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18 maggio, 2012

Orchestraverdi – concerto n°33


Ancora Zhang Xian alla ribalta con un programma di gran tradizione, Beethoven e Mahler, in un Auditorium finalmente affollato, dopo qualche puntata un po’ stanca.

Sono tre moschettieri de laVerdi: Luca Santaniello al violino, Mario Shirai Grigolato al violoncello e il residente Simone Pedroni al pianoforte a proporci dapprima il cosiddetto Triplo Concerto in DO maggiore di Beethoven. Opera da sempre relegata in quel limbo delle composizioni giudicate minori, disimpegnate e mancanti di quel tasso di eroismo che l’agiografia ha affibbiato alla produzione del genio di Bonn.

E magari solo perché composta per gratificare un illustre allievo, l’Arciduca Rodolfo che da poco si era messo a prender lezioni di pianoforte dal già rinomato Ludwig (siamo nel 1803-1804, ai tempi dell’Eroica, per intenderci… ma l’opera non verrà eseguita se non nel 1808, chissà, forse perché l’Arciduca ebbe bisogno di molte lezioni? smile!) O perché, prevedendo tre solisti – invece di uno solo, come è caratteristica dei Concerti – finisce per apparire, ai solisti medesimi, come un lavoro poco gratificante e in fin dei conti da… snobbare.

E così, normalmente si sottovaluta (un po’ troppo, pare a me) la struttura stessa della composizione, per il suo primo movimento privo dei caratteristici contrasti (temi poco distinguibili) e in compenso ricco di enfasi, affettazione e di eccessive lungaggini e divagazioni tematiche (tutti aspetti considerati estranei alla tipica scrittura di Beethoven); un movimento centrale troppo breve e lezioso e uno conclusivo da… festa campestre.

Sarà, ma personalmente trovo in questo apparente disimpegno un voluto omaggio a forme settecentesche, fatto con garbo e con un po’ di ironia, ma sempre con grande sapienza e ispirazione. Un pezzo assolutamente godibile, anche se non manda messaggi universali né evoca chissà quali scontri fra ragione e tenebre!
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L’Allegro è una corposa costruzione, in forma-sonata assai liberamente interpretata: una lunga esposizione, dove si possono individuare parecchi motivi; uno sviluppo piuttosto breve e da essa quasi indistinguibile; una ripresa a sua volta molto complessa e infine una veloce coda a concludere il movimento.       

Sono gli archi bassi ad esporre immediatamente, soli e pianissimo, il motivo principale (1):

Poco dopo l’orchestra presenta una specie di introduzione, in crescendo, basata su una variante del motivo (1), che culmina in fortissimo e per due volte sulla sottodominante FA, poi (con curiosa presenza di due intervalli di tritono ascendenti – FA-SI e SOL-DO#) si sposta sulla dominante SOL, dove i primi violini espongono un secondo motivo (2):

Che viene ripreso quasi subito dai fiati, ma in DO (!) Sulla tonalità di impianto ecco poi i primi violini esporre un nuovo motivo (3):

ripetuto poi un’ottava sopra, che sfocia in fieri incisi trocaici (MIb-DO) dell’intera orchestra, a chiudere, prima sul SOL, poi sul DO la prima esposizione.

Esposizione che viene ora affidata ai solisti, a partire (sarà sempre così…) dal violoncello (pare che in origine il concerto fosse proprio stato concepito per questo strumento). È lui che, nel registro acuto, ci propone il motivo (1) che viene sviluppato, salendo alla sesta per poi scendere sulla dominante SOL, dove il violino solista ripropone il motivo, sulla cui conclusione si innesta un arabesco (terzine puntate) dei due, che riconduce al DO sul quale finalmente entra anche il pianoforte. Esso sviluppa ulteriormente il tema, con veloci quartine di semicrome, contrappuntate dagli altri due solisti, fino all’esplosione, sempre in DO maggiore, di un nuovo motivo (4), enfaticamente colmo di prosopopea:

Il violoncello però, riprendendolo e ampliandolo (5), mostra come quel tema in fondo non sia poi così becero:

Motivo che subito è sviluppato con veloci quartine di semicroma insieme al violino, cui poi si aggiunge il pianoforte con veloci scale ascendenti in ottava, che intercalano un inciso (6) degli altri due solisti, ripreso poi dall’orchestra:

È il pianoforte a svilupparlo dapprima, poi imitato dal violoncello e quindi dal violino, con terzine in staccato che fanno lentamente virare l’atmosfera verso il LA, sulla cui dominante MI si afferma una perentoria cadenza dell’orchestra (7), due discese di ottava, da tonica a tonica, passando per dominante e mediante:

Il Pianoforte con arpeggi di semicrome ci porta ora verso la riproposizione del motivo (2) nella tonalità abbastanza lontana di LA maggiore (è sempre il violoncello ad aprire le danze…); gli risponde il violino ribadendo il tema, ma nella sottodominante RE. Presto si torna a LA con lo stesso motivo riproposto dall’orchestra, mentre i solisti si lasciano poi andare ancora a svolazzi di semicrome, spostando l’atmosfera verso il LA minore, dov’è ancora il violoncello a introdurre un nuovo motivo (8) dal ritmo trocaico:

che poi si sviluppa con terzine in staccato dei due archi solisti, per accelerare con semicrome all’arrivo del pianoforte, che fa ristagnare l’atmosfera sul LA minore, finchè il violoncello, poi il pianoforte e quindi il violino presentano un nuovo motivo (9) che insiste sulla sopratonica SI e, ancora in ritmo trocaico, se ne discosta scendendo di un semitono:

Violino, poi pianoforte e quindi violoncello si imbarcano in svolazzi di semicrome che portano ad un crescendo vorticoso, chiuso da un trillo dei tre solisti sull’accordo di sensibile, che sfocia platealmente sul LA fortissimo di tutta l’orchestra. La quale, muovendo da quel LA come mediante di FA, reitera il retorico motivo (4) in questa nuova tonalità.

A differenza della prima comparsa, qui il tema non è ripreso né sviluppato, ma l’orchestra passa direttamente ad esporre gli stessi incisi trocaici uditi dopo il motivo (3) a chiusura dell’esposizione orchestrale, ma qui ancora in LA minore (DO-LA). Qui si potrebbe parlare di fine dell’esposizione canonica.

Lo sviluppo è aperto dal violoncello, che su quel LA passa a maggiore dove, dopo una breve transizione, riespone il motivo (1). Il violino lo imita nella dominante MI maggiore, poi ancora sul LA arriva il pianoforte che però vira a RE minore, e da qui, con arpeggi in cui tornano intervalli di tritono (DO#-SOL), tramite sesta napoletana, a SIb, dove i tre solisti si rincorrono con terzine in staccato, mentre oboe e fagotto contrappuntano con uno spezzone del motivo (1). Altre modulazioni portano finalmente a DO minore, dove è ancora il violoncello protagonista dell’esposizione di un nuovo motivo (10) sottolineato cantabile in partitura; è l’unico motivo che non riudiremo più nel seguito:

Manco a dirlo segue il violino, e poi il pianoforte, che in realtà non ripete questo tema, ma si limita ad accompagnarlo. Scale ascendenti negli archi solisti, contrappuntate da un ritmo sincopato ci portano con un grande crescendo alla conclusione dello sviluppo, con un poderoso accordo di DO maggiore dell’orchestra, che dà inizio alla ripresa.

A piena orchestra e in fortissimo viene esposto il motivo (1) che in origine avevamo ascoltato dai soli bassi e in pianissimo. Quindi l’introduzione, con le esplosioni in fortissimo sui FA (come all’inizio) intercalate qui però dai solisti; ma poi, che succede? Niente temi principali, ma improvvisamente compare il motivo (5), nel violoncello naturalmente, in FA maggiore! Che è seguito, come nell’esposizione, ma sempre in FA, dall’inciso (6) che porta a sua volta alla perorazione (7), le due discese di ottava, ma qui sul SOL.

Da qui, come nell’esposizione, ma in DO (le sacre regole!) ecco il motivo (2) esposto, indovinate da chi? dal violoncello, natürlisch! Il violino risponde, ma adesso in FA, che vira quindi al DO, dove l’orchestra ribadisce il motivo (2). I solisti lo sviluppano fino a modulare su DO minore, dove – sempre nel violoncello – riudiamo il motivo (8) che nell’esposizione era in LA minore. Come nell’esposizione, pianoforte e violoncello ci riportano al motivo (9) nel violoncello, qui incardinato sulla sopratonica (RE) di DO (là era sul SI…)

Quindi i tre solisti con vorticose ascese raggiungono il DO, dove tutta l’orchestra ripete la poderosa perorazione (4) che, partendo dal DO come mediante, cade sul LAb maggiore. Ancora gli incisi trocaici MIb-DO con caduta sul SI, che torna sensibile di DO, dove – sempre il solito violoncello – espone ora il motivo (3), il quale prende però una strada tutta diversa rispetto all’esposizione; strada che conduce, passando anche da modulazioni a FA, alla chiusura della ripresa e al passaggio diretto alla coda

La quale consta di 18 battute (Più Allegro) dove, aizzati dall’orchestra, i tre solisti si scatenano prima in scalette ascendenti, poi in trilli e quindi in scale discendenti, fino ai due secchi accordi conclusivi.

Beh, il risultato puramente estetico potrà magari far storcere il naso a qualcuno, ma mi pare che come strutturazione questo movimento non sia poi tanto banale, anzi si potrebbe concludere che configuri una complessità che si fatica a riscontrare anche in opere più mature di Beethoven.

Il Largo centrale, in LAb maggiore (3/8) è invece di una semplicità assoluta: una brevissima introduzione degli archi, poi il tema presentato – c’è da dubitarne? – dal violoncello. Tema languido, carezzevole, di 17 battute, scomponibile in tre frasi di 5-6-6 battute:

Si ripete l’introduzione (con i fiati) e poi sono i due archi solisti a riesporre il tema, per terze, con il pianoforte ad arpeggiare languidamente. Ora inizia un ponte che modula lentamente un semitono sotto, a SOL maggiore (una cosa analoga farà Beethoven, più bruscamente, nell’Adagio non troppo dell’Imperatore, scendendo dal SI al SIb in vista del MIb del Rondo), per preparare l’attacco del conclusivo Rondo alla Polacca.

Il quale ha – come il primo movimento – una struttura assai articolata, così sommariamente interpretabile: A-B-A-C-A-B-A’-A”. Il tempo è sempre 3/4, salvo che per A’ (2/4).
    
Immancabilmente è il violoncello, che ha concluso in solitaria (salvo un pizzicato degli archi) l’Adagio con una serie di biscrome e semibiscrome sempre più affrettate, ad introdurre il Rondo, la cui sezione ricorrente A è inizialmente presentata con una struttura interna in cui si distinguono tre motivi: A1, A2 e A3. Il violoncello espone A1:

Lo chiude modulando a MI maggiore, dove lo riespone il violino, che a sua volta lo chiude virando a minore e rimodulando quindi a DO. Ora abbiamo il motivo A2, nell’orchestra:

che viene sviluppato poi dai tre solisti e in particolare dai due archi, fino ad una cadenza dell’orchestra sull’accordo di settima. Torna il motivo A1, nei tre solisti e subito dopo – accorciato - ad orchestra piena. Da qui si diparte, negli strumentini, un ponte in semicrome che porta, dopo marziali accordi che anticipano il ritmo di polacca, ad un nuovo motivo (A3)  esposto primi violini e poi ripreso dai legni:

La sezione A si chiude con decisi accordi di DO in staccato dell’orchestra. E subito compare la sezione B, con il violoncello e in contrappunto il violino che espongono il motivo B1:

Poco dopo è il pianoforte a riprendere il motivo, modulando verso SOL, dove il solito violoncello presenta il motivo B2, contrappuntato dal violino, mentre il pianoforte arpeggia in sestine:

Dopo che i solisti si sono sbizzarriti in svolazzi con sestine di semicrome è l’orchestra a riprendere il motivo B2, con i solisti ad interloquire e poi a riprendere in mano il pallino, con le loro sestine che conducono alla chiusa in DO della sezione B.

Si ripete ora la sezione A, praticamente identica alla sua prima apparizione, ma solo fino al motivo A1 nell’orchestra, al termine del quale un nuovo ponte, invece di portare ad A3, conduce direttamente alla sezione C, preparandone con incisi dattilici il caratteristico ritmo di polacca. La tonalità è mutata nel frattempo nella relativa LA minore. Qui, per l’unica volta nel Concerto, tocca al violino solista aprire le… danze, con l’esposizione del motivo C1:

Il motivo viene poi reiterato più volte dai solisti, che se lo rimpallano con continue variazioni e modulazioni di tonalità. Finalmente compare un nuovo motivo più cantabile ed espressivo (C2) che è sempre il violoncello ad esporre per primo, subito imitato dal violino:

Il pianoforte si limita ad un accompagnamento in semicrome, come a mantenere il ritmo, aiutato qua e là dai fiati. Poi avvia un breve crescendo in cui trascina gli altri solisti e l’orchestra, dopo il quale è ancora compito suo esporre una cadenza in terzine, quindi rallentando, fino a chiudere la sezione C sul SOL, da cui riprende una nuova ricorrenza della sezione A, col violoncello, costituita peraltro dal solo motivo A1, cui però non segue come al solito il violino, ma direttamente il tutti orchestrale.

Ultima comparsa della sezione B, sempre in DO, con B1 in violoncello, poi violino e pianoforte e quindi B2 nel violoncello, cui si aggiungono gli altri due solisti che si imbarcano ancora in veloci sestine di semicrome. L’intera orchestra ripropone B2, finchè sono i solisti a portarlo a compimento.

Ora un’autentica sorpresa, con la ricomparsa, dapprima nel pianoforte, del motivo di polacca C2, ripreso subito da violino e violoncello che vanno poi a chiudere la sezione sul LA.

Altro scombussolamento, con il tempo che passa ad Allegro in 2/4. È il violino ad esporre un il motivo A1 variato e velocizzato. Poi lo seguono gli altri due solisti, che sembrano ingaggiare una gara di velocità, finchè l’orchestra non interviene riproponendo ancora A1 sempre nel tempo marziale di 2/4.

Un ultimo ponte, con i solisti impegnati in terzine, porta – col ritorno a 3/4 e al Tempo I - alla conclusiva comparsa del tema A1, o meglio di suoi spezzoni, nei solisti. Quindi si riaffaccia nel violino anche il motivo A3, reiterato dal pianoforte e poi dall’orchestra che innesca la coda dove ancora i solisti si sfogano con veloci sestine, prima dei tre pesanti accordi conclusivi.
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Prestazione discreta – non eccezionale, secondo me - dei solisti, che non sono andati esenti da qualche pecca, specie nell’iniziale Allegro, dove può darsi che un po' di emozione gli abbia giocato qualche scherzetto... E anche il Rondò, soprattutto la sezione polacca, non mi ha entusiasmato. Forse anche per colpa della direzione di Xian, che mi è parsa piuttosto anonima e priva di mordente: chissà, magari proprio per non accreditare le critiche di eccessiva appariscenza che vengono tradizionalmente mosse al Concerto.

Ma trattandosi dei beniamini del pubblico il successo non è mancato di certo, ricompensato anche da un bis… 

Poi Mahler e Das Lied von der Erde, già da Xian interpretato in Auditorium poco più di due anni faQui la cinesina (stante che con quest’opera si deve sentire… a casa propria, smile!ha offerto di nuovo un’interpretazione assolutamente convincente, cavando fuori tutti i tesori di questo capolavoro, fin dal magnifico attacco iniziale dei corni. Assecondata in ciò da un’orchestra quasi perfetta, nell’insieme e nelle diverse parti solistiche che questa partitura impegna assai, a partire dall’oboe di Luca Stocco, dal flauto di Massimiliano Crepaldi e dal fagotto di Andrea Magnani, per non tacere poi della sezione dei corni guidati da Giuseppe Amatulli. Di assoluto livello, in particolare, gli interludi dell’Abschied.

Peccato che il canto abbia invece lasciato parecchio a desiderare: in particolare il tenore John Daszak, voce magari potente, ma assai sguaiata e impiccata (la scusa che deve interpretare gente che brinda, che beve e che si ubriaca non giustifica schiamazzi da osteria, smile!) mentre il contralto Carina Vinke ha mostrato qualche buona qualità, soprattutto nell’ottava alta, laddove mi è parsa deficitaria in quella bassa (in particolare, il passaggio concitato del quarto Lied ne ha sofferto assai).

Anche qui comunque grandi applausi, da parte mia riservati soprattutto a direttora e orchestra.

Prossimamente si rifarà vivo il Direttore principale per proporre un programma moderno con intermezzo… caramelloso.

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