timpani – ma alla prima del
1804 pare che gli archi fossero poco più di una dozzina!) viene di sicuro snaturata se, a parità di fiati, gli archi
diventano 45, come erano già ai tempi di Mahler. Però se, seguendo la logica di
Mahler, per bilanciare i 45 archi portiamo i fiati a 25 (quindi portando
l’intera orchestra a 70 elementi) siamo sicuri di ripristinare il suono
dell’orchestra beethoveniana? In fondo è lo stesso problema che si presenta
quando Mahler (guarda caso!) trascrive per orchestra da camera (30-40 elementi) un
Quartetto (4 elementi): qualcuno osa sostenere che – essendo rispettate le
proporzioni fra violini, viole e violoncelli (con aggiunta magari di
contrabbassi) - abbiamo lo stesso risultato sonoro del quartetto? Ecco, Mahler
sosteneva di sì… o comunque riteneva inevitabile quella soluzione per poter
eseguire un quartetto in una sala da concerto. Chi oggi gli dà ancora ragione?
Insomma, credo che non avessero tutti i torti i molti
critici di fine ‘800 che accusavano sarcasticamente Mahler di narcisismo, nel pretendere
di migliorare Beethoven, che non
avrebbe avuto secondo lui la possibilità di realizzare tutte le sue intenzioni.
(E in effetti, parlando di strumenti inesistenti o inconsueti ai tempi di
Beethoven: perché allora non impiegare oggi anche i sassofoni, le tubette
wagneriane e – magari nella Pastorale
- pure chitarra e mandolino?)
Così scriveva nel 1893 – fra il sarcastico e l’indignato
- dell’interpretazione mahleriana della Quinta
beethoveniana tale Josef Sittard,
critico di Amburgo (dove Mahler dirigeva ai tempi): Senza dubbio è essenziale oggi sottoporre
le partiture di Beethoven a una revisione, conformemente ai moderni principi
esecutivi. Ma si tratta di un problema assai grave. O Beethoven sapeva
esattamente ciò che faceva, mentre componeva, oppure lui stesso non ha compreso
nulla delle sue proprie idee. E
sull’uso esagerato dei timpani nel finale, sempre della Quinta, aggiungeva: Mahler evidentemente considera quest’opera di Beethoven
come musica di Giannizzeri. (!!!)
Mahler eseguì la sua
Eroica anche nel 1898, per il suo insediamento a capo dei Wiener: ancor prima del concerto già si prendevano a pretesto i
suoi interventi sulla partitura per fare commenti offensivi riguardo alla sua origine
semita. Così accadde che uno dei pochi critici favorevoli all’esecuzione fu stranamente
tale Eduard Hanslick, ben noto per il
suo conservatorismo. Ma forse il critico immigrato da Praga, mezzo-ebreo pure
lui, difendeva Mahler l’artista per
difendere in realtà Mahler l’ebreo…
Ecco invece come un critico presente ad un’esecuzione di
Mahler dell’Eroica al Trocadero di Parigi nel giugno del 1900 ci descrive le
sue impressioni: Certo,
nella sala c’era il mondo intero, ma Beethoven era assente!
L’ironia sta poi nel fatto che invece, per le sue proprie
opere, Mahler fu di una puntigliosità davvero degna di miglior causa, quanto ad
indicazioni agogiche e dinamiche, infarcendo di descrizioni dettagliate (spesso
pure strampalate e intraducibili in gesti concreti per i musicisti - vedi il
bizzarro Altväterisch della Sesta…) e di segni di portamento ogni
singola nota delle sue partiture, e pretendendo il massimo rispetto per quelle
indicazioni! Ma datosi che chi di spada
ferisce, di spada perisce, destino volle che anche lui fosse
abbondantemente vittima di contrappasso, almeno a giudicare dai barbari tagli di
cui le sue sinfonie furono fatte oggetto nel secolo scorso.
Questo è l’esempio più clamoroso dei mostruosi ritocchi apportati
da Mahler al primo movimento dell’Eroica, nel punto di più alta drammaticità (ho
riprodotto l’immagine da questo interessante studio); vi si vede anche (terzo rigo dall’alto) l’introduzione
della parte di clarinetto piccolo, oltre a quelle dei tre corni addizionali,
all’aggiunta di rintocchi di timpano e allo stravolgimento delle indicazioni
esecutive; qui nessuno dovrebbe avanzare dubbi sul fasullo substrato romantico (per non dire tardo-romantico) di questo intervento:
Purtroppo la notorietà di Mahler ne fece un caposcuola
anche per l’interpretazione beethoveniana, e così tutto il ‘900 è stato un
fiorire del Beethoven (falsamente) romantico,
suonato proprio à la Mahler e à la Wagner, fino ai giorni nostri (Christian Thielemann, gran wagneriano, è
solo l’ultimo alfiere di questa pseudo-scuola).
Oggi per fortuna possiamo però ascoltare le sinfonie
beethoveniane nella loro forma più autentica, grazie ai seri studi portati
avanti negli ultimi decenni; primo fra tutti quello di Jonathan Del Mar, che ha prodotto un’edizione critica unanimemente giudicata di grandissimo pregio, e che
viene adottata da un sempre maggior numero di direttori.
C’è poi chi sembra tenere i piedi in due scarpe,
adottando un approccio intermedio (fra Mahler e Del Mar): si tratta di Aldo Ceccato, che ha di recente
pubblicato un libricino –
introdotto da Quirino Principe - contenente
tutte le sue annotazioni (e interventi) sulle partiture beethoveniane: in
sostanza Ceccato introduce sue proprie varianti in quei punti della partitura
dove risulta (o risulterebbe, secondo lui) evidente la costrizione subita da
Beethoven a causa dei limiti degli strumenti del suo tempo (l’estensione dei
flauti, ad esempio) con conseguenti salti
mortali (esteticamente bizzarri, ma obbligati) che Beethoven avrebbe dovuto
compiere per aggirare quei limiti; salti mortali evitabili oggi, stando a Ceccato,
impiegando gli strumenti moderni. Ma il nostro adotta anche parecchie modifiche
a suo tempo proposte da Mahler (da lui richiamato, con Wagner, nell’introduzione
al suo scritto): ad esempio nell’estensione delle parti dei timpani. Peraltro
non sembra seguire Mahler fino alle estreme conseguenze: niente clarinetto
piccolo (smile!)
___
Già il
colpo d’occhio dell’orchestra è spaventevole: si direbbe che debba essere suonata
la Totenfeier, mica l’Eroica! Dopodiché ciò che si deve
ascoltare fa accapponare la pelle: a volte par di sentire la batteria dei corni
dei cacciatori della Alpensinfonie;
la marcia funebre assomiglia maledettamente a quella di Sigfrido; il clarinetto piccolo squittisce come nella Fantastica; i corni a volte creano un
magma sonoro volgare, che distrugge i mirabili temi beethoveniani; gli strumentini suonano quasi sempre con la campana in alto, creando sonorità impertinenti e fastidiose; altre volte le
trombe (che sembrano proprio quelle di Gerico,
come sarcasticamente affermavano i detrattori antisemiti di Mahler) portano in primo
piano linee che dovrebbero starsene in sottofondo. Insomma, un supplizio per le
orecchie!
E devo
dire che l’esecuzione di Xian e dell’Orchestra non mi è parsa nemmeno di alto
livello tecnico, forse proprio a causa dell’inconsueta circostanza. Certo, alla
fine gli applausi non sono mancati, anche quelli ritmati dal calpestio dei
professori.
I miei
(scarsi) clap sono andati agli
interpreti e – ça va sans dire – all’Autore.
Per l’arrangiatore – e lo confessa uno
che si sente mahleriano fino al midollo – lascio la parola a… Bracardi (smile!)
(per
pietà, non fatelo più)
Ancora Mahler
(l’ultimo) e guarda caso ancora con Beethoven (però non arrangiato, strasmile!) e ancora Xian sul podio per il prossimo
appuntamento.
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