ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

22 maggio, 2012

Fabio Luisi sul podio della Filarmonica


Il successore-in-pectore di James Levine alla guida del MET è stato ieri sera ospite della stagione della Filarmonica, dirigendo un concerto di musiche italiane più… Beethoven!

Ha aperto con una trascrizione di tre brani di Giovanni Gabrieli, fatta da Claudio Ambrosini nel 1998 per Milano Musica e già allora (30 ottobre di quell’anno) eseguita dalla Filarmonica guidata dal dedicatario Riccardo Muti.

Si tratta della Canzon XIII dalle Sacrae Symphoniae (1597), della Canzon I e della Sonata XIX dalle Canzoni et Sonate (1615, postume). L’approccio programmatico di Ambrosini è quello di evocare le melodie rinascimentali di Gabrieli immergendole  in uno scenario sonoro moderno. E tanto per tener fede al proposito, impiega anche un gong immerso in una vaschetta d’acqua (smile!) Oppure fa suonare lo xilofono con le nocche delle dita, o percuotere le corde del pianoforte con bacchette di spugna… insomma, cose che ai tempi di Gabrieli lo avrebbero fatto rinchiudere ai Piombi! C’è di buono che, pur immersa in un magma indecifrabile,  qualche nota di Gabrieli si può ancora ascoltare (ri-smile!)

Dopo questo esordio bizzarro, ecco arrivare il 27enne polacco Rafał Blechacz a proporci il Quarto concerto di Beethoven. Tutt’altra musica (tri-smile!) Il ragazzo ha una tecnica sopraffina che forse, nell’iniziale Allegro moderato, penalizza un poco l’espressività, dando (a me, perlomeno) l’impressione di un’esecuzione un po’… meccanica. In ogni caso dall’Andante in poi le cose migliorano e il resto della prestazione è davvero rimarchevole. Bravo anche Luisi a sostenerlo con un’orchestra mai invadente, ma allo stesso tempo protagonista. Gran successo per il bel Rafał che ringrazia con un paio di bis.  

Dopo l’intervallo si torna in Italia con Paganiniana di Alfredo Casella. Nel 1942 compivano 100 anni i leggendari Wiener (al 28 marzo 1842 risale il primo concerto della Philharmonische Academie, diretto dal fondatore Otto Nicolai). La ricorrenza cadde in un periodo disgraziato, ma a quel momento in Germania e in Italia il clima era euforico e il Patto d’acciaio più che mai saldo. Vienna era la seconda capitale tedesca e Karl Böhm – deciso fautore dell’Anschluss – sarebbe di lì a poco diventato direttore della Staatsoper. Così successe che l’italiano Casella (anche lui assai ben disposto verso il fascismo e i suoi alleati) compose per l’occasione questo divertimento in quattro parti che è ispirato a musiche (capricci e quartetti) del grande genovese. La cui prima fu diretta – per l’appunto - da Karl Böhm.

L’opera si suddivide in quattro sezioni, a partire da un Allegro agitato (Capricci 8-12-16-19) seguito dalla Polachetta (Quartetto n°4), dalla Romanza (Duo inedito violino-clarinetto) per chiudere con la Tarantella (ancora dal Quartetto). Un brano effettivamente di circostanza, in cui però Casella mostra la sua raffinata abilità di orchestratore, senza cadere nelle sesquipedali esagerazioni di Ottorino Respighi.

Del quale ha chiuso il concerto Feste romane, anteriore di 14 anni alla Paganiniana. È il terzo dei poemi sinfonici della triade romana (con Pini e Fontane) dove il nostro scimmiotta – pur con grande maestria, va detto - i Liszt e gli Strauss. In effetti l’orchestra pare quella dell’Alpensinfonie, con una sessantina di archi, sette trombe e percussioni a non finire. Il risultato – ammettiamolo pure – è un filino al di sotto, ma dobbiamo accontentarci.

Il brano ci elenca – con precise didascalie poste in prefazione alla partitura - quattro tipi di passatempo SPQR: dai gladiatori e dai cristiani offerti in pasto a belve fameliche, ai pellegrini che arrivano al Giubileo, alla classica ottobrata, e infine alla Befana. Nel cui conclusivo episodio – come fece nei Pini di Roma, dove introdusse, insieme ad altre filastrocche, la famosa Madama Doré - Respighi non manca di citare uno dei tipici stornelli romaneschi:

che chiude le feste con gran fracasso e fuochi d’artificio. Caos sonoro talmente parossistico, che diventa persino difficile capire se i suonatori (gli ottoni in particolare) hanno eseguito proprio le note giuste, o altre buttate lì a caso (smile!) Nel dubbio, gran trionfo per tutti, e quindi per Luisi un buon viatico in vista della prossima Manon

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