Il 31° concerto
della stagione vede ancora sul podio Claus
Peter Flor, che dirige un programma, come
dire… religioso, in un Auditorium - ahinoi - un po' troppo ricco di poltrone vuote.
Benjamin Britten era certamente (già da giovane, ben prima dell’ultima
guerra) un tipo che viveva, diciamo così, ehm, ai limiti del regolamento,
almeno per benpensanti, bigotti e patrioti del Regno Unito: omosessuale e obiettore di coscienza, hai detto
niente! Bene, nel 1940, in piena guerra e col Giappone sull’orlo di accoppiarsi
con l’Asse per mettere al mondo RoBerTo, costui riceve nientemeno che da
parte del Governo di Tokio un invito (esteso a personaggi come Richard Strauss, per dire…) a comporre
un brano musicale per celebrare la ricorrenza dei duemilaseicento anni dalla fondazione dell’Impero del Sol Levante. E lui cosa gli propina, per una simile festosa
circostanza? Un Requiem!!!
Roba
da provocare un incidente diplomatico (e ciò è accertato che avvenne) ma forse
anche – chi lo sa? – da far decidere i gialli a spedire di lì a poco un’allegra
brigata di bombardieri e siluranti dalle parti di Pearl Harbor… Solo una quindicina d’anni più tardi, e con gli yankee saldamente in control a Tokio, il nostro potrà tranquillamente dirigervi il
suo regalo per i giapponesi, cui nel frattempo erano stati forniti, e in
abbondanza, seri (e nucleari) motivi per pregare sui loro morti.
Cupi e sordi colpi di timpano aprono l’opera, creando un’atmosfera precisamente da funerale. È il biblico Lacrymosa che incede – Andante misurato - col passo pesante di un cantilenante mortorio; che dopo un pesantissimo passaggio, ancora con i timpani a scuotere l’aria, si perde, quasi su un fievole RE maggiore. Il successivo Dies Irae è una specie di Scherzo (Allegro con fuoco): una danza della morte più che la spaventosa evocazione dell’ira divina, con le trombette e i corni che sembrano lanciare sberleffi più che maledizioni, mentre archi e percussioni paiono suonare una carica da arrivano-i-nostri! Finchè il tutto termina in una specie di buco nero… Il conclusivo Requiem Aeternam (Andante molto tranquillo) sembra imparentarsi con un qualche Adagio di Mahler… un sereno indirizzo a chi sta riposando, dovunque egli sia. Nobilissimo il crescendo che porta alla consolante chiusura.
Opera interessante, non certo da catalogare fra i capolavori, che Flor e laVerdi interpretano comunque con grande concentrazione ed efficacia.
Cupi e sordi colpi di timpano aprono l’opera, creando un’atmosfera precisamente da funerale. È il biblico Lacrymosa che incede – Andante misurato - col passo pesante di un cantilenante mortorio; che dopo un pesantissimo passaggio, ancora con i timpani a scuotere l’aria, si perde, quasi su un fievole RE maggiore. Il successivo Dies Irae è una specie di Scherzo (Allegro con fuoco): una danza della morte più che la spaventosa evocazione dell’ira divina, con le trombette e i corni che sembrano lanciare sberleffi più che maledizioni, mentre archi e percussioni paiono suonare una carica da arrivano-i-nostri! Finchè il tutto termina in una specie di buco nero… Il conclusivo Requiem Aeternam (Andante molto tranquillo) sembra imparentarsi con un qualche Adagio di Mahler… un sereno indirizzo a chi sta riposando, dovunque egli sia. Nobilissimo il crescendo che porta alla consolante chiusura.
Opera interessante, non certo da catalogare fra i capolavori, che Flor e laVerdi interpretano comunque con grande concentrazione ed efficacia.
Segue poi
la Nona
di Anton Bruckner. Musica
scritta in onore nientemeno che del Buon
Dio! Da parte di un uomo profondamente anche se quasi ingenuamente
religioso, che ormai sentiva vicino il momento di presentarsi al cospetto del
Creatore, e voleva arrivarci portando con sé l’opera sua più grande. La
chiamata arrivò un tantino troppo presto, e così il devoto organista di Sankt Florian potè presentarsi
all’appello con tre movimenti compiuti, più i soli abbozzi del Finale, scritti su
184 fogli di musica, l’ultimo dei quali vergato il giorno stesso della sua
dipartita: 11 ottobre, 1896.
Quindi
musica composta in prossimità della morte e, dalla falce di questa, troncata
prima del completamento, proprio come era accaduto quasi 150 anni addietro a Die Kunst der Fuge di Bach, o come
accadrà una quindicina d’anni dopo alla Decima
di Mahler.
Personalmente
– mettendomi nei panni di Bruckner (smile!)
– sono propenso a vedere questa sinfonia come una specie di Divina Commedia. Mi spiego. Bruckner
sapeva che questa sarebbe stata la sua ultima
sinfonia, poiché mai avrebbe osato andare oltre il fatidico nove di Beethoven (e per restare entro
quel limite ne aveva addirittura cestinate due, di sinfonie…) L’aveva dedicata
a Dio (più in alto di così osar non si puote…) e doveva essere
appunto – credo io – l’estrema sintesi di un lungo e travagliato percorso
esistenziale, una specie di salvacondotto che lo accompagnasse dalla terra al
cielo.
E come
una sorta di prologo-in-terra mi immagino
l’iniziale Feierlich.Misterioso: la
presentazione della meta da raggiungere e la presa d’atto del faticoso cammino e
dei tanti ostacoli che si parano davanti all’Uomo che si accinge all’immane impresa. E quindi la chiamata a raccolta di tutte le forze (musicali) disponibili. Cui segue l’Inferno dello Scherzo,
una cosa per l’appunto demoniaca, dove guizzano fiamme e dove schiere di dannati
marciano tenuti a bada da diavoli armati di forconi, o si danno a spiritate danze
a ritmo di walzer! Ecco quindi il Purgatorio dell’Adagio, dove si comincia ad intravedere un poco di luce, lassù, in
fondo ad un tunnel ancora occupato da sofferenze e da peccati da espiare. E
infine il Paradiso del Finale (qui
purtroppo però non ci basta più nemmeno l’immaginazione…) dove non a caso Bruckner,
nei suoi schizzi, pare richiamarsi al TeDeum,
del quale viene citato il famoso inciso che scende di un’ottava, passando per
il quinto grado, come qui, nello schizzo della Coda, dove contrappunta un motivo di corale:
E sulla
base di quest’ultima congettura, oltre che di supposte volontà di Bruckner, Ferdinand Loewe – uno dei discepoli-arrangiatori-adulteratori del
Maestro e delle sue opere – in occasione della prima esecuzione della sinfonia
(1903) appiccicò abbastanza arbitrariamente proprio il TeDeum ai tre movimenti
compiuti. Cosa che per fortuna si è smesso di fare da quando – avendo la coppia
Loewe-Schalk tolto il disturbo e con esso i millantati diritti sull’opera - Haas e Orel prima, poi Nowak e
infine Redlich hanno potuto
presentare una seria edizione della parte della sinfonia completata dall’Autore.
Accertando allo stesso tempo che i corposi schizzi del Finale – che qualcuno (vedi
qui)
ha tentato di ricomporre per farne qualcosa di eseguibile -
tutto lasciano intuire tranne la volontà di Bruckner di importarvi di peso il
suo preesistente TeDeum.
___
Dopo l’esordio da nona
beethoveniana (ma senza la quinta vuota,
solo il RE in tutte le voci dell’orchestra) otto corni e due trombe espongono
con solennità il primo tema, che sfocia in questa stupefacente perorazione dei
primi quattro corni:
Si passa qui dal RE minore (tonalità d’impianto) a MIb
maggiore, quindi MIb un’ottava sopra, poi ecco, spiccando il volo, arriviamo ancor
più in alto, al DOb maggiore la cui triade è pesantemente sottolineata dai
corni. Da qui si scende fino al SOLb due ottave sotto, per risalire al MIb,
quindi scendere al REb e alla sua sensibile DO. Come si vede, un percorso
spettacolare, ma quanto mai contorto e dagli esiti ancora incerti.
Una transizione in crescendo
porta poi ad una nuova perorazione: il secondo tema, una possente ottava
discendente RE-RE (minore) poi ancora un’altra (LA-LA) e quindi l’appoggio
provvisorio sul MIb; da qui risalita alla dominante LA (violini e corni sforano sul SIb) e quindi i due secchi
accordi dominante-tonica che chiudono sul RE maggiore! Ancora una volta: grandi
orizzonti raggiunti attraverso faticosi percorsi.
Un nuovo periodo di transizione, caratterizzato da un sommesso
pizzicato degli archi e da brevi
incisi negli strumentini, porta al terzo tema (Langsamer, più lento), un cantabile in LA maggiore - dove troviamo
una chiara reminiscenza dell’Adagio
della settima - che si ripete subito
dopo e poi sfocia sul LAb dove oboe e clarinetto anticipano una forma invertita del quarto tema, che viene poi
esposto (Moderato) dagli archi,
arpeggiando sulla triade di RE minore; il tema si sviluppa poi come un sofferto
procedere, con una punta sulla dominante e poi un’adagiarsi fra mediante e
sopratonica; la sua reiterazione sfocia però ancora in un passaggio in DOb
maggiore, un vero squarcio di luce, sottolineato da un largo gruppetto dei corni, attorno alla
dominante SOLb. Che per poco diventa tonica, prima che una serie di arpeggi
modulino alla relativa MI minore e da qui, per ascesa di un semitono, al sorprendente
(ma assolutamente canonico, secondo le regole della forma-sonata) FA maggiore che sommessamente chiude l’esposizione.
Sviluppo e ricapitolazione sono
quasi un tutt’uno, poiché vi si mescolano manipolazioni dei quattro temi -
trattati con variazioni e modulazioni -
e riprese degli stessi, magari in diverse tonalità. Sul RE minore di impianto chiude
il gigantesco movimento una Coda che
ripropone inizialmente il salto di ottava RE-RE del secondo tema, poi vi
prendono il sopravvento gli ottoni (la tromba in particolare) che portano alla
stentorea chiusa, con gli appoggi di MIb sull’accordo di quinta vuota di RE minore.
Lo Scherzo (mosso,
vivace) inizia con note tenute degli strumentini e un pizzicato degli archi che pare proprio introdurre uno scenario
infernale; che infatti si materializza presto – così come la tonalità di RE
minore - in un martellante motivo esposto ad intera orchestra (par di vederci i
Nibelunghi schiavizzati da Alberich!):
È seguito da uno squarcio di apparente gaiezza, con
l’oboe che intona un motivo in LA maggiore, staccato,
imitato poi dal flauto, ma non v’è proprio nulla di bucolico in tutto ciò (come
accadeva magari in altri scherzi di
Bruckner) e infatti una successiva progressione ci riporta al martellante tema
principale, lungamente sviluppato fino alla classica fermata sul RE minore
(anche qui l’accordo è solo tonica-dominante). Il Trio (Schnell, rapido) è
nella lontana tonalità di FA# maggiore, ed ha una parte sempre mossa e
spiritata, seguita da una un filino più calma, ma sempre in un clima poco
rassicurante. Lo Scherzo viene ripreso in toto per chiudere il movimento,
quindi in RE minore.
L’Adagio.Langsam,feierlich
è nella distante tonalità di MI
maggiore (la stessa dell’Adagio della
settima, dove però rispettava
rigorosamente la tonalità d’impianto, oltre ad essere posto subito dopo il
movimento iniziale). Si apre con il famoso salto ascendente di un’ottava
aumentata (SI-DO), di cui Mahler si
ricorderà al momento di aprire l’ultimo movimento della sua nona (dove sarà di un’ottava giusta,
LA-LA):
La caduta cromatica DO-SI-LA# ci ricorda inevitabilmente
il wagneriano Tristan, e la cosa non
deve essere proprio casuale: siamo ancora in uno scenario di sofferenza, in cui
appare però ben presto uno squarcio di luce, di speranza: ed è ancora Wagner a
ispirarlo, laddove tromba e primi violini espongono un tema solenne e maestoso,
in RE maggiore, che ricorda appunto… la Spada
del Ring (quanti significati e
allusioni si porta dietro!):
Ma poi sale anche più in alto, quasi fosse un Dresden-Amen, proprio come a cercare… il
Paradiso?
Un secondo tema compare poco dopo, a piena orchestra, su
accordi in fortissimo dove su un fondo di dominante di SI (i FA# di archi,
tromboni, corni e flauti, i MI e DO# degli oboi e i SOL# di clarinetti,
tromboni, fagotti e viole) si innestano rapidi incisi delle trombe, che salgono
dal SI al MI, passando per il DO#, con un effetto invero straniante, poiché
lascia la tonalità sospesa fra tonica MI e sopratonica FA# (dominante della
dominante).
Dopo che il FA# è calato al FA naturale, una transizione
nei corni e nelle quattro tubette wagneriane (due lente discese che pare Bruckner
avesse etichettato come il suo addio-alla-vita)
portano all’esposizione del terzo tema, nobilissimo e cantabile, in LAb
maggiore:
È seguito da un controsoggetto in SOLb maggiore, che poi
modula enarmonicamente a FA#, col che si chiude l’esposizione.
Come per il movimento iniziale, anche qui sviluppo e ripresa si incastrano fra loro, con il ritorno dei temi, variamente
manipolati, finchè si giunge alla Coda,
una cosa assai simile a quella – invero stupefacente – che chiude l’Adagio dell’ottava. Un arpeggio dei corni precede le ultime 5 battute, dove corni,
tubette, tromboni e tuba, con radi accordi in pizzicato degli archi, mettono il sigillo a questo – ahinoi
incompiuto – testamento spirituale.
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le
stelle.
___
Per l’occasione
Flor ha disposto l’orchestra alla tedesca (bassi a sinistra, secondi violini al
proscenio, sulla destra). In più ha raggruppato al centro-sinistra corni,
tubette, tuba e tromboni, isolando le trombette in alto a destra, accanto ai
timpani. Scelta per me efficacissima.
Ed in
effetti l’esecuzione di Flor e dell’Orchestra è stata letteralmente stre-pi-to-sa! Un primo movimento tenuto
con una solennità spinta al limite dell’umana sopportazione (in senso positivo,
sia chiaro!); uno Scherzo dove il tema principale pareva arrivare direttamente da
un girone dantesco, mentre il Trio creava atmosfere irreali, stranianti; e l’Adagio
conclusivo dove l’anelito all’assoluto usciva da ogni nota degli archi e dal
caldo suono delle tubette e dei corni.
Un’emozione
indescrivibile, unica e memorabile. Peggio per gli assenti…
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