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04 maggio, 2012

Orchestraverdi – concerto n°31


Il 31° concerto della stagione vede ancora sul podio Claus Peter Flor, che dirige un programma, come dire… religioso, in un Auditorium - ahinoi - un po' troppo ricco di poltrone vuote.

Benjamin Britten era certamente (già da giovane, ben prima dell’ultima guerra) un tipo che viveva, diciamo così, ehm, ai limiti del regolamento, almeno per benpensanti, bigotti e patrioti del Regno Unito: omosessuale e obiettore di coscienza, hai detto niente! Bene, nel 1940, in piena guerra e col Giappone sull’orlo di accoppiarsi con l’Asse per mettere al mondo RoBerTo, costui riceve nientemeno che da parte del Governo di Tokio un invito (esteso a personaggi come Richard Strauss, per dire…) a comporre un brano musicale per celebrare la ricorrenza dei duemilaseicento anni dalla fondazione dell’Impero del Sol Levante. E lui cosa gli propina, per una simile festosa circostanza? Un Requiem!!!

Roba da provocare un incidente diplomatico (e ciò è accertato che avvenne) ma forse anche – chi lo sa? – da far decidere i gialli a spedire di lì a poco un’allegra brigata di bombardieri e siluranti dalle parti di Pearl Harbor… Solo una quindicina d’anni più tardi, e con gli yankee saldamente in control a Tokio, il nostro potrà tranquillamente dirigervi il suo regalo per i giapponesi, cui nel frattempo erano stati forniti, e in abbondanza, seri (e nucleari) motivi per pregare sui loro morti.

Cupi e sordi colpi di timpano aprono l’opera, creando un’atmosfera precisamente da funerale. È il biblico Lacrymosa che incede – Andante misurato - col passo pesante di un cantilenante mortorio; che dopo un pesantissimo passaggio, ancora con i timpani a scuotere l’aria, si perde, quasi su un fievole RE maggiore. Il successivo Dies Irae è una specie di Scherzo (Allegro con fuoco): una danza della morte più che la spaventosa evocazione dell’ira divina, con le trombette e i corni che sembrano lanciare sberleffi più che maledizioni, mentre archi e percussioni paiono suonare una carica da arrivano-i-nostri! Finchè il tutto termina in una specie di buco nero… Il conclusivo Requiem Aeternam (Andante molto tranquillo) sembra imparentarsi con un qualche Adagio di Mahler… un sereno indirizzo a chi sta riposando, dovunque egli sia. Nobilissimo il crescendo che porta alla consolante chiusura.

Opera interessante, non certo da catalogare fra i capolavori, che Flor e laVerdi interpretano comunque con grande concentrazione ed efficacia.

Segue poi la Nona di Anton Bruckner. Musica scritta in onore nientemeno che del Buon Dio! Da parte di un uomo profondamente anche se quasi ingenuamente religioso, che ormai sentiva vicino il momento di presentarsi al cospetto del Creatore, e voleva arrivarci portando con sé l’opera sua più grande. La chiamata arrivò un tantino troppo presto, e così il devoto organista di Sankt Florian potè presentarsi all’appello con tre movimenti compiuti, più i soli abbozzi del Finale, scritti su 184 fogli di musica, l’ultimo dei quali vergato il giorno stesso della sua dipartita: 11 ottobre, 1896.

Quindi musica composta in prossimità della morte e, dalla falce di questa, troncata prima del completamento, proprio come era accaduto quasi 150 anni addietro a Die Kunst der Fuge di Bach, o come accadrà una quindicina d’anni dopo alla Decima di Mahler.

Personalmente – mettendomi nei panni di Bruckner (smile!) – sono propenso a vedere questa sinfonia come una specie di Divina Commedia. Mi spiego. Bruckner sapeva che questa sarebbe stata la sua ultima sinfonia, poiché mai avrebbe osato andare oltre il fatidico nove di Beethoven (e per restare entro quel limite ne aveva addirittura cestinate due, di sinfonie…) L’aveva dedicata a Dio (più in alto di così osar non si puote…) e doveva essere appunto – credo io – l’estrema sintesi di un lungo e travagliato percorso esistenziale, una specie di salvacondotto che lo accompagnasse dalla terra al cielo.

E come una sorta di prologo-in-terra mi immagino l’iniziale Feierlich.Misterioso: la presentazione della meta da raggiungere e la presa d’atto del faticoso cammino e dei tanti ostacoli che si parano davanti all’Uomo che si accinge all’immane impresa. E quindi la chiamata a raccolta di tutte le forze (musicali) disponibili. Cui segue l’Inferno dello Scherzo, una cosa per l’appunto demoniaca, dove guizzano fiamme e dove schiere di dannati marciano tenuti a bada da diavoli armati di forconi, o si danno a spiritate danze a ritmo di walzer! Ecco quindi il Purgatorio dell’Adagio, dove si comincia ad intravedere un poco di luce, lassù, in fondo ad un tunnel ancora occupato da sofferenze e da peccati da espiare. E infine il Paradiso del Finale (qui purtroppo però non ci basta più nemmeno l’immaginazione…) dove non a caso Bruckner, nei suoi schizzi, pare richiamarsi al TeDeum, del quale viene citato il famoso inciso che scende di un’ottava, passando per il quinto grado, come qui, nello schizzo della Coda, dove contrappunta un motivo di corale:


E sulla base di quest’ultima congettura, oltre che di supposte volontà di Bruckner, Ferdinand Loewe – uno dei discepoli-arrangiatori-adulteratori del Maestro e delle sue opere – in occasione della prima esecuzione della sinfonia (1903) appiccicò abbastanza arbitrariamente proprio il TeDeum ai tre movimenti compiuti. Cosa che per fortuna si è smesso di fare da quando – avendo la coppia Loewe-Schalk tolto il disturbo e con esso i millantati diritti sull’opera - Haas e Orel prima, poi Nowak e infine Redlich hanno potuto presentare una seria edizione della parte della sinfonia completata dall’Autore. Accertando allo stesso tempo che i corposi schizzi del Finale – che qualcuno (vedi qui) ha tentato di ricomporre per farne qualcosa di eseguibile - tutto lasciano intuire tranne la volontà di Bruckner di importarvi di peso il suo preesistente TeDeum.
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Dopo l’esordio da nona beethoveniana (ma senza la quinta vuota, solo il RE in tutte le voci dell’orchestra) otto corni e due trombe espongono con solennità il primo tema, che sfocia in questa stupefacente perorazione dei primi quattro corni:

Si passa qui dal RE minore (tonalità d’impianto) a MIb maggiore, quindi MIb un’ottava sopra, poi ecco, spiccando il volo, arriviamo ancor più in alto, al DOb maggiore la cui triade è pesantemente sottolineata dai corni. Da qui si scende fino al SOLb due ottave sotto, per risalire al MIb, quindi scendere al REb e alla sua sensibile DO. Come si vede, un percorso spettacolare, ma quanto mai contorto e dagli esiti ancora incerti.

Una transizione in crescendo porta poi ad una nuova perorazione: il secondo tema, una possente ottava discendente RE-RE (minore) poi ancora un’altra (LA-LA) e quindi l’appoggio provvisorio sul MIb; da qui risalita alla dominante LA (violini e corni sforano sul SIb) e quindi i due secchi accordi dominante-tonica che chiudono sul RE maggiore! Ancora una volta: grandi orizzonti raggiunti attraverso faticosi percorsi.

Un nuovo periodo di transizione, caratterizzato da un sommesso pizzicato degli archi e da brevi incisi negli strumentini, porta al terzo tema (Langsamer, più lento), un cantabile in LA maggiore - dove troviamo una chiara reminiscenza dell’Adagio della settima - che si ripete subito dopo e poi sfocia sul LAb dove oboe e clarinetto anticipano una forma invertita del quarto tema, che viene poi esposto (Moderato) dagli archi, arpeggiando sulla triade di RE minore; il tema si sviluppa poi come un sofferto procedere, con una punta sulla dominante e poi un’adagiarsi fra mediante e sopratonica; la sua reiterazione sfocia però ancora in un passaggio in DOb maggiore, un vero squarcio di luce, sottolineato da un largo gruppetto dei corni, attorno alla dominante SOLb. Che per poco diventa tonica, prima che una serie di arpeggi modulino alla relativa MI minore e da qui, per ascesa di un semitono, al sorprendente (ma assolutamente canonico, secondo le regole della forma-sonata) FA maggiore che sommessamente chiude l’esposizione.    

Sviluppo e ricapitolazione sono quasi un tutt’uno, poiché vi si mescolano manipolazioni dei quattro temi - trattati con variazioni e  modulazioni - e riprese degli stessi, magari in diverse tonalità. Sul RE minore di impianto chiude il gigantesco movimento una Coda che ripropone inizialmente il salto di ottava RE-RE del secondo tema, poi vi prendono il sopravvento gli ottoni (la tromba in particolare) che portano alla stentorea chiusa, con gli appoggi di MIb sull’accordo di quinta vuota di RE minore.  

Lo Scherzo (mosso, vivace) inizia con note tenute degli strumentini e un pizzicato degli archi che pare proprio introdurre uno scenario infernale; che infatti si materializza presto – così come la tonalità di RE minore - in un martellante motivo esposto ad intera orchestra (par di vederci i Nibelunghi schiavizzati da Alberich!):

È seguito da uno squarcio di apparente gaiezza, con l’oboe che intona un motivo in LA maggiore, staccato, imitato poi dal flauto, ma non v’è proprio nulla di bucolico in tutto ciò (come accadeva magari in altri scherzi di Bruckner) e infatti una successiva progressione ci riporta al martellante tema principale, lungamente sviluppato fino alla classica fermata sul RE minore (anche qui l’accordo è solo tonica-dominante). Il Trio (Schnell, rapido) è nella lontana tonalità di FA# maggiore, ed ha una parte sempre mossa e spiritata, seguita da una un filino più calma, ma sempre in un clima poco rassicurante. Lo Scherzo viene ripreso in toto per chiudere il movimento, quindi in RE minore.

L’Adagio.Langsam,feierlich è nella distante tonalità di MI maggiore (la stessa dell’Adagio della settima, dove però rispettava rigorosamente la tonalità d’impianto, oltre ad essere posto subito dopo il movimento iniziale). Si apre con il famoso salto ascendente di un’ottava aumentata (SI-DO), di cui Mahler si ricorderà al momento di aprire l’ultimo movimento della sua nona (dove sarà di un’ottava giusta, LA-LA):
 
La caduta cromatica DO-SI-LA# ci ricorda inevitabilmente il wagneriano Tristan, e la cosa non deve essere proprio casuale: siamo ancora in uno scenario di sofferenza, in cui appare però ben presto uno squarcio di luce, di speranza: ed è ancora Wagner a ispirarlo, laddove tromba e primi violini espongono un tema solenne e maestoso, in RE maggiore, che ricorda appunto… la Spada del Ring (quanti significati e allusioni si porta dietro!):

Ma poi sale anche più in alto, quasi fosse un Dresden-Amen, proprio come a cercare… il Paradiso? 

Un secondo tema compare poco dopo, a piena orchestra, su accordi in fortissimo dove su un fondo di dominante di SI (i FA# di archi, tromboni, corni e flauti, i MI e DO# degli oboi e i SOL# di clarinetti, tromboni, fagotti e viole) si innestano rapidi incisi delle trombe, che salgono dal SI al MI, passando per il DO#, con un effetto invero straniante, poiché lascia la tonalità sospesa fra tonica MI e sopratonica FA# (dominante della dominante).

Dopo che il FA# è calato al FA naturale, una transizione nei corni e nelle quattro tubette wagneriane (due lente discese che pare Bruckner avesse etichettato come il suo addio-alla-vita) portano all’esposizione del terzo tema, nobilissimo e cantabile, in LAb maggiore:

È seguito da un controsoggetto in SOLb maggiore, che poi modula enarmonicamente a FA#, col che si chiude l’esposizione.

Come per il movimento iniziale, anche qui sviluppo e ripresa si incastrano fra loro, con il ritorno dei temi, variamente manipolati, finchè si giunge alla Coda, una cosa assai simile a quella – invero stupefacente – che chiude l’Adagio dell’ottava. Un arpeggio dei corni precede le ultime 5 battute, dove corni, tubette, tromboni e tuba, con radi accordi in pizzicato degli archi, mettono il sigillo a questo – ahinoi incompiuto – testamento spirituale.

Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle. 
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Per l’occasione Flor ha disposto l’orchestra alla tedesca (bassi a sinistra, secondi violini al proscenio, sulla destra). In più ha raggruppato al centro-sinistra corni, tubette, tuba e tromboni, isolando le trombette in alto a destra, accanto ai timpani. Scelta per me efficacissima.

Ed in effetti l’esecuzione di Flor e dell’Orchestra è stata letteralmente stre-pi-to-sa! Un primo movimento tenuto con una solennità spinta al limite dell’umana sopportazione (in senso positivo, sia chiaro!); uno Scherzo dove il tema principale pareva arrivare direttamente da un girone dantesco, mentre il Trio creava atmosfere irreali, stranianti; e l’Adagio conclusivo dove l’anelito all’assoluto usciva da ogni nota degli archi e dal caldo suono delle tubette e dei corni.

Un’emozione indescrivibile, unica e memorabile. Peggio per gli assenti…


Prossimamente torna la Direttora Xian con un altro robustissimo programma.

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