Il successore-in-pectore di James
Levine alla guida del MET è stato ieri sera ospite della stagione della Filarmonica, dirigendo un concerto di musiche italiane più…
Beethoven!
Ha aperto con una trascrizione di
tre brani di Giovanni Gabrieli, fatta
da Claudio
Ambrosini nel 1998 per Milano Musica e già allora (30 ottobre di quell’anno) eseguita
dalla Filarmonica guidata dal dedicatario Riccardo
Muti.
Si tratta della Canzon XIII dalle Sacrae Symphoniae (1597), della Canzon I e della Sonata XIX dalle Canzoni et Sonate (1615, postume).
L’approccio programmatico di Ambrosini è quello di evocare le melodie
rinascimentali di Gabrieli immergendole in uno scenario sonoro moderno. E tanto per
tener fede al proposito, impiega anche un gong
immerso in una vaschetta d’acqua (smile!) Oppure fa suonare lo xilofono
con le nocche delle dita, o percuotere le corde del pianoforte con bacchette di
spugna… insomma, cose che ai tempi di Gabrieli lo avrebbero fatto rinchiudere
ai Piombi! C’è di buono che, pur
immersa in un magma indecifrabile, qualche
nota di Gabrieli si può ancora ascoltare (ri-smile!)
Dopo questo esordio bizzarro, ecco
arrivare il 27enne polacco Rafał Blechacz
a proporci il Quarto concerto
di Beethoven. Tutt’altra musica (tri-smile!) Il ragazzo ha una tecnica
sopraffina che forse, nell’iniziale Allegro
moderato, penalizza un poco l’espressività, dando (a me, perlomeno)
l’impressione di un’esecuzione un po’… meccanica. In ogni caso dall’Andante in
poi le cose migliorano e il resto della prestazione è davvero rimarchevole.
Bravo anche Luisi a sostenerlo con un’orchestra mai invadente, ma allo stesso
tempo protagonista. Gran successo per il bel Rafał che ringrazia con un paio di bis.
Dopo l’intervallo si torna in
Italia con Paganiniana di Alfredo Casella. Nel 1942 compivano 100
anni i leggendari Wiener (al 28 marzo
1842 risale il primo concerto della Philharmonische
Academie, diretto dal fondatore Otto Nicolai). La ricorrenza cadde in un
periodo disgraziato, ma a quel momento in Germania e in Italia il clima era
euforico e il Patto d’acciaio più che
mai saldo. Vienna era la seconda
capitale tedesca e Karl Böhm – deciso
fautore dell’Anschluss – sarebbe di
lì a poco diventato direttore della Staatsoper.
Così successe che l’italiano Casella (anche lui assai ben disposto verso il
fascismo e i suoi alleati) compose per l’occasione questo divertimento in quattro parti che è ispirato a musiche (capricci e
quartetti) del grande genovese. La cui prima
fu diretta – per l’appunto - da Karl Böhm.
L’opera si suddivide in quattro sezioni,
a partire da un Allegro agitato (Capricci 8-12-16-19) seguito
dalla Polachetta (Quartetto n°4),
dalla Romanza (Duo inedito
violino-clarinetto) per chiudere con la Tarantella
(ancora dal Quartetto). Un brano effettivamente di circostanza, in cui però
Casella mostra la sua raffinata abilità di orchestratore, senza cadere nelle
sesquipedali esagerazioni di Ottorino Respighi.
Del quale ha chiuso il concerto Feste romane, anteriore di 14 anni
alla Paganiniana. È il terzo dei poemi sinfonici della triade romana (con Pini e Fontane) dove il nostro scimmiotta – pur con
grande maestria, va detto - i Liszt e gli Strauss. In effetti l’orchestra pare
quella dell’Alpensinfonie, con una
sessantina di archi, sette trombe e percussioni a non finire. Il risultato –
ammettiamolo pure – è un filino al di sotto, ma dobbiamo accontentarci.
Il brano ci elenca – con precise
didascalie poste in prefazione alla partitura - quattro tipi di passatempo
SPQR: dai gladiatori e dai cristiani offerti in pasto a belve fameliche, ai
pellegrini che arrivano al Giubileo,
alla classica ottobrata, e infine
alla Befana. Nel cui conclusivo
episodio – come fece nei Pini
di Roma, dove introdusse, insieme ad altre filastrocche, la famosa Madama Doré - Respighi non manca di
citare uno dei tipici stornelli romaneschi:
che chiude le feste con gran fracasso e fuochi d’artificio. Caos sonoro talmente parossistico, che diventa persino difficile capire se i suonatori (gli ottoni in particolare) hanno eseguito proprio le note giuste, o altre buttate lì a caso (smile!) Nel dubbio, gran trionfo per tutti, e quindi per Luisi un buon viatico in vista della prossima Manon.
che chiude le feste con gran fracasso e fuochi d’artificio. Caos sonoro talmente parossistico, che diventa persino difficile capire se i suonatori (gli ottoni in particolare) hanno eseguito proprio le note giuste, o altre buttate lì a caso (smile!) Nel dubbio, gran trionfo per tutti, e quindi per Luisi un buon viatico in vista della prossima Manon.
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